Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Le piccole cose

Le piccole cose
che amo di te
quel tuo sorriso
un po' lontano
il gesto lento della mano
con cui mi accarezzi i capelli
e dici: vorrei
averli anch'io così belli
e io dico: caro
sei un po' matto
e a letto svegliarsi
col tuo respiro vicino
e sul comodino
il giornale della sera
la tua caffettiera
che canta, in cucina
l'odore di pipa
che fumi la mattina
il tuo profumo
un po' balsé
il tuo buffo gilet
le piccole cose
che amo di te

Quel tuo sorriso
strano
il gesto continuo della mano
con cui mi tocchi i capelli
e ripeti: vorrei
averli anch'io così belli
e io dico: caro
me l'hai già detto
e a letto sveglia
sentendo il tuo respiro
un po' affannato
e sul comodino
il bicarbonato
la tua caffettiera
che sibila in cucina
l'odore di pipa
anche la mattina
il tuo profumo
un po' demodé
le piccole cose
che amo di te

Quel tuo sorriso beota
la mania idiota
di tirarmi i capelli
e dici: vorrei
averli anch'io così belli
e ti dico: cretino,
comprati un parrucchino!
E a letto stare sveglia
e sentirti russare
e sul comodino
un tuo calzino
e la tua caffettiera
che é esplosa
finalmente, in cucina!
La pipa che impesta
fin dalla mattina
il tuo profumo
di scimpanzé
quell'orrendo gilet
le piccole cose
che amo di te.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    A Zacinto

    Né più mai toccherò le sacre sponde
    ove il mio corpo fanciulletto giacque,
    Zacinto mia, che te specchi nell'onde
    del greco mar da cui vergine nacque

    Venere, e fea quelle isole feconde
    col suo primo sorriso, onde non tacque
    le tue limpide nubi e le tue fronde
    l'inclito verso di colui che l'acque

    cantò fatali, ed il diverso esiglio
    per cui bello di fama e di sventura
    baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

    Tu non altro che il canto avrai del figlio,
    o materna mia terra; a noi prescrisse
    il fato illacrimata sepoltura.
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      Scritta da: Lorenzo Mariani
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Inno alla bellezza

      Vieni dal cielo profondo o esci dall'abisso,
      Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
      dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
      ed in questo puoi essere paragonata al vino.

      Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l'aurora;
      profumi l'aria come una sera tempestosa;
      i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un'anfora
      che fanno vile l'eroe e il bimbo coraggioso.

      Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
      Il Destino irretito segue la tua gonna
      come un cane; semini a caso gioia e disastri,
      e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

      Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,
      dei tuoi gioielli l'Orrore non è il meno attraente,
      l'Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli
      sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

      Verso di te, candela, la falena abbagliata
      crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!
      L'innamorato ansante piegato sull'amata
      pare un moribondo che accarezza la tomba.

      Che tu venga dal cielo o dall'inferno, che importa,
      Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
      Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m'aprono la porta
      di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

      Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
      tu ci rendi -fata dagli occhi di velluto,
      ritmo, profumo, luce, mia unica regina!
      L'universo meno odioso, meno pesante il minuto?
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        Scritta da: Elisabetta
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        L'eternità

        È ritrovata.
        Che cosa? L'Eternità.
        E il mare andato via
        Col sole.

        Anima sentinella,
        Mormoriamo la confessione
        Della notte così nulla
        E del giorno di fuoco.

        Dagli umani suffragi,
        Dai comuni slanci
        lì tu ti liberi
        E voli a seconda.

        Poiché soltanto da voi,
        Braci di raso,
        Il Dovere si esala
        Senza dire: finalmente.

        Là nessuna speranza,
        Nessun orietur.
        Scienza con pazienza,
        Il supplizio Ë certo.

        È ritrovata.
        Che cosa? - l'Eternità
        E il mare andato via
        Col sole.

        Maggio 1872.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il mio passato

          Spesso ripeto sottovoce
          che si deve vivere di ricordi solo
          quando mi sono rimasti pochi giorni.
          Quello che è passato
          è come se non ci fosse mai stato.
          Il passato è un laccio che
          stringe la gola alla mia mente
          e toglie energie per affrontare il mio presente.
          Il passato è solo fumo
          di chi non ha vissuto.
          Quello che ho già visto
          non conta più niente.
          Il passato ed il futuro
          non sono realtà ma solo effimere illusioni.
          Devo liberarmi del tempo
          e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
          che questo meraviglioso istante.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La via del rifugio

            Trenta quaranta,
            tutto il Mondo canta
            canta lo gallo
            risponde la gallina...

            Socchiusi gli occhi, sto
            supino nel trifoglio,
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.

            Madama Colombina
            s'affaccia alla finestra
            con tre colombe in testa:
            passan tre fanti...

            Belle come la bella
            vostra mammina, come
            il vostro caro nome,
            bimbe di mia sorella!

            ... su tre cavalli bianchi:
            bianca la sella
            bianca la donzella
            bianco il palafreno...

            Ne fare il giro a tondo
            estraggono le sorti.
            (I bei capelli corti
            come caschetto biondo

            rifulgono nel sole. )
            Estraggono a chi tocca
            la sorte, in filastrocca
            segnado le parole.

            Socchiudo gli occhi, estranio
            ai casi della vita.
            Sento fra le mie dita
            la forma del mio cranio...

            Ma dunque esisto! O Strano!
            Vive tra il Tutto e il Niente
            questa cosa vivente
            detta guidogozzano!

            Resupino sull'erba
            (ho detto che non voglio
            raccorti, o quatrifoglio)
            non penso a che mi serba

            la Vita. Oh la carezza
            dell'erba! Non agogno
            cha la virtù del sogno:
            l'inconsapevolezza.

            Bimbe di mia sorella,
            e voi, senza sapere
            cantate al mio piacere
            la sua favola bella.

            Sognare! Oh quella dolce
            Madama Colombina
            protesa alla finestra
            con tre colombe in testa!

            Sognare. Oh quei tre fanti
            su tre cavalli bianchi:
            bianca la sella,
            bianca la donzella!

            Chi fu l'anima sazia
            che tolse da un affresco
            o da un missale il fresco
            sogno di tanta grazia?

            A quanti bimbi morti
            passò di bocca in bocca
            la bella filastrocca
            signora delle sorti?

            Da trecent'anni, forse,
            da quattrocento e più
            si canta questo canto
            al gioco del cucù.

            Socchiusi gli occhi, sto
            supino nel trifoglio,
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.

            L'aruspice mi segue
            con l'occhio d'una donna...
            Ancora si prosegue
            il canto che m'assonna.

            Colomba colombita
            Madama non resiste,
            discende giù seguita
            da venti cameriste,

            fior d'aglio e fior d'aliso,
            chi tocca e chi non tocca...
            La bella filastrocca
            si spezza d'improvviso.

            "Una farfalla! " "Dài!
            Dài! " - Scendon pel sentiere
            le tre bimbe leggere
            come paggetti gai.

            Una Vanessa Io
            nera come il carbone
            aleggia in larghe rote
            sul prato solatio,

            ed ebra par che vada.
            Poi - ecco - si risolve
            e ratta sulla polvere
            si posa della strada.

            Sandra, Simona, Pina
            silenziose a lato
            mettonsile in agguato
            lungh'essa la cortina.

            Belle come la bella
            vostra mammina, come
            il vostro caro nome
            bimbe di mia sorella!

            Or la Vanessa aperta
            indugia e abbassa l'ali
            volgendo le sue frali
            piccole antenne all'erta.

            Ma prima la Simona
            avanza, ed il cappello
            toglie ed il braccio snello
            protende e la persona.

            Poi con pupille intente
            il colpo che non falla
            cala sulla farfalla
            rapidissimamente.

            "Presa! " Ecco lo squillo
            della vittoria. "Aiuto!
            È tutta di velluto:
            Oh datemi uno spillo! "

            "Che non ti sfugga, zitta! "
            S'adempie la condanna
            terribile; s'affanna
            la vittima trafitta.

            Bellissima. D'inchiostro
            l'ali, senza rintocchi,
            avvivate dagli occhi
            d'un favoloso mostro.

            "Non vuol morire! " "Lesta!
            Ché soffre ed ho rimorso!
            Trapassale la testa!
            Ripungila sul dorso! "

            Non vuol morire! Oh strazio
            d'insetto! Oh mole immensa
            di dolore che addensa
            il Tempo nello Spazio!

            A che destino ignoto
            si soffre? Va dispersa
            la lacrima che versa
            l'Umanità nel vuoto?

            Colombina colombita
            Madama non resiste:
            discende giù seguita
            da venti cameriste...

            Sognare! Il sogno allenta
            la mente che prosegue:
            s'adagia nelle tregue
            l'anima sonnolenta,

            siccome quell'antico
            brahamino del Pattarsy
            che per racconsolarsi
            si fissa l'umbilico.

            Socchiudo gli occhi, estranio
            ai casi della vita;
            sento fra le mie dita
            la forma del mio cranio.

            Verrà da sé la cosa
            vera chiamata Morte:
            che giova ansimar forte
            per l'erta faticosa?

            Trenta quaranta
            tutto il Mondo canta
            canta lo gallo
            canta la gallina...

            La Vita? Un gioco affatto
            degno di vituperio,
            se si mantenga intatto
            un qualche desiderio.

            Un desiderio? Sto
            supino nel trifoglio
            e vedo un quatrifoglio
            che non raccoglierò.
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              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Per la verità, io non ti amo coi miei occhi

              Per la verità, io non ti amo coi miei occhi,
              perché essi vedono in te un mucchio di difetti;
              ma è il mio cuore che ama quel che loro disprezzano
              e, apparenze a parte, ne gode alla follia.
              Né i miei orecchi delizia il timbro della tua voce,
              né la mia sensibilità è incline a vili toccamenti,
              né il mio gusto e l'olfatto bramano l'invito
              al banchetto dei sensi con te soltanto.
              Ma né i miei cinque spiriti, né i miei cinque sensi
              possono dissuadere questo mio sciocco cuore dal tuo servizio,
              avendo ormai perso ogni sembianza umana,
              ridotto a schiavo e misero vassallo del tuo superbo cuore.
              Solo in questo io considero la mia peste un bene:
              che chi mi fa peccare, m'infligge pure la penitenza.
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