Scrive un Nobel che pur stando in punta di piedi mai vide il Signore Iddio passare per le vie. E allora bisognerebbe arrampicarsi in cima al sicomoro per vedere il Signore se mai passi. Di contro, posso dire, inchinandomi umilmente al Grande del novecento, che pur senza sforzarmi di stare in punta di piedi o arrampicarmi sugli alberi l'Onnipotente lo incontro tutti i giorni e in ogni luogo, nelle grandiose opere da Lui compiute e nei miracoli che perpetua, da sempre, ogni giorno.
All'apparire del solstizio estivo vaga la rondine per il ciel sereno e tutt'intorno inonda del garrir festivo. Ora repente in alto, ora s'abbassa or brevemente librasi, ora il terreno volteggiando lambe con scattante mossa. Nella belletta posasi per la materia del costruendo nido e alla rana che nella fanghiglia sguazza solitaria: Rotoli sozza e gracidi contenta e stai in cotanta puzzolente melma. In acqua, però, poi, mi rituffo attenta dice la rana; non tu che ne fai letto e giorno e notte ci rimani accolta. Mira il tuo sporco e ner'aspetto così t'accorgi che d'essa resti avvolta.
Costantemente in terra l'uomo è vilipeso perciò, ahimè, chi vive su questo Pianeta tosto, spesso, tiene voglia di giungere alla meta giacché più il tempo scorre più la vita è peso.
Vuole il buon Dio, però, che in alto è altro Loco laddove si vive eternamente in piena pace dov'è quiete perenne; è luce, e tutto tace.; contrario di quanto si ha in questo fuoco. *
Se in disgrazia per sfortuna cadi E aita chiedi a quello ch'è tuo amico Allora conoscere puoi quant'è sincero. Se alle tue necessità dona calore Di certo è sincero e amico vero Ma se, di contro, si squaglia e cerca Scusanti mancando del suo aiuto Non è amico vero ma bacato E somiglia a mela ch'è lucente fuori Ma dentro è marcia e d'invertebrati Laidi succhioni è popolata.
Nel corso di sua vita un sentimento unico l'ha sempre accompagnato mai, in nessun tempo, nemmeno per un momento tal'alto sentimento l'havea abbandonato finché avvenne un dì scompiglio in mente sua che quale gran macigno schiacciavagli la coscienza e lo rendeva niente. Da energici e vitali flemmi
i pensieri furo, tutto abbagliato vide e il male quale tarlo rodeva i buoni intenti e lo sbagliato al giusto s'imponeva e vile lo rendeva. Più pace mai s'avrà ché il sentimento se pur per poco lasso s'è dipartito altrove rendendolo sgomento talché triste morire non è ma desiato. Purità! Per tanti lunghi anni stata gli sei vicino, l'hai per man portato, l'hai sempre ben guidato: Eri appagata: Perché o purità lo hai abbandonato? Vero che in abituale tua dimora sei tornata ma il segno dell'assenza chi lo cancella mai? Quel ch'era allora più non sarà da ora. Più non è l'essenza.
L'incerta fede che porta poco sollievo gli offre e chi, allora, più l'allieterà? Mai cercò onori, sempre ne fu schivo, e alla sua follia chi ora crederà? Fu la pazzia a travolgerlo, a fargli tanto male, soltanto in sette giorni sconvolsegli la vita come guerrieri in armi sconvolgono palazzi, rovesciano governi.
Maligno maledetto! tutto gli togliesti: La sposa stanca e buona, i figli, i nipotini: Quanto cattivo fosti! Eri in agguato, colpisti con gli artigli. Dell'orto distrutto hai albero e frutto perciò desiderio della fine avverte così, Maligno, sei contento in tutto mentr'egli riposo avrà perché inerte.
Vergogna nel guardare i figli porta, indegno d'abbracciare la sposa amata, non ha argomento no, nulla gl'importa, non ha coraggio a dire: O mia adorata. Il cuore t'ha trafitto o dolce donna per futile motivo e sciocco orgoglio; per lui sei stata portante colonna non piangere più di tanto la sua spoglia.
Per lungo tempo di te pur degno fu, fu la pazzia a sviarlo da sentier verace e tu, soltanto tu, puoi sol saperlo tu che solo per te vorrebbe riaver pace. Al Creatore credeva ed al creato, mai prima aveva in sé alcun reato, dell'onestà teneva culto assai ma cadde in burrone profondo, ormai.
La mente er'intontita e lui vagava, svaniva il sogno di restar coi suoi giacché il male per strada lo ghermiva e lo gettava infra immensi guai. Non fece, no, per nulla alcuna ruberia od offesa a qualunque esser vivente; giammai la mente sfiorò tal cattiveria ma di tal'azioni è meno che niente.
Commise illecito che vergogna mena per quell'essere ch'è certo cristiano poiché irregolarità comporta pena di profonda ferita dentro l'animo. L'illegalità non fu contro persona e nemmanco ad essere vivente in generale, può parere strano ma il danno verso altri è inesistente.
Il cruccio ch'à è d'essersi discosto da quant'imposto da Dio Salvatore perché, inopportunamente, con furbizia ha ricevuto ciò che lecito era in altro corretto modo, comunque, avere
Da retta via dal diavolo distorto agli uomini non voleva esser di torto e preso da enorme orgoglio sciocco resta stordito in immenso fosso. Sol Dio può dare ristoro all'alma sua, ridare la serenità che prima aveva, chetar la pena che gli arde in petto giacché non volea mancargli di rispetto.
Dolce immago leggiadra donzelletta Da tondeggiante capo da lunghi coperto capei castano scuro appena cadenti su serena fronte, palpebre ondeggianti, cerulei occhi, greco nasuccio conferente stile a visino liscio, modellato da mento ovaleggiante, ben formato con su boccuccia da carnose labbra sorridenti, da prosperoso curvo seno a snella vita il tutto coronato vedo. È natural bellezza in esso affissa, al cui cospetto umanità resta perplessa e nell'opposto sesso in vena il sangue trilla.
In luogo dei capei castano scuro teschio deforme è; laddove occhio ceruleo era favilla trapela buco nero, fondo, orrendo al par di sito cui pria era di spicco bocca da carnose rosseggianti labbra. Lungo quei ch'erano fianchi di crisma infusi penzolano, a lato, due ossei arti ch'orripilazione hanno su corpo tutto. Ov'erano due lunghe, tondeggianti gambe or sono due stinchi, disdegno dell'uman vivente.
Questo d'ossume gli occhi della mente vedono allato. Ah! Dove finita è leggiadra immago!? Come divina natura oprare puote mutazione sì tanta?
Alito è leggiadria che passa e va, non spirito che in corpo sta per proseguire, poscia, l'andar su le celesti vie.
Se all'inizial pudore ritornasse, Se alle virtù perdute risalisse Se di bellezza minor sfoggio facesse, se minore uso della lingua avesse, se insita l'umanità in essa fosse, se il senso di famiglia più alto tenesse e se quando altri parla lei tacesse, se fulcro in tutto essere non volesse, se non per se ma più per gli altri fosse, se dei malori suoi poco dicesse e con l'amore i dissapori superasse, se il sorriso sulle labbra più tenesse e se le sue fattezze meno mostrasse e mente a maggiore riflessione ponesse, se nel guardare le minuzie trascurasse e se l'altrui duolo suo lo facesse e delle sue miserie men conto tenesse e non i difetti altrui ma i suoi vedesse e all'umanità più amor mostrasse, se tutte queste doti racchiudesse della casa regina ad esser tornasse.
Da quando Iddio tutto creò d'un fiato È risaputo che la vita umana Per dono l'ha donata Madre Natura E concepita l'avrebbe sì perfettamente Che di difetto dovrebbe essere assente. Constato, invece, ahimè, amareggiato Che il dono è dono sì ma osteggiato E che non è in toto, indi, compiuto Ch'appare albero spoglio e mal pasciuto. Qual dono essere può la vita umana Se nasce gente storpia e senza mani? Se gente muore di stenti e carestia, in guerre, pestilenze e malattie? Se tanto definirsi è esser dono Mi si risponda: cosa c'è di buono?
Forse di buono è che all'altro Mondo delle privazioni si arriva mondo e si è elevati a dignità di Santo per non avere in terra avuto vanto.