Lenta la nebbia s'alza dal mare alla montagna coprendo il cielo azzurro di luttuoso manto mentre la massaia accanto al focolare a rimestare intenta è il desinare. Di presso, del cane l'abbaiar rabbioso s'ode e di tanto un raglio sgradevole l'accompagna col muggito del ruminante bue cui il belar della lanosa pecora fa eco col grugnire d'un maiale che del rumoreggiare pare stufo. Il rude contadino sul ceppo assiso pensoso è del domani; di quello che sarà: Pioggia, vento o neve o il sol risplenderà? Così, assorto, in ansia mesto sta. La pipa tra le labbra; il fumo in alto va e stanco, un sonnellino seduto resta e fa.
Ogni mattina allo spuntare del giorno, all'apparire dell'attesa aurora sorgesse il sole o spirasse bora * o ch'estate fosse o piovoso inverno
senz'alcun'indugio al campicello sperando mettere qualcosa nel paniere t'incamminavi per la ricerca giornaliera, con chissà qual'altri pensieri nel cervello:
Quante volte, però' fu la ricerca vana, quante volte il ritorno fu triste e deluso che vuota fu la cerca quotidiana e altro giorno in fame s'è concluso.
Nel desolato teterrimo abituro, sfumata la speranza del mattino tutt'intorno t'appariva ancor più scuro ma la speranza non avea confino.
In quegl'anni di epidemica carestia puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa. Povera in tutto, o nonna, io nol capia perciò lo cuore me lo stringe morsa.
Grande, se solo poco avessi riflettuto t'avrei qualche sospiro, forse, lenito. Nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto! Il rimorso mi rode all'infinito.
Penoso è lo restare entro lo limbo Pure se di spazio n'è in sopravanza Chè libertate mai è abbastanza e desioso n'è pur docile bimbo.
Fanciullo d'incerto passo al lembo Di veste di mamma s'attacca con speranza e nell'abbraccio cessa sua doglianza . Così vedrebbe lo cuor mio cader lo piombo
Che lo rilega in sì tale disagio Sol se s'avesse di Beltà qualche spiraglio e realtà scostasse falso miraggio.
Nel cuore m'è scolpito dorato fregio da Mano divina che pote simil taglio ma mano d'uomo mai può farne omaggio.
Ah! Se potessi essere non io e al par di Dante mi facesse Iddio dell'Esercito branca tant'onesta con diligenza canterei le gesta. Con mano lesta stilerei lo scritto e, di Te, Grande, narrerei l'editto.
Se, poi, di Giotto avessi mente esperta Tua storia pingerei con mano certa; l'illustrerei su tela ricamata come nessuna mai fu disegnata. A Dio che innalza e abbassa pregherei Onde uguagliare altra mai potrei.
Se del musico Verdi avessi l'estro le lodi canterei da gran maestro: Le canterei al suon di cornamusa e in ciel l'innalzerei, storia diffusa. Dolce all'orecchio il suono giungerebbe Tal che manco melodia d'Angeli terrebbe.
Povero sono, però, in mente e arte perciò ogni velleità metto da parte; il sangue forte pulsa nelle vene sferzando nel cervello forti pene. In minuetto mi muovo in queste righe come formica nel trascinar le spighe. M'accosto, con timore, tremolante a narrare di Te, Uomo importante.
Degno di fede e di vetusto onore il bene altrui alberghi dentro al cuore, da sempre per l'altrui la vita doni: Fedele più dei cani ai lor padroni. Quella divisa nera a strisce rosse vanta conquiste di molte riscosse: La porti con l'orgoglio del gran Fante d'importante battaglia reduce zelante...
Ti volle Emanuele Primo di Sardegna quale tutore d'ordine e di legge; presente sempre dove il male affligge resti al tuo posto fino alla consegna: Rivedo la battaglia di Pastrengo, della Sforzesca e quella di Novara, per questo dentro al cuore mio Ti tengo e la Figura Tua m'è dolce e cara.
In Aspromonte e sul silano monte hai combattuto lotte da valente, avverso i disonesti, per l'ostaggio, reprimesti nel silenzio il brigantaggio. In Libia fosti a conquistar medaglie lasciandoti alle spalle molte Spoglie, nella campagna fosti a Senafè e combattesti in quel di Macallè.
Del sangue Tuo inondasti Podgora e quel Tuo sacrificio vale ancora, mostrandoti al dovere servo ligio rendesti alla Nazione gran servigio. Nei secoli fedele: Qesto il Tuo Motto fedele resti in tal mondo corrotto, lo fai per dedizione al Tuo dovere, degno sei d'ogni stima, carabiniere.
La serenità non è roba palpabile tanto che cosa non è manco visibile, nemmanco è qualcosa d'acquistabile possederla, però, è anche possibile.
Di quel che si ha bast'essere contento; ti basti il dieci, non cercare il cento, non t'irritar se forte soffia il vento mentre la pioggia speravi qual'evento.
Non pensar quel che potea ma che non fu pensa, invece, piuttosto a quel ch'hai tu, non desiare di scala andar sempre più su fermati! Guarda quant'altri a te son giù.
Indi, restando immoto di serenità l'animo t'è pervaso ché sazietà ha per quel che il Ciel gli ha dato e l'essere n'è tutto inebriato.
Vuoi per mola, per faccia ed andatura, per volgarità d'animo e costumanza, per trivialità di far la sua pastura* da porcara, dei porci ha stessa usanza.
Il puzzo che sprigiona è come puzzola, più di vipera ha dente avvelenato; subdolo insetto al pari di tignola cui l'operare il male è gusto innato.
Di cattiveria pregno il suo giaciglio, tutt'intorno l'aria puzza del Maligno e manco l'incenso dato a gran sparpaglio riesce a profumar quel volto arcigno.
Spregevole più di Circe per tranelli ch'avea, però, un corpo snello e bello e tramutava in porci questi e quelli onde tenere Ulisse nel suo ostello.
A differenza ha vita orripilante, maestra nel ferire esseri in norma, nessun per essa mai fu spasimante mancante essa di modi, d'arte e forma.
Se maggiore uso dello specchio avesse, se riuscisse a contemplarsi dentro, se sol di coscienza a conoscenza fosse vedrebbe la lordura cui sguazza al centro.
D'umano parmi sì, ch'abbia qualcosa: é un grave atteggiamento a lavandaia; no! Per la categoria è offesa a iosa in quanto oggetto dell'immondezzaio.
Forgiata da Mastro che dei maestri è Mastro di nobili metalli in uno fusi cornice pende, di fiori ricamata. Non di minore pregio nastro la regge che, ad avorio appeso, più regal la rende.
Da sfondo, luminoso come sole, appare un cuore che a caratteri di fuoco ha inciso: Amore. Dal dio Vulcano indelebile la stampa è apposta che alle cure affidata l'ha della dea Vasta
che al focolar dei buoni è attenta e lesta. Nel mezzo, la cornice, un quadro la sovrasta ch'a le immagini di tre racchiuse in una da divinità bendata, detta Fortuna.
Una, grande e possente è la figura che alle altre due profonde dolce cura. Dal petto emette solo dolci suoni; dolce lo sguardo, occhi belli e buoni.
Gentile nel suo far, cortese in tutto grand'albero v'appar cui pende buon frutto, Il frutto coprodotto è dolce e fresco ch'anco il pianto per l'anima è rinfresco.
Altra dolce e buona figura l'accompagna ch'è degnamente degna sua compagna; reso felice ha lui col pregiato frutto, ella è felice mamma e moglie in tutto.
Assai più bello è il quadro quì descritto ma riportar su carta non m'è concesso ché ai soli Grandi ascritto è tal diritto: Sol loro, a cose belle, han riservato accesso.