In un cocente dì d'un assolato agosto Milite, in man di campo fiore e due viole, sotto il vermiglio luccicante sole avanza verso noi a piede lesto.
Veste uniforme chiara, coloniale e casco di sughero di bianco colore. Piange nel rivedere il casolare dopo un'assenza più che quinquennale.
Alla commossa mamma un forte abbraccio, un bacio in fronte, una dolce carezza, Sii serena: finito è il pasticciaccio. Con le robuste braccia mi cinge con gaiezza:
Mai più tristezza: Or qui è il tuo papà. Allegro, non lacrimar: giammai parte papà.
La vita che sol triboli mi ha dato, l'amor qual sentimento mi ha insegnato e poiché soltanto in bene essa spendo nato son io per morire cantando.
Sono, pertanto, grato al divin Padre d'avermi dato in uso strada madre, che se anche ho sudato in suo percorso molte di pene ho scosso di sul dorso.
Sono in attesa, ora, dell'ultimo atto, mentre pago canto l'appreso motto: Padre celeste, Iddio dell'Universo fa che Ti giunga, in prece, ogni mio verso.
Di Preziosissime pietre adorni, due gioielli di platino con arte di divin mano forgiati, che mai ad umano concesso fu far sì belli ad altro, di men preziosità, furo affiancati. Alfin che in scrigno, come in corpo anima, li custodisse al par di reliquie di beati essi, cui alto valore dato non è far stima, ad orafo in cura furono affidati.
Fu l'orafo, ahimè, turbato dal Maligno che con fare suasivo quanto loquace dire a distruggere i preziosi del pregiato scrigno lo spinge e la ricchezza nel fango fa finire. Come voce umana sotto palazzi sgretolati miste a pianto e suppliche infinite due voci s'alzano a lamenti tormentati, per l'azione ricevuta, inorridite.
Sono le voci di due rondinini ch'assistono dolenti al frantumarsi del lor caldo nido di Dio, la sua pietà, piangendo implorano: Non trasportarci, no! in altro estraneo lido. All'esile filo della speranza appesi col cuore in gola, con la voce spenta, sconfitti, feriti, stressati, offesi e vilipesi pietà, oh Dio, pietà! Perché ci vuoi trafitti?
In un angolo remoto sono due stanche latte che il satanasso a calci e appulsi precipita in un fosso i cuori infranti, le costole rotte; mortificata ognuna, sì, ma non stizzita a sera lo guardo triste volgono al Ciel beato col pianto in cuore, col perdono in mente pregano alfin che l'orafo nel baratro calato al nido piagnucolante torni, serenamente.
Fulgido fiore al pari di violetta Candida più del candor di giglio, profumatissima qual fiore di tiglio; e tant'altre qualità hai pargoletta.
Quanto profumo e qual da giovinetta Custodirai nel tuo diletto petto? Quanti steli piegheranno al tuo cospetto Se già cotanta ricchezza hai piccoletta!?
Se in terra ubertosa è allignato Querciolo che sviluppa dritto e robusto Qual in altro terreno può dirsi arbusto Meglio o al par di quello là maturato?
In fronte a esso ognun s'affloscia E reggere non può al suo cospetto Chè se un arbusto già splendido nasce Già tutte qualità racchiude in petto.
Scarso è lo mio dir per te, o bella Ilenia, perché dire di splendida Stella Non può chiunque a tavolo s'accosta Ma chi ha cervello assai e niente crosta.
Quanta tristezza, o Dio, che sofferenza avere tanti fratelli e esserne senza. Forse perché l'umanità non tiene essenza diniego, perciò, d'affetto e indulgenza. Se nell'amor non è la temperanza tosto scompare da mente la pazienza, si spezza il sottil fil della speranza, subentra, indi, rabbia e arroganza. Finché della sincerità c'è la presenza appare tutto favola e romanza; allorquando qualcuno vive d'importanza l'altro fa calare nell'impotenza perciò a mano che quell'altro avanza colui che pria tenea pari uguaglianza cade e finisce presto nell'indigenza. Quell'altro, lo spergiuro, nell'indecenza. Se spiegare si dovesse la causanza di tal caparbia e stupida perseveranza ciascuno direbbe: In me è tolleranza. Altri son privi di buona coscienza ignari di cos'è la fratellanza.
Per più mesi fui protetto tra le mura d'una roccia ma anelavo d'essere stretto con amore tra le tue braccia.
Le pareti lisce e spesse aveano forza di corazza, sol poté la tua tristezza penetrare entro le stesse.
Or con l'uovo che s'è schiuso finalmente son disceso a ridare il perso riso al dolcissimo tuo viso.
Questa notte t'ho sognata, ti ho veduto addolorata per dei scrupoli e rimorsi ai reali fatti inversi.
Dal natante dondolato m'ero un poco appisolato quando in cima a scalinata una scritta illuminata
l'arcano mi ha svelato: Un Arcangelo alato in Cielo era cercato, indi a sé l'ha richiamato.
Era scritto, decretato che l'evento fosse stato. Perciò, il pianto sia sorriso, la tristezza sia allegrezza, il dispero sia speranza e la fine sia l'inizio.
Frutto di un emerito cretino circola per le vie un volantino; scritto l'ha con mano malandrina persona disgraziata, burattina.
Verme strisciante, misera carogna l'essere tuo è tutto una vergogna; sei un vile mascalzone puzzolento, essere abietto, indegno e virulento.
Mente maligna, produttor di male la lordura scritta, dimmi, a cosa vale? Il profano al divino hai mescolato per questo, farabutto, sarai schiacciato.
Mente malata, instabile e corrotta l'opera infame segna la tua condotta; peggio di Giuda sei e di Caino impiccati, bastardo, sei un assassino.
Di giovani hai violato i sentimenti, perché non hai attaccato altri elementi? Rispondi, lestofante, vieni avanti mostra tua faccia, i toni tuoi arroganti:
Aguzzino, miscredente, delinquente degno non sei di stare tra la gente giacché rifuggi dal civil confronto e dell'anonimato tieni conto.
Vergognati! Anima vile di peggiore specie, bestia feroce, trafiggitor di cuore, al posto delle mani hai degli artigli dimmi, carogna, tu ne hai di figli?
Hai conosciuto mai dei sentimenti? Sai dirmi quanto sono sublimanti? O rettile sei nato tu strisciante ed odio alberghi per la buona gente?
Hai segnalato del Vangel dei versi ma quei tuoi scritti ad esso son'inversi: Hai giudicato senz'alcun diritto possa in eterno piangere il tuo scritto.
Dal chiarore delle stelle, nella notte fredda e buia nel fetore della stalla s'è calato il Redentore. adagiato sul giaciglio, ricoperto fu di paglia ché quell'era il focolare attizzato dal respiro di quegl'esseri viventi che al peccato erano assenti. Gli era accanto, un po' tremante per stanchezza e di paura, quella Donna mesta e pia che più avanti prende il nome di Santissima Maria. Cereo il volto, stanchi gli arti per cammin di lunga via, aggravata dal gran parto, mal reggevano i suoi occhi ma l'evento era sì grande che le pene poco sentia. Ad un lato, inginocchiato, era in umile preghiera quel brav'uomo falegname che d'averi superava un qualunque alto reame. Era fredda quella notte, era neve a fiocchi a fiocchi, v'era turbinio di vento, era buio tutt'intorno. S'aspettava il nuovo giorno. Una stella rilucente si partì dall'Oriente rischiarando dal gran buio il cammino ai viandanti ch'erano i tre grandi re magi. Da dimora dei lor luoghi carchi ivano d'omaggi alla grotta di Betlemme onde rendere ovazione d'ogni cosa al Creatore che pur piccolo com'era l'universo gli soggiaceva. Cielo e terra, mari e laghi, acqua e vento, monti e piani, neve e nebbia, sole e stelle, luna e buio, grandine e gelo tutto quanto gl'apparteneva. Tutto suo era il creato ma, poi, l'uomo vile e ingrato Tutto quanto gli ha negato. Solo il bue e l'asinello con Giuseppe e con Maria i re Magi e l'Angioletto gli rimasero vicino mentre Erode già pensava come farlo eliminare. Dai re Magi s'aspettava di sapere ove cercare ma dal cielo appare un Angelo ch'altra strada fa lor fare. Ampie ali, vesti bianche dalla Reggia del Divino con un tuffo s'avvicina a Giuseppe che dormiva Messaggero, che il Buon Dio giù spedito avea al Messia e, accosto all'orecchio gli sussurra: Presto, presto per il ben del Pargoletto svelto, giù, salta dal letto, corri via con Gesù e la Santissima Maria. Questo è loco non adatto, questo è loco di misfatto. La Santissima Maria pur se stanca non dormia, indi, stretto tiene in braccio il Figliolo benedetto. Quindi al bue dolce e buono danno in testa una carezza e in fretta dalla stalla menan fuora lo somarello e la Donna benedetta, la Santissima Maria, stretto in braccio il Bambinello, si sistema sulla sella del docile asinello e, intraprendono il cammino per il loro nuovo destino.
O campagna dei miei dolci anni verdi che l'animo m'empisti di bontate per tutte tue amabili qualitate disseminate ne li prati verdi.
Tutto di te mi è caro, dolce campagna! Dal fine olezzo di fragile viola, all'incessante frinire di cicala al raglio d'asino e abbaiar di cagna,
L'odor di biancospino e di mortella frammisto a quel di mosto e uva passa, con quel dall'oro che giammai si cessa e quell'intenso della cedronella.
Lo lieve mormorio di fronde intorno, la quiete a frescura di quercia annosa, il tenue venticel che ognun riposa m'invitano se vado, al lesto torno.
E io mi tornerò alla tua dolce quiete giacché qualvolta che a te m'appresso turbamento ch'ò in cor tosto m'è cesso ché in mente è 'l rimembrar giornate liete.
In te ritrovo del gran Dio la pace cinta d'amenità e Sua fulgente face.