I padroni del nostro destino
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...alcuni di loro la vivessero più come un'agonia portatrice di melanconici ricordi e dolorose riflessioni.
Erano prigionieri di guerra o, come li ho denominati io, post-guerra. Perché la guerra era finita, e noi l'avevamo vinta. E quegli uomini, che facevano parte dell'esercito nemico, avevano appena cominciato a scontare la loro giusta pena. Che sarebbe giunta loro entro pochi giorni, tramite fucilazione.
Già.
Ma sarà corretto poi definirla "giusta" quella pena?
Non feci in tempo ad analizzare il significato di quella spontanea domanda interiore che venni subito destato dai miei pensieri.
"Mark, ehi Mark! Tra mezz'ora richiami te i detenuti nelle loro celle? Ti lascio il megafono qui sul tavolino ok?"
Philip era un ragazzo trentenne, calvo, con una visibile cicatrice che gli segnava indelebilmente la guancia destra. Era simpatico e divertente, anche se alle volte eccessivamente petulante.
Era uno dei pochi secondini con il quale avessi instaurato un rapporto d'amicizia: non avevo interesse a crearmi amici in quel luogo, ma lui in qualche modo seppe conquistarmi coi suoi modi affabili.
Accettai di aiutarlo, d'altronde non avevo niente di meglio da fare. O meglio, non provavo più alcun interesse per nulla.
Dal giorno dell'ultima esecuzione qualcosa in me era irrimediabilmente mutato. E purtroppo ... [segue »]
Composto martedì 19 gennaio 2010
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