- Ben: Stai per morire? - Jackie: Tu che ne pensi? - Ben: Si... Poi non ti posso più vedere? - Jackie: Beh... Non vedrai il mio corpo, ma... hai presente i bruchi che si trasformano in un'altra cosa? - Ben: In farfalle. - Jackie: Già... Basta che provi a pensare a me che, che volo via da qualche altra parte... e naturalmente un vero mago lo conosce il segreto, sa che anche se una cosa non si vede più, non vuol dire che non ci sia, quindi anche se ti potrà sembrare che sono scomparsa, il mago sa come stanno le cose. - Ben: E allora dove sarai? - Jackie: Qui dentro, proprio dentro al mago. - Ben: Potrò parlarti quando sarai qui? - Jackie: Sempre, sempre, sempre! Non sentirai la mia voce, ma in fondo in fondo saprai cosa ti sto dicendo. - Ben: Però non basta... - Jackie: No... No... Certo che no, è chiaro... Perché non è tutto, e noi vogliamo tutto non è vero? Già... Però ci resta ancora una cosa, una delle nostre cose più grandi che potremo avere sempre... Lo sai qual è? I nostri sogni amore mio, possiamo sempre incontrarci nei nostri sogni, lì possiamo parlare l'uno con l'altro... e fare passeggiate insieme: d'estate, d'inverno, sotto la pioggia, con il sole, e io posso venirti a prendere e poi voliamo insieme... - Ben: Nessuno ti vuole bene come me! - Jackie: No... e nessuno me ne vorrà mai!
Dopo aver offerto suicidi gratis a tutti, i signori Lisbon rinunciarono ad avere una vita normale. Chiamarono il signor Headley per sgomberare la casa, e vendere i mobili che riuscirono a vendere al mercatino dell'usato. Il signor Lisbon riuscì a vendere la casa, fu acquistata da una giovane coppia di Boston; ovviamente noi prendemmo le foto di famiglia gettate nella spazzatura, alla fine i pezzi del puzzle furono recuperati ma per quanto tentassimo di metterli insieme rimanevano sempre degli interrogativi, uno strano vuoto, modellato armoniosamente da ciò che le circondava, come paesi a noi sconosciuti. Ciò che si trascinarono dietro non era vita, ma una banale lista di fatti frivoli, un orologio sul muro che scandisce il tempo, una camera offuscata a mezzogiorno, e l'assurdità di un'essere umano capace solo di pensare a se stessa. Cercammo di dimenticarle, ma ovviamente era impossibile. I nostri genitori sembravano riuscirci meglio, ormai erano tornati al tennis e ai cocktail in barca, come se avessero già vissuto tante volte eventi simili; eravamo di nuovo in piena estate, era passato più di un anno da quando Cecilia si era tagliata le vene, spargendo il veleno nell'aria, una fuoriuscita alla fabbrica di automobili aumentò il tasso di fosfati nell'aria e causò il formarsi di una pellicola d'alghe così spessa che l'odore di palude infestava l'aria, penetrando nelle ville eleganti. Le debuttanti si lamentarono di fare il loro ingresso in società in una stagione che tutti avrebbero ricordato per il terribile odore, ma gli o'Connor ebbero una trovata geniale, decisero che il tema della festa della loro figlia Alice, anch'essa debuttante, sarebbe stata l'asfissia, ma come tutti, volevamo dimenticare le sorelle Lisbon. Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta. In fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. La sola cosa che contava è che le avevamo amate, e che non ci hanno sentito chiamarle, e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze, dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme.
- Clyde Martin: Ancora una domanda. Lei mi ha appena raccontato tutta la sua storia: infanzia, famiglia, carriera, ogni persona con cui ha fatto sesso. Ma non ha parlato neanche una volta di amore. - Alfred Kinsey: Solo perché è impossibile misurare l'amore. E senza misurazioni non ci può essere scienza. Però ho pensato molto a questo problema ultimamente. - Clyde Martin: Oh, "problema"? - Alfred Kinsey: Quando si tratta di amore siamo tutti ignoranti. - Clyde Martin: Allora crede che conti qualcosa?
Quando fai una battaglia contro un nemico tanto più forte, tanto più grande di te, scoprire di avere un amico di cui non conoscevi l'esistenza è la più bella sensazione del mondo.
Caro amico, Non so se avrò il tempo di scrivere altre lettere, perché forse sarò troppo impegnato a cercare di partecipare. Quindi se questa dovesse essere l'ultima lettera voglio che tu sappia che non stavo per niente bene prima di cominciare il liceo e tu mi hai aiutato, anche se non sapevi di cosa parlavo o non conoscevi nessuno che beva questi problemi, non mi hai fatto sentire solo perché io so che ci sono persone che dicono che queste cose non esistono e che ci sono persone che quando compiono 17 anni dimenticano com'era averne 16. So che queste un giorno diventeranno delle storie e che le nostre immagini diventeranno vecchie fotografie, e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno. Ma qui adesso, questi momenti non sono storie questo sta succedendo. Io sono qui e sto guardando lei. Ed è bellissima. Ora lo vedo il momento in cui sai di non essere una storia triste. Sei vivo e ti alzi in piedi, vedi le luci sui palazzi e tutto quello che ti fa restare a bocca aperta e senti quella canzone su quella strada con le persone a cui vuoi più bene al mondo e in questo momento te lo giuro noi siamo infinito.
Non ne posso più di vivere in strada, solo come un pettirosso sotto la pioggia, non ne posso più della gente cattiva, che mi fa del male. Per me è come cocci di vetro piantati nella testa. Non ne posso più di tutte le volte che ho voluto rimediare e non ho potuto. Soprattutto è il dolore. Ce n'è troppo. Se potessi smettere di sentirlo lo farei. Ma non posso.