Esiste speranza di una mutazione all'incontrario?
Secondo me sì, perché a ben guardare si tratta di orrende metamorfosi, ma per fortuna non di mutazioni.
La mutazione, per quanto ne sappiamo, procede dall'ottusità del bruto verso l'intelligenza: e la guerra tutto è, tranne che un'attività intelligente. Prima o poi, quindi, saremo abbastanza intelligenti da eliminarla: sempre però che riusciamo a sopravvivere all'ultima guerra.
Il che sembra, per dire le cose come stanno, al di sopra delle nostre possibilità.
E allora?
E allora ci vuole un aiuto, altrimenti non ce la faremo.
Forse - chissà - ce lo daranno le api. O le formiche. Se solo riuscissimo a capirle.
11 anni e 8 mesi fa
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Beh, diciamo che l'etica è cosa da praticare, di cui però bisogna anche parlare. Tuttavia, quando se ne parla, il confine tra il moralismo e il "moralismo del cactus" è estremamente sottile, e valicarlo è un attimo. Soprattutto quando il contatto umano non è de visu, ma è mediato dalla scrittura. E poi, ultimamente sono abituato a ben altre allocuzioni (tutte peraltro ben meritate a sconto dei miei peccati), quindi la sua non mi ha per nulla turbato, anzi mi ha messo di buon umore. Proprio questa mattina infatti, nel farmi la barba allo specchio, dicevo sorridendo a me stesso: "altro non sei, in realtà, che un moralista del cactus!" : ))
11 anni e 5 mesi fa
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Gentile sig. Giovanni, restituisco la visita attenendomi strettamente al contenuto del suo aforisma, che in verità mi appare di significato perplesso.
A me sembra infatti che quando qualcosa non ci basta più, ciò non accada a motivo del fatto che non ne riconosciamo il valore, ma perché, sic et simpliciter, non ce ne accontentiamo più.
Esempio semplice semplice: coloro che desiderano un'auto di cilindrata maggiore, non è che non riconoscano il valore dell'auto che già possiedono (tant'è che di solito non la gettano via, ma tentano di venderla al suo giusto valore); ma solo e semplicemente non se ne accontentano più.
Il riconoscere il valore di ciò che si ha non mi sembra quindi costituisca un quid pluris rispetto all'accontentarsene; ma, semmai un qualcosa di meno.
Forse intendeva dire che bisogna riconoscere il valore dell'accontentarsi di ciò che si ha? In questo caso mi troverebbe d'accordo; ma occorrerebbe modificare la frase, che esprime concetto diverso.
11 anni e 5 mesi fa
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Ciao Sergio, vista la forbita escalation degli ultimi commenti, consentimi una riflessione, peraltro attinente alla frase:
"E' ben vero che a volte certi pezzi di vita cadono tanto lontano da noi, da non poterli più recuperare. Tuttavia, ciò è estremamente consolante quanto a certi pezzi di mer*da che entrano malauguratamente nella nostra vita; essi, anzi, non ne cadono mai abbastanza lontano".
11 anni e 5 mesi fa
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Bravo Giulio, questa sì che è vera tolleranza e democrazia: affinché chiunque, anche ogni cessaiuolo, pur nei propri limiti di immaginazione, possa sentirsi finalmente libero di esporre la propria opinione.
11 anni e 5 mesi fa
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Secondo me sì, perché a ben guardare si tratta di orrende metamorfosi, ma per fortuna non di mutazioni.
La mutazione, per quanto ne sappiamo, procede dall'ottusità del bruto verso l'intelligenza: e la guerra tutto è, tranne che un'attività intelligente. Prima o poi, quindi, saremo abbastanza intelligenti da eliminarla: sempre però che riusciamo a sopravvivere all'ultima guerra.
Il che sembra, per dire le cose come stanno, al di sopra delle nostre possibilità.
E allora?
E allora ci vuole un aiuto, altrimenti non ce la faremo.
Forse - chissà - ce lo daranno le api. O le formiche. Se solo riuscissimo a capirle.
A me sembra infatti che quando qualcosa non ci basta più, ciò non accada a motivo del fatto che non ne riconosciamo il valore, ma perché, sic et simpliciter, non ce ne accontentiamo più.
Esempio semplice semplice: coloro che desiderano un'auto di cilindrata maggiore, non è che non riconoscano il valore dell'auto che già possiedono (tant'è che di solito non la gettano via, ma tentano di venderla al suo giusto valore); ma solo e semplicemente non se ne accontentano più.
Il riconoscere il valore di ciò che si ha non mi sembra quindi costituisca un quid pluris rispetto all'accontentarsene; ma, semmai un qualcosa di meno.
Forse intendeva dire che bisogna riconoscere il valore dell'accontentarsi di ciò che si ha? In questo caso mi troverebbe d'accordo; ma occorrerebbe modificare la frase, che esprime concetto diverso.
"E' ben vero che a volte certi pezzi di vita cadono tanto lontano da noi, da non poterli più recuperare. Tuttavia, ciò è estremamente consolante quanto a certi pezzi di mer*da che entrano malauguratamente nella nostra vita; essi, anzi, non ne cadono mai abbastanza lontano".