Continuo a postare le mie "dichiarazioni di voto" sulle poesie finaliste del concorso.
La cruna dell’ago Bella, suggestiva e molto delicata (anche se ottimistica e di zuccheroso sapore ottocentesco, che appare non del tutto spontaneo e sentito), questa immagine dell’amore inteso come un lavoro di tessitura iniziato da lei, sulle prime subìto da lui senza gran convinzione come cosa epidermica, usuale, destinata ad ingiallire ed esser portata via dal vento d’autunno, poi, nell’approfondirsi del rapporto, accettato e proseguito in maniera consapevole e determinata, “cambiando il filo delle emozioni” con l’uso di pazienza, calma e ragione, sino alla fine della matassa, là dove lui scopre, a tela compiuta, un’anima indissolubilmente unita alla sua.
Gli unici rilievi che mi sento di muovere, a parte quanto detto circa il sapore oleografico dell’immagine, attengono ad una qualche ingenuità formale: trattandosi di frase in tutta evidenza composta di vari periodi, non si vede il perché dell’assenza del punto alla fine degli stessi e del contemporaneo persistere delle virgole e delle maiuscole. L’avrei preferita senza punteggiatura e tutte maiuscole in inizio dei versi , o con punteggiatura completa.
La struttura metrica in endecasillabi e dodecasillabi si sposa bene all’immagine arcaica della donna al telaio. Forse però sarebbe stato meglio disporre con una qualche simmetria, nei diciannove versi, i sei di dodici sillabe, che risultano viceversa distribuiti a caso, apparentemente in maniera inconsapevole: l’insieme sarebbe risultato più musicale.
Ritengo comunque quasi miracoloso che questo componimento, di non ordinaria bellezza ma anche di non immediata comprensibilità, sia riuscito a giungere in finale in una situazione in cui il numero rilevante delle opere proposte al voto popolare, e l’avvilente pochezza della maggior parte di esse, inducevano spesso ad una lettura sommaria (giacché di molte era pressoché impossibile arrivare sino alla fine).
VOTO : 8
Non sono d'accordo. Secondo me è arrivato il momento giusto per concepire l'amicizia e l'ascolto non come un do ut des, ma, al di fuori di ogni prospettiva egoistica, come un dono da dare a tutti... e per trovare dentro noi stessi la forza di cui abbiamo bisogno.
La malinconia (che è depressione in itinere) conduce a vedere ed ascoltare solo se stessi; e se ne esce, a mio avviso e per personale esperienza, non con l'essere ascoltati ed amati, ma con l'ascoltare e l' amare.
Per evidenziare questo mio dissenso dalla visuale espressa nella frase, che è purtroppo un avvilente luogo comune spesso espresso e messo in pratica addirittura da chi si professa cristiano, il mio voto alla frase è il minimo possibile.
12 anni e 8 mesi fa
Risposte successive (al momento 5) di altri utenti.
Hermann Hesse, Siddharta.
Esperienza tipica della gente che esce di casa, becca una tegola sulla testa, e dopo 10 minuti si ritrova all'ospedale o all'altro mondo.
12 anni e 8 mesi fa
Risposte successive (al momento 6) di altri utenti.
Solo una piccola osservazione relativa a due sviste da correggere:
- un altro va senza apostrofo. Un'altra si (l'apostrofo segue l'articolo indeterminativo solo davanti al femminile, a motivo dell'elisione della a di "una").
- La terza persona singolare del verbo fare è fa, senza accento.
Non dico queste cose per saccenteria, ma solo perché, come nella favola di Andersen ci vuole pur qualcuno che lo dica, che il re è nudo...
Penso possa essere utile.
12 anni e 8 mesi fa
Risposte successive (al momento 1) di altri utenti.
Molto bene.
Premetto però un'osservazione: non mi fosse piaciuta, non avrei perduto tempo ad effettuarne un "tentativo di plagio". : ))))
Tuttavia nel merito vedo quanto segue:
1) A comprova di quanto dicevo prima circa l'equivocità della scrittura ermetica, mi pare si ponga chiaramente la circostanza che ho colto il termine "insignificante" , anziché nel senso obiettivato in cui tu lo enunci nel commento numero 11 ("ciò che è insignificante"), come riferito all'individuo umano in quanto vittima degli insulti del tempo, e del mutare in esso di situazioni e sentimenti. Un individuo che la stessa natura vorrebbe farci apparire come insignificante sia per questo motivo, sia perché destinato al nulla dell’inesistenza. E dunque, nel mio "tentativo di plagio", l'insignificante è ciò che l'uomo percepisce di se stesso di fronte a questa assurda situazione: gli insignificanti siamo noi. Per questo motivo (sbagliando completamente "traduzione" alla luce della tua interpretazione autentica), ho chiamato "insignificante" l'uomo che osserva, attende, insegue questo carosello di illusioni e di delusioni.
2) Ma… ho proprio sbagliato? Mi chiedo cioè: se il tempo e la natura, con questo meccanismo illusione-delusione, possono tanto facilmente prendersi gioco di noi, non sarà forse perché lo siamo anche noi, insignificanti, e tutto ciò che ci accade? Se ci pensi, è questo il succo di una certa filosofia. E in effetti le cose appaiono così a prima vista, ed è proprio questo il motivo, credo, del senso di sconforto espresso dalla tua poesia. Nella mia “accezione” però, il termine “insignificante” è troppo “esagerato” per non dar luogo ad una riflessione se di insignificante davvero si tratti, o se invece la distruzione di noi e delle nostre illusioni, operata dal tempo e dalla natura, non possa rivestire un significato, semmai superiore… Comunque se le tue dodici righe, pur in un “errore” interpretativo, mi hanno indotto a queste riflessioni, significa che hanno avuto il potere di evocarle. E questo è appunto poesia. Però (particella… “sgarrupativa”)… ho da fare qualche appunto formale.
3) Nella prima terzina, il termine “dietro” è perplesso. Poiché infatti “dietro”, come “davanti”, può essere sia preposizione che avverbio, e come preposizione regge l’accusativo (a differenza di “davanti”, che regge il dativo: “davanti a”), in un primo momento quel “dietro” si può anche intendere come preposizione (l’insignificante che si trovi o corra dietro attimi fuggiti che suonano anni, o corra, in ipotesi, dietro tutte le gonnelle che passano:). Solo quando si prosegue, e si legge “davanti” senza una “a” che lo segua, si capisce che è avverbio, e quindi che tale debba essere anche il “dietro” che lo precede. …Oltretutto, i termini “dietro” e “davanti”,hanno poco di poetico, potendo indurre la mente dei più deboli a pensieri inadatti al sacrario delle Muse. E quando si arriva al “davanti”, il pensiero inadatto è già stato pensato. Meglio sostituire almeno quel “dietro”con un giro di parole; o, volendo mantenere intatta la metrica, col termine “ieri”.
4) La metrica c’è: le prime due terzine 667, la terza e la quarta 663. Tuttavia gli ultimi due versi della poesia non mi “suonano” bene. La corrispondenza quart’ultimo-penultimo verso (del non conoscersi/di silenzi duri) pur non difettando dal punto di vista metrico (6 e 6) non si avverte immediatamente. Questo è più meno tutto. Un’ultima cosa: mi “accusi” di aver “tradotto” modificando la metrica…. Beh, te l’ho detto: non era una traduzione, era un plagio… e vuoi che non cambi almeno la metrica?? : )))
12 anni e 8 mesi fa
Risposte successive (al momento 13) di altri utenti.
La cruna dell’ago
Bella, suggestiva e molto delicata (anche se ottimistica e di zuccheroso sapore ottocentesco, che appare non del tutto spontaneo e sentito), questa immagine dell’amore inteso come un lavoro di tessitura iniziato da lei, sulle prime subìto da lui senza gran convinzione come cosa epidermica, usuale, destinata ad ingiallire ed esser portata via dal vento d’autunno, poi, nell’approfondirsi del rapporto, accettato e proseguito in maniera consapevole e determinata, “cambiando il filo delle emozioni” con l’uso di pazienza, calma e ragione, sino alla fine della matassa, là dove lui scopre, a tela compiuta, un’anima indissolubilmente unita alla sua.
Gli unici rilievi che mi sento di muovere, a parte quanto detto circa il sapore oleografico dell’immagine, attengono ad una qualche ingenuità formale: trattandosi di frase in tutta evidenza composta di vari periodi, non si vede il perché dell’assenza del punto alla fine degli stessi e del contemporaneo persistere delle virgole e delle maiuscole. L’avrei preferita senza punteggiatura e tutte maiuscole in inizio dei versi , o con punteggiatura completa.
La struttura metrica in endecasillabi e dodecasillabi si sposa bene all’immagine arcaica della donna al telaio. Forse però sarebbe stato meglio disporre con una qualche simmetria, nei diciannove versi, i sei di dodici sillabe, che risultano viceversa distribuiti a caso, apparentemente in maniera inconsapevole: l’insieme sarebbe risultato più musicale.
Ritengo comunque quasi miracoloso che questo componimento, di non ordinaria bellezza ma anche di non immediata comprensibilità, sia riuscito a giungere in finale in una situazione in cui il numero rilevante delle opere proposte al voto popolare, e l’avvilente pochezza della maggior parte di esse, inducevano spesso ad una lettura sommaria (giacché di molte era pressoché impossibile arrivare sino alla fine).
VOTO : 8
La malinconia (che è depressione in itinere) conduce a vedere ed ascoltare solo se stessi; e se ne esce, a mio avviso e per personale esperienza, non con l'essere ascoltati ed amati, ma con l'ascoltare e l' amare.
Per evidenziare questo mio dissenso dalla visuale espressa nella frase, che è purtroppo un avvilente luogo comune spesso espresso e messo in pratica addirittura da chi si professa cristiano, il mio voto alla frase è il minimo possibile.
Esperienza tipica della gente che esce di casa, becca una tegola sulla testa, e dopo 10 minuti si ritrova all'ospedale o all'altro mondo.
- un altro va senza apostrofo. Un'altra si (l'apostrofo segue l'articolo indeterminativo solo davanti al femminile, a motivo dell'elisione della a di "una").
- La terza persona singolare del verbo fare è fa, senza accento.
Non dico queste cose per saccenteria, ma solo perché, come nella favola di Andersen ci vuole pur qualcuno che lo dica, che il re è nudo...
Penso possa essere utile.
Premetto però un'osservazione: non mi fosse piaciuta, non avrei perduto tempo ad effettuarne un "tentativo di plagio". : ))))
Tuttavia nel merito vedo quanto segue:
1) A comprova di quanto dicevo prima circa l'equivocità della scrittura ermetica, mi pare si ponga chiaramente la circostanza che ho colto il termine "insignificante" , anziché nel senso obiettivato in cui tu lo enunci nel commento numero 11 ("ciò che è insignificante"), come riferito all'individuo umano in quanto vittima degli insulti del tempo, e del mutare in esso di situazioni e sentimenti. Un individuo che la stessa natura vorrebbe farci apparire come insignificante sia per questo motivo, sia perché destinato al nulla dell’inesistenza. E dunque, nel mio "tentativo di plagio", l'insignificante è ciò che l'uomo percepisce di se stesso di fronte a questa assurda situazione: gli insignificanti siamo noi. Per questo motivo (sbagliando completamente "traduzione" alla luce della tua interpretazione autentica), ho chiamato "insignificante" l'uomo che osserva, attende, insegue questo carosello di illusioni e di delusioni.
2) Ma… ho proprio sbagliato? Mi chiedo cioè: se il tempo e la natura, con questo meccanismo illusione-delusione, possono tanto facilmente prendersi gioco di noi, non sarà forse perché lo siamo anche noi, insignificanti, e tutto ciò che ci accade? Se ci pensi, è questo il succo di una certa filosofia. E in effetti le cose appaiono così a prima vista, ed è proprio questo il motivo, credo, del senso di sconforto espresso dalla tua poesia. Nella mia “accezione” però, il termine “insignificante” è troppo “esagerato” per non dar luogo ad una riflessione se di insignificante davvero si tratti, o se invece la distruzione di noi e delle nostre illusioni, operata dal tempo e dalla natura, non possa rivestire un significato, semmai superiore… Comunque se le tue dodici righe, pur in un “errore” interpretativo, mi hanno indotto a queste riflessioni, significa che hanno avuto il potere di evocarle. E questo è appunto poesia. Però (particella… “sgarrupativa”)… ho da fare qualche appunto formale.
3) Nella prima terzina, il termine “dietro” è perplesso. Poiché infatti “dietro”, come “davanti”, può essere sia preposizione che avverbio, e come preposizione regge l’accusativo (a differenza di “davanti”, che regge il dativo: “davanti a”), in un primo momento quel “dietro” si può anche intendere come preposizione (l’insignificante che si trovi o corra dietro attimi fuggiti che suonano anni, o corra, in ipotesi, dietro tutte le gonnelle che passano:). Solo quando si prosegue, e si legge “davanti” senza una “a” che lo segua, si capisce che è avverbio, e quindi che tale debba essere anche il “dietro” che lo precede. …Oltretutto, i termini “dietro” e “davanti”,hanno poco di poetico, potendo indurre la mente dei più deboli a pensieri inadatti al sacrario delle Muse. E quando si arriva al “davanti”, il pensiero inadatto è già stato pensato. Meglio sostituire almeno quel “dietro”con un giro di parole; o, volendo mantenere intatta la metrica, col termine “ieri”.
4) La metrica c’è: le prime due terzine 667, la terza e la quarta 663. Tuttavia gli ultimi due versi della poesia non mi “suonano” bene. La corrispondenza quart’ultimo-penultimo verso (del non conoscersi/di silenzi duri) pur non difettando dal punto di vista metrico (6 e 6) non si avverte immediatamente. Questo è più meno tutto. Un’ultima cosa: mi “accusi” di aver “tradotto” modificando la metrica…. Beh, te l’ho detto: non era una traduzione, era un plagio… e vuoi che non cambi almeno la metrica?? : )))