Le migliori poesie di Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Arrivismo

Pusillanime, miserevole don Abbondio
dell'Opera manzoniana turpe figuro,
alla vista dei bravi, dal guardo truce e duro
fu, tremante del proprio io, dimentico di Dio.
Poscia, ancor, fremente di rabbia e di paura
cavalcar dovette la dispettosa mula
che rasentando sen'iva l'orlo dell'altura
con la testardaggine degna d'essa mula.

Di sua paura colpa nessuna avea, il poverello,
giacché cavalcato mai avea mulo o asinello.
Mai, prima, di brutti ceffi fu a lor cospetto
perciò il freddo trafissegli carni e petto.
La sua dimestichezza era il breviario
che al libro accompagnava del lunario;
marchiato, pur tuttavia, fu di vigliaccheria
cui mescolanza avea a risaputa tirchieria.

Col segno a fuoco sulla fronte impresso
per la codardia, vittima fu di se stesso;
qual'uomo da nonnulla fu additato
e da ciascuno schivato e allontanato.
Misero più d'egli è il cavaliere esperto
che di bestie da soma fu domatore certo,
dacché teschio è vuoto e di cervello senza
per perdita d'onestà, scienza e coscienza.

Grand'uomini furonvi d'onori e d'armi
che per amore ridussero lor intelletti inermi;
l'Orlando per l'Angelica perse il cervello
ma egli, per poco o nulla, perse il fardello.
Quegli nobile sentimento seguitava
per cui la sua pazzia giustifica trovava;
questi l'amata lasciava per materia
quando già dava, da trent'anni, onori e gloria.

Perso, con l'abbandono ha amori, grazie, onori
e scomparsi sono i prati seminati a fiori;
d'irsute spine la via tortuosa prende
mentre ogni giorno più in basso scende.
In quel che don Abbondio credea infausto giorno
reggere, della stupida mula, seppe il governo
e tra preghiere, lamentele, suppliche e lagne
agli applausi, alla fine, passò dalle vergogne.

Il cavaliere credendosi sommo del meglio
da furente il destriero lancia allo sbaraglio
mentre, lemme, l'arciere scaglia la freccia
che il cavaliere nuotar fa nella feccia.
Ora s'affligge sull'operato suo nefasto
cercando dar riparo al provocato guasto;
al coccodrillo s'accosta a somiglianza
che piange su distrutta figliolanza.
Nello Maruca
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    Scritta da: Nello Maruca

    Rimpianto

    Perché non torni mamma a far la mamma?
    Perché non riedi a noi addolorati
    E ai piccoletti far la ninna nanna?
    Perché rest i lontana dai tuoi amati?

    Da quando ti partisti, o dolce mamma,
    Il focolare in casa è sempre spento.
    Nessuno attizza più la rossa fiamma
    Dacché verificato è il triste evento.

    Quando ronzavi in casa era un incanto;
    nessuno gioca ora né suona e ride
    e gli occhi son velati e sempre in pianto;
    cotanta tristezza mai alcuno vide.

    Vengo là dove giaci, pel saluto,
    E più triste ritorno all'abituro
    Perché al mio saluto il tuo è muto.
    Nello Maruca
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      Scritta da: Nello Maruca

      Alta sei donna mia

      Alta sei donna mia turchese e bella
      ch'appari quale dal ciel discesa stella,
      lo guardo delicato è freccia in core
      che riempie di dolcezza e tant'amore.

      Profumata sei qual rosa e giglio
      più ch'al mattino emana fior di tiglio,
      là, ove il passo posi ride la via
      inebriata di profumo delicata scia.

      Sul dolce, sereno, splendido visino
      l'aspetto che raduni par divino,
      par che discendi da città remota,
      non già nata sull'umano pianeta.

      D'umana razza tieni appartenenza
      Indi pur d'essa tieni somiglianza;
      tuttavia diversa è ogni fattezza
      Per quanto stile e immensa tenerezza.
      Nello Maruca
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        Scritta da: Nello Maruca

        L'augurio

        Per quanto la vita è dono divino
        Pur tuttavia cosparsa è di periglio,
        trova nel corso guai e scompiglio
        e spesso è trafitta da pungente spino.

        Colpa spesso del crudel destino,
        A volte anche per umano sbaglio
        che non capisce quando dare taglio
        E spesso la linea varca del confino.

        Non sia la bellezza, indi, d'affanno
        Né la sincerità mai sia d'inciampo
        E non sia di vita il percorso invano.

        Sia la sincerità immenso campo
        Ove esistenza scorra sempre a piano
        E la bellezza non ti sia d'inganno

        Quest'oggi per volere del Somm'Iddio
        Varchi la soglia degl'anni diciotto,
        l'augurio che ti fò: Varca i centotto
        in salute, pace e nel timor di Dio

        Godi l'amore e il patern'affetto
        E al bisogno sii al materno petto,
        allato l'amore dei vetusti nonni
        senza sdegnare quello dei bisnonni.

        Sii serena nei pur certi affanni
        E nei travagli che la vita dona
        Ch'essa, giammai, a nessun condona
        Pene, sospiri e puranco inganni.
        Nello Maruca
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          Scritta da: Nello Maruca

          III

          Vecchio sono e bianco sono di testa
          Ma devo ancora fare l'ultima corsa,
          pur la famiglia resta negl'occhi desta
          pensando qual sarà l'ultima morsa.

          Stanco sono, avanti son negl'anni,
          volenterose restano, però, le spalle
          a sopportar lo peso degl'affanni,
          esplorare la cima il piano e valle

          alla ricerca del dolce Sembiante.
          Certo ch'altrove l'avrò: nel Paradiso.
          Distrutto vo a scovarlo col sorriso
          Nella presunzione di cercatore fervente

          Poiché vogliolo,, pure qui, sopra la terra
          Con la passion di chi guerriero è in guerra.
          Nello Maruca
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            Scritta da: Nello Maruca

            Lo scoramento

            Solo mi sento e desolato pure
            dacché a mancare mi vennero le cure
            di quanti nutro affetto e amore puro
            e dall'or lo tempo m'è amaro e duro.

            I vecchi affetti tutti in cor li tengo,
            spiritualmente tutti a me li stringo
            che se puranco, son fuggiti via
            parte son sempre della carne mia

            Di mamma l'immago tengo avanti
            che mi consola per i tanti assenti;
            papà mi dice col sorriso mesto
            sii negl'affetti ognora vigile e lesto.

            Ma anche stamane mi fui ancor deluso
            notando al fratel mio lo cuore chiuso
            giacché incontrato accennai un sorriso
            ma lui restassi fermo e tetro in viso.

            Allor bruciommi il petto tutto quanto
            e mesto restommi e deluso alquanto
            poiché l'alma si ravvivò al tormento
            ed ogni speme persi in quel momento.

            La voce mi venne dell'amata Mamma
            che muta sussurrommi flemma, flemma:
            non dare peso a quanto capitato,
            sia il fratello ch'ai da sempre amato.
            Nello Maruca
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              Scritta da: Nello Maruca

              Al mio maestro peppino

              Cinquanta d'anni ne son già trascorsi
              e sentieri impervi tanti ne ho percorsi
              così come puranco, assai di rado,
              varcato, serenamente, ho qualche guado.

              Ma sia che tempesta o bonaccia fosse
              giammai lo pensier mio da te si mosse
              e, per i ricordi del tuo grande affetto
              t'hò, piacevolmente, tenuto nel mio petto.

              Rivedo il lungo, dolce viso sorridente
              in quell'amabile fare accattivante;
              ricordo quel primo assai felice incontro
              che ai timori miei non fu riscontro.

              Avvenne il quinto giorno di lezione
              che perdemmo con "Turuzzo" la ragione;
              ci accapigliammo come due leoni
              per la macchia d'inchiostro sui calzoni.

              Mettesti me sulla coscia destra
              "Turuzzo" lo ponesti sulla sinistra
              e facesti che morisse quel rancore
              donandoci il sorriso del tuo amore.

              Stretti ci trovammo in un abbraccio
              mentre le lacrime solcavano le facce.
              Una carezza ancora, un bacio in fronte
              e fummo alla lavagna a far la conta.

              Questo il primo insegnamento che mi desti,
              tant'altri mano a mano ne seguisti
              e lo facesti con la nobile arte
              che dello spirito tuo faceva parte.

              Il senso di Dio nascere mi facesti.
              di Colui che dal nulla creò i Corpi celesti;
              di Chi tutto sa, tutto conosce e vede
              e dona vita eterna a chi Gli crede.

              Nacque, così, nell'alma mia la volontà
              di pregarlo e venerarlo in umiltà.
              Questo il buon seme che mi regalasti
              dacché con pazienza e amore mi seguisti.

              Presto il seme maturò buon frutto
              tanto che ad esso da allora devo tutto.
              Infondendo con la bontà l'amore in petto
              dell'essere mio facesti un uomo retto.

              Oprare potevi solo tu questo prodigio
              col dire e il fare nel contegno ligio.
              Grazie, caro maestro mio, Grande maestro;
              per tutto questo, grazie mio caro Maestro.
              Nello Maruca
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                Scritta da: Nello Maruca

                Disgrazia

                Quest'oggi il nervosismo è culminato,
                per questo ogni fatica ho trascurato,
                dopo avere girovagato alquanto
                entro deluso nella stanza accanto.

                Quel che quest'anno qui è capitato
                è avvenimento che va raccontato
                alfin che sappia chi ci ruota intorno
                della confusion che regna e del frastorno.

                Abbia pietà di nuova circostanza
                e prenda dell'ambiente nuova coscienza
                onde non abbia lui ad adirarsi
                e non costringa altri a morsicarsi.

                Approda, cheto cheto, a dirigenza
                uomo discreto dai capelli senza;
                non un mugugno mai, non una lagna,
                convive la miseria e si rassegna.

                Al contrario, però, vive quest'io
                che pur con nostalgia, fuori d'astio
                mi contorcio, mugugno e pur mi lagno
                tanto che cancrena l'ho financo in sogno.

                Guardo, lì, seduta a tavolino
                donna vestita d'abito di lino
                che al posto ci cercare d'operare
                dilettasi sulla sedia a dondolare.

                Lumacone somiglia a movimenti:
                Lenta nel fare, lenta in spostamenti.
                Con il lavoro pare ci si culla,
                a fine giorno non conclude nulla.

                Delle tante disgrazie è la più magna
                che capitata m'è tra nuca e collo,
                meglio se fosse assente alla bisogna
                ch'è personaggio di corto cervello.

                L'è di coronamento buon compagno
                che in tela incagliato pare sia di ragno.
                Prende, pone, riprende e poi ripone,
                s'arrovella, si strugge e non compone.

                Dai gesti, dal parlar, dal comportare
                i due al mio cervello fanno pensare:
                Bisognerebbe metterli in struttura
                ove potere offrir sicura cura.

                Stanco di permanenza in sì squallido
                loco mestamente m'avvio allo stanzone
                donde mi par proviene una canzone;
                accanto alla finestra è uomo gelido

                che al collo cinghia tiene penzoloni
                mentre reggesi con mano i pantaloni.
                M'accosto, al saluto mio risponde:
                Hai visto al monte che bell'alte onde?

                Brillano gli occhi, tremano le mani;
                presto men vò dicendo: Addio, a domani.
                Nel corridoio restano tre, in crocchio,
                che prima mai incontrato avea mio occhio.

                L'uno in altezza supera la norma
                e dall'aspetto parmi non sia in forma.
                Mi dà conferma, di mia impressione,
                al mio saluto, la truce espressione.

                Dei rimanenti due uno s'inchina,
                l'altro lancia coriandoli e farina.
                In aria li sparpaglia e volan via
                mentre gl'astanti invocano Maria.

                Sbigottito del far di quei signori
                accedo alla sala di lettura
                ove di doglianza carca e malumori
                trovo persona di scarsa cultura.

                In serbo tiene solo sconoscenza,
                superbia, arroganza ed indignanza **
                d'intemperanza tien comportamento
                e mostra di suo volto abbrutimento.

                Delle manchevolezze mie non dico:
                Quello che faccio spesso lo modifico.
                Dico soltanto che non son quel ch'ero,
                mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.

                Arricchito di sì tant'indigenza
                lesto men torno all'usuale permanenza
                convinto che l'ambiente mio disabile
                è, comunque, degli altri il più agibile.
                Nello Maruca
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  All'adespoto

                  Tu che all'ombra te ne stai, fango a dare
                  In ogni dove, non t'accorgi che il tuo fare
                  è spregevole e villano nel donare
                  Di spergiuro, di bastardo e stupratore
                  a chi intendi assai vilmente screditare
                  Perché speri di salire quella china
                  Irta e lontana che così tanto t'appare?
                  Se divieni più civile la cima s'avvicina.

                  Quanto al rito mafioso parmi essere
                  Lontano. Tu l'affermi e io ti credo:
                  alcun scambio non è stato. Sono vere
                  le asserzioni. Malaffare non ci vedo.
                  Quanto poi, ai lanzichenecchi, mercenari
                  Di professione eran tutti per sbafare?
                  E il regalo assai costoso magari
                  Ti fa gola? Ti consiglio: Sappi aspettare

                  Alla prossima annunciata sii leale
                  e coraggioso. Alla fine del tuo scritto,
                  Con caratteri ben chiari, scrivi il nome
                  e il cognome così come qui facc'io.
                  Nello Maruca
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Falerna mia

                    Sorridono sui monti gli alti faggi,
                    cantano in mare l'onde schiumeggianti,
                    il sol li sassolini fa splendenti,
                    rosso sul mar tramonto di suoi raggi.

                    Al core distensione loco dona,
                    dolce, lieve torpor la mente avvolge
                    ch'anima e core entrambi coinvolge
                    e tiepido calor le membra sprona.

                    Posto a ridosso de li verdi monti
                    ch'ossigeno gli dan e mane e sera,
                    olézzo di fior d'inverno a primavera,
                    l'addorme mormorio di pure fonti.

                    Una sol piaga, ahimè, è di tormento:
                    l'assenza di suoi nati miglior figli
                    che son per esso qual candidi gigli;
                    perciò si spira a poco, lento lento.

                    Spira pensando li lontani gigli,
                    spira, ma il cor trabocca di speranza
                    veder un dì veliero in lontananza
                    tra l'onde del Tirreno carco dei figli.
                    Nello Maruca
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