Ben trenta gioni seguita torpore e a quella vita da briosa e sveglia intrappolata in serrata tenaglia manca la forza di saltare fore:
Cervello da destro a manco settore or si rimove lesto e si frastaglia * * Campeggia e nuova ricomincia altra battaglia dando a ogni cosa giusto valore.
Abbia ogn'avvenimento suo percorso; è razionalità che ciò comanda e bizzarro è pensar stornarne corso.
Nessun potrebbe dare impulso inverso a nave cui nocchier gestisce l'onda; sarebbe rivoler giorno decorso.
Disquisire di te, del tuo sembiante arduo perviene a me vate cadente che altre sublimi Menti aviano vanto con diligenza dire di tanto manto. La testa ch'è vagante e pertinace non tiene pace a essere incapace
e allora s'inoltra nell'oscura selva, tenacemente, ad affrontar la belva. L'arma con cui combatte è una penna che patisce dir del cervel ch'affanna, che s'arrovella e non trova forma l'enunciar che vorrebbe in piena norma.
Mò pare che irta poco meno è l'erta, indi, la scritta scorre un po' più certa. Entra nel mezzo di folta foresta e, caparbiamente, a belva tien testa. Vede la bontà dell'esser tuo, descrive la dolcezza del tuo cuore, rivive
quanto grande per l'altrui hai amore e della carità lo gran spessore. Ma nell'andare incespica, cade, s'alza, si rincammina, ricade, sobbalza ma intricato di cespugli è il loco indi la penna più non regge il gioco.
Si sfiducia, s'abbatte, indi, soggiace. ma sol per poco, essa, però, si tace. Chè una penna pur debole e flemma si scalda e brucia più d'immensa fiamma, e ancora maggior di fiamma rossa diviene se a bontà s'affaccia e non a pene.
Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare d'uomo gentile che sa soltanto amare. Di te vuol dire, Cavaliere illustre, della schiettezza limpida, campestre ch'altra maggior, giammai, rilevi altrove e puranco la scorza zotica rimuove.
Cuore gentile, colmo d'ogn'affetto che per il ben'altrui non tien difetto, proclive e lesto a propinar man forte e al bisognoso schiudere le chiuse porte. Se di un essere eretto già hai scritto e anche in verbo ripetuto e detto
della dolcezza e umanità infinita ch'altro vuoi dire che porta in sé tal vita? Ch'altro un uomo può aver che spinge oltre la carità e che dolcezza aggiunge a stile, bontà, fede e grand'amore? Se cotante virtù racchiude in cuore
cosa vorresti, penna, dire più ancora? Qui, diletto amore, la mente si scolora perciò t'implora a gentil riflessione alfin che t'ammanti di comprensione e per la mente che troppo vacilla quanto pel cuore che in pett'oscilla.
Se fortemente speri avere ciò che non hai, se con mente vagando vai sinceramente, se desiderio ch'è in te è puro e vero, se il vagheggiar rivolto è a Dio, aspettativa, desiderio tutto s'avvererà; ché questo sogno Dio mai eluderà.
Col nodo in gola, spezzato il cuore, tremante di sconforto e di paura su incerto legno con acque minacciose, turbolenti sferzanti i fianchi esule desolato strascicante va.
Trepidante alfin su sconosciuto suolo approda e pausa che generoso cuore ad esso va.
Or se l'umanità Fosse men cruda E se un poco d'amor Tenesse in cuore Né tu, né io e nessuno Terremmo corpo E anima a digiuno.
Scrive un Nobel che pur stando in punta di piedi mai vide il Signore Iddio passare per le vie. E allora bisognerebbe arrampicarsi in cima al sicomoro per vedere il Signore se mai passi. Di contro, posso dire, inchinandomi umilmente al Grande del novecento, che pur senza sforzarmi di stare in punta di piedi o arrampicarmi sugli alberi l'Onnipotente lo incontro tutti i giorni e in ogni luogo, nelle grandiose opere da Lui compiute e nei miracoli che perpetua, da sempre, ogni giorno.
Avevo immenso bene e l'ho perduto, falce crudele passò e l'ha mietuto; venne quel giorno, venne all'improvviso, sulle labbra gli smorzò il bel sorriso.
Era d'autunno, era piovoso il giorno, inerte lo trovai al mio ritorno. Tutto si rabbuiò, fu notte fonda, sommerso fui, come da alta onda.
Nessuno al mondo è bene tanto grande che amor per quanto grande tanto spande non ricchezze vi sono ne tesori che il bene indicato solo sfiori.
Non è somma da dar per questo bene ché il mondo intero non lo contiene, nessuno può pagarlo né acquistarlo può solo averlo chi vuol solo amarlo.
Voi che l'avete ancora, voi fortunati, voi, oggi più di ieri, da esso amati stringetevelo forte sopra al cuore dategli il calore del vostro amore.
È del pianeta terra essere vivente e come nessun'altro è più amante; a nessun figlio mai procura pene, ha nome mamma, quest'immenso bene.
Tu, che rilassato, all'ombra degl'austeri pioppi sprofondato sei in sonno tranquillo e resti steso al loco dei misteri, tornato sei alla terra, suo pupillo.
Tutto scordato hai dacché sei chiuso, tutto scordato hai dacché sei steso; se piove resti là, come recluso, tra cielo e terra resti là, conteso.
Manco ti smuovono i caldi raggi di cocente sole d'estiva calura, né scuotonti li vermi dei paraggi e d'aria t'è ripugna ogni fessura.
Prima che fosti tu, fui così pur'io. Prima che mi partissi stetti lassù, non sai che stare dolce è in quest'oblio: Ah! perché non scendi pure tu quaggiù?
Non devi mai dormire perché già dormi, non devi mai svegliarti, non è risveglio; ten stai disteso sotto i grandi olmi, posto più quieto non esiste e meglio.
Beato te se scendi in quest'anfratto: Il luogo lo dimori senza sosta, nessuno sogna mai di darti sfratto, stai pur tranquillo: Non arriva posta.
Maestri qui non sono né mastri d'ascia, avvocati e notai qui non trovi; chi quivi approda tutto a terra lascia, non sono né alberghi né ritrovi.
Pioggia mai fu e immenso mare giace; tutt'è frastuono ma rumor non senti. Se qui ti stendi resti in grande pace; l'Alme son tante e tutte son'assenti.
Fors'io verrei pure in quella valle ove mi dici che c'è tutto e nulla, lasciando, ahimè, la conosciuta calle per coricarmi in quell'oscura culla.
Ma il dire che tu fai parmi mistero: Nel cranio gira forte l'emisfero, nel petto dice il cuor: Voglio pulsare: Non dire nulla ancor, lasciam'andare
Scendere in tale luogo non mi lice ove ognuno parla e nessun dice, ove tutt'è silenzio e nulla tace, ove frastuono è ma è grande pace.
Il racconto, mi pare d'altro mondo e partorito da mente malata; è come in aria fare il girotondo e la matassa è troppo ingarbugliata.
Tutto il tuo racconto è un enimma che in toto pare solo melodramma: Indi, eternamente restati laggiù ch'io preferisco starmene quassù.
Ogni mattina allo spuntare del giorno, all'apparire dell'attesa aurora sorgesse il sole o spirasse bora * o ch'estate fosse o piovoso inverno
senz'alcun'indugio al campicello sperando mettere qualcosa nel paniere t'incamminavi per la ricerca giornaliera, con chissà qual'altri pensieri nel cervello:
Quante volte, però' fu la ricerca vana, quante volte il ritorno fu triste e deluso che vuota fu la cerca quotidiana e altro giorno in fame s'è concluso.
Nel desolato teterrimo abituro, sfumata la speranza del mattino tutt'intorno t'appariva ancor più scuro ma la speranza non avea confino.
In quegl'anni di epidemica carestia puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa. Povera in tutto, o nonna, io nol capia perciò lo cuore me lo stringe morsa.
Grande, se solo poco avessi riflettuto t'avrei qualche sospiro, forse, lenito. nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto! Il rimorso mi rode all'infinito.