Dopo aver offerto suicidi gratis a tutti, i signori Lisbon rinunciarono ad avere una vita normale. Chiamarono il signor Headley per sgomberare la casa, e vendere i mobili che riuscirono a vendere al mercatino dell'usato. Il signor Lisbon riuscì a vendere la casa, fu acquistata da una giovane coppia di Boston; ovviamente noi prendemmo le foto di famiglia gettate nella spazzatura, alla fine i pezzi del puzzle furono recuperati ma per quanto tentassimo di metterli insieme rimanevano sempre degli interrogativi, uno strano vuoto, modellato armoniosamente da ciò che le circondava, come paesi a noi sconosciuti. Ciò che si trascinarono dietro non era vita, ma una banale lista di fatti frivoli, un orologio sul muro che scandisce il tempo, una camera offuscata a mezzogiorno, e l'assurdità di un'essere umano capace solo di pensare a se stessa. Cercammo di dimenticarle, ma ovviamente era impossibile. I nostri genitori sembravano riuscirci meglio, ormai erano tornati al tennis e ai cocktail in barca, come se avessero già vissuto tante volte eventi simili; eravamo di nuovo in piena estate, era passato più di un anno da quando Cecilia si era tagliata le vene, spargendo il veleno nell'aria, una fuoriuscita alla fabbrica di automobili aumentò il tasso di fosfati nell'aria e causò il formarsi di una pellicola d'alghe così spessa che l'odore di palude infestava l'aria, penetrando nelle ville eleganti. Le debuttanti si lamentarono di fare il loro ingresso in società in una stagione che tutti avrebbero ricordato per il terribile odore, ma gli o'Connor ebbero una trovata geniale, decisero che il tema della festa della loro figlia Alice, anch'essa debuttante, sarebbe stata l'asfissia, ma come tutti, volevamo dimenticare le sorelle Lisbon. Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta. In fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. La sola cosa che contava è che le avevamo amate, e che non ci hanno sentito chiamarle, e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze, dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme.
Fu l'ultima volta che nuotammo insieme, lontano e in mare aperto, sapendo come sempre che ogni bracciata verso l'orizzonte era una in più che dovevamo fare per tornare a riva. Ma quel giorno successe qualcosa di diverso, ogni volta che Anton cercava di distaccarmi mi trovava sempre vicino a sé. Poi finalmente accadde l'impossibile (il fratello Anton sta per affogare)... In quel momento della nostra vita si vide che mio fratello non era forte come credeva e io non così debole e quel momento rese possibile tutto il resto.
- Julien: Ci sono due o tre cose che non mi hai chiesto e mi dispiace, ci sarei riuscito... - Sophie: Tipo? - Julien: Mangiare formiche, insultare il primo violino dell'opera... Amarti come un pazzo.
Mae Mobley è stata la mia ultima bambina. Nel giro di dieci minuti l'unica vita che conoscevo non c'era più. Dio dice che bisogna amare il nostro nemico. È difficile, però... Ma si può cominciare dicendo la verità. Nessuno mi aveva mai chiesto cosa provavo a essere me stessa. Quando ho detto la verità... Mi sono sentita libera. E ho cominciato a pensare a tutte le persone che conosco... e alle cose che ho visto e che ho fatto. Mio figlio Trilor diceva sempre che un giorno ci sarebbe stato uno scrittore in famiglia... Credo che sarò io.
È tutto. Così abbiamo vinto la partita... Insieme, felici. E là in fondo al cemento, abbiamo condiviso il sogno della nostra infanzia. Il sogno di un amore senza fine.
- Damon: Bel pigiamino. - Elena: Sono stanca Damon. - Damon: Ti ho riportato questa. - Elena: L'avevo data per persa, grazie... Ti prego ridammela. - Damon: Ho solo una cosa da dire. - Elena: Perché devi dirmela senza che indossi il ciondolo? - Damon: Beh... Perché quello che sto per dirti è probabilmente la cosa più egoista che abbia mai detto in tutta la mia vita. - Elena: Damon, non farlo. - Damon: No, devo dirtela solo una volta. Tu devi solo ascoltare... ti amo, Elena. Ed è proprio perché ti amo, che non posso comportarmi da egoista con te. Ecco perché non puoi saperlo. Non ti merito... Ma mio fratello sì. Dio quanto vorrei che non dovessi dimenticarlo. Ma devi.
Io avevo da lungo tempo deciso di dire assolutamente tutta la verità, senza rime, senza abbellimenti. Ho avuto resoconti di prima mano di tutti gli eventi ai quali non ho assistito personalmente, le condizioni in prigione, l'evacuazione da Dunkerque, tutto quanto. Ma l'effetto di tutta questa sincerità era così disumano che non riuscivo davvero più a immaginare quale ne sarebbe stato lo scopo. Perché in effetti io fui troppo vigliacca per andare a trovare mia sorella nel giugno del 1940, non andai mai a Balham, quindi la scena in cui confesso a loro è immaginaria. L'ho inventata e infatti non sarebbe mai potuta accadere, perché Robbie Turner morì di setticemia a Bray-Dunes il primo giugno del 1940, l'ultimo giorno dell'evacuazione. E io non ebbi mai la possibilità di chiarire le cose con mia sorella Cecilia perché lei rimase uccisa il quindici ottobre del 1940 dalla bomba che distrusse le tubature del gas e dell'acqua sopra la stazione della metropolitana di Balham. Così mia sorella e Robbie non riuscirono mai a passare del tempo insieme, come tanto avevano desiderato e meritato e come da allora io ho, come da allora io ho sempre sentito di aver impedito, ma quale senso di speranza o di soddisfazione avrebbe avuto un lettore da un finale del genere? Così nel libro ho voluto dare a Robbie e a Cecilia quello che avevano perso nella vita; mi piace pensare che non sia stata debolezza o evasione, ma un atto finale di gentilezza. Io ho restituito loro la giusta felicità.
Partita per Sophie, e da allora un incubo. Più niente per 10 anni, più niente per 3652 giorni e 3653 notti. Finito il gioco, i giochi, il pepe della mia esistenza. Ho errato nella mia vita come una tragedia di Racine, Hermione versione uomo. Dove sono? Cosa ho fatto, cosa devo ancora fare? Quale impeto mi coglie, quale dolore mi divora? Ah, non posso sapere se amo o se odio. Sophie mi ha assassinato, trucidato, scannato, fregato, rovinato e chi più ne ha più ne metta. E poi ho finito per pensarla all'imperfetto, a rassegnarmi alla mia scialba felicità. L'amore, la famiglia, il lavoro, l'antenna parabolica, i gesti quotidiani...