Secondo me, Laura, è giusto che tu non riesca a togliertelo dalla testa: non ci vedo nulla di grave. Se il superamento del dolore avviene attraverso la rimozione, cioè il "non pensarci più", cioè la fuga dai ricordi, accade che insieme ai ricordi rimuoviamo una parte di noi stessi, che di solito è la parte migliore e più sensibile.
Secondo me, invece, bisogna non aver paura del dolore, ma affrontarlo con coraggio e SUPERARLO. Occorre cioè elevarsi al di sopra del dolore, comprendendo un punto fondamentale: la fine delle cose, di tutte le cose, è legata al tempo, alla nostra natura fragile e transitoria. Fa parte insomma della stessa natura delle cose: è la stessa natura delle cose e della vita umana ciò che in realtà ci affligge.
Non c'è niente da fare: su questa Terra noi abbiamo solo un assaggio di come POTREBBE essere bella la vita se il tempo non facesse evolvere le cose, e si potessero fermare gli attimi di gioia che il tempo ci regala. Su questa Terra, non possiamo avere di più.
Ma c'è qualcosa di superiore, che è insito dentro noi stessi, già per il solo fatto che siamo capaci di concepirlo. Qualcosa che ci dice che la gioia, la bellezza, la bontà, l'amore ESISTONO, anche se la vita e il tempo li infangano. Ora: se riusciamo a collegarci a questa verità, noi possiamo gioire delle cose di questo mondo, e superarle allorché cessano o ci feriscono, perché entriamo nella più ampia prospettiva dell'im*m0r*talità nostra e dei nostri sentimenti. Il che si potrebbe esprimere, con un motto latino, asserendo che dobbiamo vedere tutto "sub specie aeternitatis", cioè dal punto di vista dell'eternità. Se riusciamo a fare questa operazione, abbiamo vinto il premio. In sintesi, solo a questo secondo me serve il dolore.
E la grande scoperta è questa: noi siamo destinati alla fine: qualsiasi amore, qualsiasi felicità su questa terra, è destinato al dolore, ad essere avvilito ed offeso, se non dalle vicissitudini della vita e dal mutamento degli uomini e delle cose, dalla m0*rte che a tutto, anche alla più splendida favola, pone inesorabilmente fine.
E' dunque la m0*rte il vero ed unico problema dell'uomo: il grande problema, anch'esso naturalmente oggetto di rimozione da parte dei più. Ma occorre cercare. A furia di cercare, l'uomo PUO' FARCELA a raggiungere il PREMIO; e il premio è rendersi conto di essere imm+or+tale. Ora, credimi, una volta entrati in questa prospettiva nulla di ciò che accade su questa terra potrà mai turbarci, perché avremo capito che questo in cui viviamo altro non è che un mondo illusorio. Un teatro, un impegno, una prova; nulla di più. E che il bello deve sempre ancora venire, a restituirci tutti i nostri sogni, immacolati e intatti come la prima volta che li abbiamo sognati.
Ho sentito la tua sofferenza, e sentito il bisogno di dirti queste cose.
E' d'altra parte vero che tutto ciò che non ci ucc*ide ci giova, perché ci rafforza; ma non credo che Nietszche, nel suo disperato materialismo, si riferisse alla prospettiva di cui ti ho parlato. : ))) (*****)
13 anni e 1 mese fa
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Secondo me, invece, bisogna non aver paura del dolore, ma affrontarlo con coraggio e SUPERARLO. Occorre cioè elevarsi al di sopra del dolore, comprendendo un punto fondamentale: la fine delle cose, di tutte le cose, è legata al tempo, alla nostra natura fragile e transitoria. Fa parte insomma della stessa natura delle cose: è la stessa natura delle cose e della vita umana ciò che in realtà ci affligge.
Non c'è niente da fare: su questa Terra noi abbiamo solo un assaggio di come POTREBBE essere bella la vita se il tempo non facesse evolvere le cose, e si potessero fermare gli attimi di gioia che il tempo ci regala. Su questa Terra, non possiamo avere di più.
Ma c'è qualcosa di superiore, che è insito dentro noi stessi, già per il solo fatto che siamo capaci di concepirlo. Qualcosa che ci dice che la gioia, la bellezza, la bontà, l'amore ESISTONO, anche se la vita e il tempo li infangano. Ora: se riusciamo a collegarci a questa verità, noi possiamo gioire delle cose di questo mondo, e superarle allorché cessano o ci feriscono, perché entriamo nella più ampia prospettiva dell'im*m0r*talità nostra e dei nostri sentimenti. Il che si potrebbe esprimere, con un motto latino, asserendo che dobbiamo vedere tutto "sub specie aeternitatis", cioè dal punto di vista dell'eternità. Se riusciamo a fare questa operazione, abbiamo vinto il premio. In sintesi, solo a questo secondo me serve il dolore.
E la grande scoperta è questa: noi siamo destinati alla fine: qualsiasi amore, qualsiasi felicità su questa terra, è destinato al dolore, ad essere avvilito ed offeso, se non dalle vicissitudini della vita e dal mutamento degli uomini e delle cose, dalla m0*rte che a tutto, anche alla più splendida favola, pone inesorabilmente fine.
E' dunque la m0*rte il vero ed unico problema dell'uomo: il grande problema, anch'esso naturalmente oggetto di rimozione da parte dei più. Ma occorre cercare. A furia di cercare, l'uomo PUO' FARCELA a raggiungere il PREMIO; e il premio è rendersi conto di essere imm+or+tale. Ora, credimi, una volta entrati in questa prospettiva nulla di ciò che accade su questa terra potrà mai turbarci, perché avremo capito che questo in cui viviamo altro non è che un mondo illusorio. Un teatro, un impegno, una prova; nulla di più. E che il bello deve sempre ancora venire, a restituirci tutti i nostri sogni, immacolati e intatti come la prima volta che li abbiamo sognati.
Ho sentito la tua sofferenza, e sentito il bisogno di dirti queste cose.
E' d'altra parte vero che tutto ciò che non ci ucc*ide ci giova, perché ci rafforza; ma non credo che Nietszche, nel suo disperato materialismo, si riferisse alla prospettiva di cui ti ho parlato. : ))) (*****)