Le migliori poesie di Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

L'Angelo

In quel prato verdeggiante dall'odore
di bianco giglio, all'ombra di due tigli
son gioiosi quattro teneri germogli
che bellezza e candore tengono
più dei miglior fiori. Non son rose, nemmanco
gigli, sono gioie, amorevoli son figli.
Ma in un dì assai funesto tutto tosto
divien mesto per volere della dea
matta che al focolare dei giusti buoni
pene dona, dolori e guasti.
Là, nel mezzo di una siepe di quel lieto
orto virente si spalanca all'improvviso
una gola nera e fonda che una Gioia
ingoia e scaglia nelle viscere profonde.
Lestamente si richiude e la Gioia
nella melma con vigore affonda
e schiaccia e la stritola e affoga.
Lento, sotterra, scorre fiume silente
e l'inerte Spoglia in se, in un abbraccio,
accoglie. Senza sbalzi, quietamente,
la trasporta dolcemente e la dondola
e trastulla come mamma bimbo in culla.
Soavemente la quiet'onda l'accarezza
e con amore fuor da terra, indi, la pone
sulla spiaggia in faccia al sole
che al contatto del calore divien Stella
e in Cielo si trova. Dalla veste lunga
e bianca un Arcangelo l'affianca
e per la lustra Via al cospetto la conduce
di Colui ch'è pace e luce. Un sol bacio,
un sorriso ed è Angelo in Paradiso.
Dalla Reggia dei Beati spande luce
agli assetati e invita con ardore
a ber l'acqua del Signore. A quei Tigli
tanto cari stanchi e privi di vigoria
li incoraggia e sorregge carezzando
i cuor dolenti col sorriso dell'angelico
suo viso, lo splendore dei begl'occhi,
la dolcezza e il candore dell'immenso
gentil cuore ch'elargisce gioia e amore.

O, tu mamma triste e pia sii più forte,
sii qual Maria. Pensa solo che sto in pace
e che assieme alle altre Stelle sono
luce al firmamento. Se tu guardi il Cielo
a sera una Stella più lucente
si riflette nei tuoi stanch'occhi. Quella Stella,
mamma, son io che per te prego il buon Dio.

A te, padre mio adorato, sofferente
e addolorato, non star triste: Vivo
in Casa dei Beati ch'è accosta
ai Santificati. Tutto è pace,
tutto è quiete, tutto splende, tutto tace.

Tu che in terra fosti pria la lucerna
di mia via perché hai perso il luccichio?
Non sai tu, o sposa mia, che sto in Cielo
per le vie? Non sai tu che il Loco Sacro
ho raggiunto del Gran Padre? Il tuo uomo
più non sono, son di più, molto di più:
Sono l'Angelo custode che ti guido,
ti consolo e son teco in ogni dove.
Nello Maruca
Composta giovedì 30 novembre 2006
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'affetto

    Bisogno quanto l'aria per la vita,
    quanto d'acqua bisognevole n'è corpo,
    non meno del sangue circolante in vena,
    non meno di vena trasportare sangue,
    non meno di lingua a proferir parola,
    non meno d'anca per deambulare,
    non meno d'intelletto per capire
    e quanto occhi necessitano al vedere,
    non meno di narici per l'olfatto,
    non meno di palato per sapore
    e non meno della bocca per respiro.
    Quanto di queste cose vogl'affetto.
    Nello Maruca
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      Scritta da: Nello Maruca

      La sfortuna

      Se di palazzi, case e appartamenti,
      se di ville e terreni ubertosi
      e di estesi, proliferi prati erbosi,
      di greggi e mugghianti armenti
      avessi di tal possidenza poca contezza
      e se di seno fossi d'altra razza
      or non potrei qui dire di mia stanchezza
      ché alcuno dire mai avrebbe osato
      cosa che male avrei poi sopportato
      e avrebbe al mio cospetto ebbrezza
      non certamente per sua contentezza
      ma per lo stato della mia altezza.
      Di ciò la dea bendata non mi fè dono
      indi sul dorso m'ho fulmine e tuono.
      Nello Maruca
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        Scritta da: Nello Maruca

        Fatina

        Per caso t'incontrai in quel paese
        ove mai pensato avrei m'innamorassi
        quando saltavo tra quei fossi e sassi
        e, lesto, preparai il mio maggese.

        Trascorso abbiamo già cinque cinquine,
        di cinquina la sesta già cammina
        e tu rimasta sei quella Fatina
        ch'io intravidi quel dì tra le tendine.

        In questi cinque già passati lustri
        migliore non potevi farmi dono:
        Gioielli son dal viso dolce e buono
        quei cinque che donato m'hai di Astri.

        In quest'anni di mutato hai solo gl'anni.
        Per il resto sei com'eri: Dolce e buona
        com'allora, dolce sei tuttora e buona
        e mutato manco t'hanno i grand'affanni.

        In trent'anni andati via divenuta
        sei maestra di bontate e di dolcezza,
        nell'alma tua c'è sempre giovinezza
        e resti la Fatina che giammai muta.

        Tanta tristezza mi riempie il cuore
        il ricordo dei dì passati invano
        quando tu, dolce com'ora, piano piano
        mi donavi te stessa a tutte l'ore.

        Sol mi consola l'accresciuto affetto
        e par che le colpe un poco sminuisce
        perché, per te, l'affetto non svanisce
        ma rafforzar lo sento nel mio petto.

        Or mio è il tuo male se malata sei,
        se piangi tu, nel cuore lacrim'anch'io,
        se stanca sei, ahimè, stanco son io,
        contento son pur'io se tu contenta sei.

        Tanto m'hai dato e tanto poco ho dato!
        Ah! Se potessi indietro ritornare
        amor d'amore tornerei ad amare
        e sempre più vicino ti starei,
        come al padrone il cagnolin fidato.
        Nello Maruca
        Composta mercoledì 30 novembre 1988
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          Scritta da: Nello Maruca

          Eredità

          Di un padre moribondo
          scriveva Passeroni
          che al letto chiamò al bordo
          per mai aver tenzoni
          i dieci figlioletti
          che tutti tiene in petto.
          Dà un mazzo di bacchette
          legate strette strette.

          Chi rompe, dice, il fascio
          e mi mostra possanza
          ogni ricchezza lascio
          e gli altri restan senza.
          Dall'uno all'altro
          così, il fascio passa
          ma niun pur forte e scaltro
          lo sfascia di sua possa.

          Ad ogni figlio, allora,
          solo una verga dona,
          spezzatela, qui, ora
          e avrete il vostro dono.
          E tutte in un istante,
          l'ha scritto Passeroni
          le verghe furo infrante.
          Ecco or qui il dono:

          Se lontan da voi le risse,
          cagion di debolezza
          le avrete regola fissa
          vi avrete una corazza.
          Se lontano le contese
          invece vi terranno
          per niun nemico è impresa
          donarvi pena e affanno.

          Pure i debolissimi
          che pensavanvi pria forti
          saran per voi fortissimi
          se voi sarete smorti.
          L'ha scritto Passeroni,
          pur'altri prima ancora,
          io ne confermo il vero
          che ne son prigioniero

          Non sono, pertanto, alcuno
          perché mi persi ognuno.
          Perciò tenete cura,
          Per evitare sciagura,
          Di rimanere tutt'uno.
          Nello Maruca
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            Scritta da: Nello Maruca

            Il compleanno

            Questa sera un po' depresso
            Resto al bordo del mio letto,
            sono incerto sul da fare:
            Dormire o qualcosa ideare?
            Ora il pendolo s'è desto
            E rintocca mezzanotte.
            La mia sposa è già dormiente,
            io mi stendo lentamente.
            Poi mi alzo, pian pianino,
            per lasciar tranquillo il nido,
            al mio tavolo m'accosto
            e comincio con far lesto
            la stesura di quest'inno
            pel vegliardo novantenne.

            Zio Gustavo uomo retto
            Dal suo fare quasi perfetto
            Ha saputo col suo stile
            Superare il tempo ostile.
            Nel decorso di sua vita
            Ha sofferto e ha patito
            Ma ha saputo degnamente
            frenare cuore e mente.
            Tempo, oggi, dell'avvento
            Captato ha l'evento
            Radunando al suo cospetto
            Tutti quelli ch'à nel petto.

            E con stima e con amore
            Dal profondo d'ogni cuore
            Noi porgiamo l'augurio
            In questo giorno di tripudio.
            Nello Maruca
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              Scritta da: Nello Maruca

              L'ultimo viaggio

              Quand'io, alla soglia della quarantina,
              lesto partisti, Padre, una mattina
              per la lustra via, verso il Ciel turchino
              perché ultimato avevi il tuo cammino.

              Precoce il viaggio fu, senza ritorno
              ed io d'allora mi riguardo intorno
              nella vacua speme di vederti un giorno
              seduto, nell'ampio e grigio soggiorno.

              Ma non udranno più mie orecchie il suono
              dei regali passi toccare il suolo
              che non più in terra, ma pel Cielo sono
              leggeri, al pari degl'uccelli volo.

              Nell'alto Loco, tutto dorme e tace,
              e solo è serenità, amore e pace.
              Qui cattiveria è d'uccello rapace;
              e mai la terra ha conosciuto pace.

              Resta, perciò, o Pà, in Casa del Signore
              donde lo puoi onorare a tutte l'ore.
              Nello Maruca
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                Scritta da: Nello Maruca

                CXLIV

                Quando la meta già tocca la mano
                qualcosa di contorto allora appare
                bloccando, nel mezzo, il camminare
                e lo percorso vinto rende vano.

                Boccheggiante, giovane francescano
                correndo supera portico e Altare
                e un non so che riesce a balbettare
                a fiato grosso, faccia e occhio strano.

                Passa minuto che par lunga attesa,
                riesce a stento dire suora Brunetta
                caduta monte donna Maria Marchesa.

                Vocio, singultire di donne sfatte
                è il dir sciagura repentina scesa
                su tetto che per l'altrui amor si batte.
                Nello Maruca
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  CLXXXI

                  Inebetito, steso mi fui cheto
                  per nove dì che tutto ardea di foco
                  e membra consumommi poco a poco
                  e lo pensare al cranio fummi veto.

                  Lo cinquettar d'uccello del vigneto
                  fecemi intraveder dond'ero il loco
                  e a fiato fioco la mia mamma invoco
                  ché dal cald'affetto ancora non desueto

                  Giovane suora che a mio canto siede,
                  flebile e dolce voce sì mi dice:
                  Mamma ch'invochi tosto qui riede

                  Ch'affiancata dalla madre Badessa
                  siede al cospetto di Signora Contessa
                  ch'è di colei che ami generatrice.
                  Nello Maruca
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