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in Poesie (Poesie d'Autore)

Su gioia e dolore

Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E lui rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera,
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime.
E come può essere altrimenti?
Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio?
E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?
Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia.
E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento.
Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.

In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.
Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Adolescente

    Su te, vergine adolescente,
    sta come un'ombra sacra.
    Nulla è più misterioso
    e adorabile e proprio
    della tua carne spogliata.
    Ma ti recludi nell'attenta veste
    e abiti lontano
    con la tua grazia
    dove non sai chi ti raggiungerà.
    Certo non io. Se ti veggo passare
    a tanta regale distanza,
    con la chioma sciolta
    e tutta la persona astata,
    la vertigine mi si porta via.
    Sei l'imporosa e liscia creatura
    cui preme nel suo respiro
    l'oscuro gaudio della carne che appena
    sopporta la sua pienezza.
    Nel sangue, che ha diffusioni
    di fiamma sulla tua faccia,
    il cosmo fa le sue risa
    come nell'occhio nero della rondine.
    La tua pupilla è bruciata
    dal sole che dentro vi sta.
    La tua bocca è serrata.
    Non sanno le mani tue bianche
    il sudore umiliante dei contatti.
    E penso come il tuo corpo
    difficoltoso e vago
    fa disperare l'amore
    nel cuor dell'uomo!

    Pure qualcuno ti disfiorerà,
    bocca di sorgiva.
    Qualcuno che non lo saprà,
    un pescatore di spugne,
    avrà questa perla rara.
    Gli sarà grazia e fortuna
    il non averti cercata
    e non sapere chi sei
    e non poterti godere
    con la sottile coscienza
    che offende il geloso Iddio.
    Oh sì, l'animale sarà
    abbastanza ignaro
    per non morire prima di toccarti.
    E tutto è così.
    Tu anche non sai chi sei.
    E prendere ti lascerai,
    ma per vedere come il gioco è fatto,
    per ridere un poco insieme.
    Come fiamma si perde nella luce,
    al tocco della realtà
    i misteri che tu prometti
    si disciolgono in nulla.
    Inconsumata passerà
    tanta gioia!
    Tu ti darai, tu ti perderai,
    per il capriccio che non indovina
    mai, col primo che ti piacerà.
    Ama il tempo lo scherzo
    che lo seconda,
    non il cauto volere che indugia.
    Così la fanciullezza
    fa ruzzolare il mondo
    e il saggio non è che un fanciullo
    che si duole di essere cresciuto.
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      Scritta da: Elisabetta
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Passione d'amore

      Quei parmi in cielo fra gli Dei, se accanto
      ti siede, e vede il tuo bel riso, e sente
      i dolci detti e l'amoroso canto!

      A me repente,
      con più tumulto il core urta nel petto:
      more la voce, mentre ch'io ti miro,
      su la mia lingua nelle fauci stretto
      geme il sorriso.

      Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo:
      un indistinto tintinnio m'ingombra
      gli orecchi, e sogno: mi s'innalza al gaurdo
      torbida l'ombra.

      E tutta molle d'un sudor di gelo,
      e smorta in viso come erba che langue,
      tremo e fremo di brividi, ed anelo
      tacito, esangue.
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        Scritta da: Paul Mehis
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Per la vecchia denti-storti

        Conosco una donna
        che compera continuamente puzzle
        cinesi
        puzzle
        cubi
        cavi
        pezzi che alla fine s'incastrano
        in un ordine
        li completa
        matematicamente
        risolve tutti i suoi
        puzzle
        vive giù in riva al mare
        mette lo zucchero fuori per le formiche
        e crede
        alla fin fine
        in un mondo migliore.
        Ha i capelli bianchi
        li pettina di rado
        ha i denti storti
        e indossa ampie tute informi
        su un corpo che molte
        donne vorrebbero avere.
        Per anni mi ha irritato
        con quelle che giudicavo
        eccentricità - come i gusci d'uovo a mollo
        (per nutrire le piante
        col calcio).
        Ma infine quando penso alla sua
        vita
        e la paragono alle altre vite
        più eccitanti, più belle
        e originali
        mi accorgo che lei ha ferito meno
        gente di tutti quelli che conosco
        (e per ferire intendo semplicemente ferire).
        Ha passato periodi tremendi,
        periodi in cui avrei forse potuto
        aiutarla di più
        perché è la madre della mia unica figlia
        e siamo stati un tempo grandi amanti,
        ma ne è uscita,
        come ho detto
        ha ferito meno gente di
        tutti quelli che conosco,
        e se guardi le cose così,
        beh,
        ha creato un mondo migliore.
        Ha vinto.
        Composta martedì 21 luglio 2009
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          Scritta da: Gabriella Stigliano
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Non mi accorsi del momento

          Non mi accorsi del momento in cui varcai
          per la prima volta la soglia
          di questa vita
          Quale fu la potenza che mi schiuse
          in questo vasto mistero
          come sboccia un fiore
          in una foresta a mezzanotte?
          Quando al mattino guardai la luce,
          subito sentii che non ero
          uno straniero in questo mondo,
          che l'inscrutabile, senza nome e forma
          mi aveva preso tra le sue braccia
          sotto l'aspetto di mia madre.
          Così, nella morte, lo stesso sconosciuto
          m'apparirà come sempre a me noto.
          e poiché amo questa vita
          so che amerò anche in morte.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Ad ognuno un giorno

            A ognuno un giorno muore un proprio caro,
            tra l'essere e il non essere
            è costretto a scegliere il secondo.

            È duro riconoscere che è un fatto banale,
            incluso nel corso degli eventi,
            conforme a procedura,

            prima o poi inserito nell'ordine del giorno,
            della sera, della notte, di un pallido mattino;

            scontato come una voce dell'indice,
            come un paragrafo del codice,
            come una data qualsiasi
            del calendario.

            Ma è il diritto e il rovescio della natura.
            Il suo omen e amen distribuiti a caso.
            La sua casistica e la sua onnipotenza.

            Solo ogni tanto
            ci mostra un po' di cortesia -
            i nostri cari morti
            ce li butta nei sogni.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Come crepiti nelle mie mani.
              Da quando ti ho conosciuto
              ho perso i valori estremi della vita.
              Sai quanto pesa una carezza?
              Sai cosa sono le mani?
              Sono uccelli che cercano orizzonti,
              sono uccelli che cercano pace,
              sono le mani dell'intelligenza e della ritrosia,
              sono il pane quotidiano degli angeli,
              sono le ali che cercano refrigerio.
              Il tuo volto è un nido d'aria
              attraverso il quale io trovo il mio nulla.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Mamm'Emilia

                In te sono stato albume, uovo, pesce,
                le ere sconfinate della terra
                ho attraversato nella tua placenta,
                fuori di te sono contato a giorni.

                In te sono passato da cellula a scheletro
                un milione di volte mi sono ingrandito,
                fuori di te l'accrescimento è stato immensamente meno.
                Sono sgusciato dalla tua pienezza
                senza lasciarti vuota perché il vuoto
                l'ho portato con me.

                Sono venuto nudo, mi hai coperto
                così ho imparato nudità e pudore
                il latte e la sua assenza.
                Mi hai messo in bocca tutte le parole
                a cucchiaini, tranne una: mamma.
                Quella l'inventa il figlio sbattendo le due labbra
                quella l'insegna il figlio.
                Da te ho preso le voci del mio luogo,
                le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri,
                da te ho ascoltato il primo libro
                dietro la febbre della scarlattina.
                Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze,
                a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco,
                a finire le parole crociate, ti ho versato il vino
                e ho macchiato la tavola,
                non ti ho messo un nipote sulle gambe
                non ti ho fatto bussare a una prigione
                non ancora,
                da te ho imparato il lutto e l'ora di finirlo,
                a tuo padre somiglio, a tuo fratello,
                non sono stato figlio.
                Da te ho preso gli occhi chiari
                Non il loro peso
                a te ho nascosto tutto.
                Ho promesso di bruciare il tuo corpo
                di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco
                fratello vulcano che ci orientava il sonno.
                Ti spargerò nell'aria dopo l'acquazzone
                all'ora dell'arcobaleno
                che ti faceva spalancare gli occhi.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Contributo alla statistica

                  Su cento persone

                  che ne sanno sempre più degli altri
                  - cinquantadue;

                  insicuri ad ogni passo
                  - quasi tutti gli altri;

                  pronti ad aiutare
                  purché la cosa non duri molto
                  - ben quarantanove;

                  buoni sempre,
                  perché non sanno fare altrimenti
                  - quattro, bè, forse cinque;

                  propensi ad ammirare senza invidia
                  - diciotto;

                  viventi con la continua paura
                  di qualcuno o qualcosa
                  - settantasette;

                  dotati per la felicità,
                  - al massimo poco più di venti;

                  innocui singolarmente,
                  che imbarbariscono nella folla
                  - di sicuro più della metà;

                  crudeli,
                  se costretti dalle circostanze
                  - è meglio non saperlo
                  neppure approssimativamente;

                  quelli col senno di poi
                  - non molti di più
                  di quelli col senno di prima;

                  che dalla vita prendono solo cose
                  - quaranta,
                  anche se vorrei sbagliarmi;

                  ripiegati, dolenti
                  e senza torcia nel buio
                  - ottantatré
                  prima o poi;

                  degni di compassione
                  - novantanove;

                  mortali
                  - cento su cento.
                  Numero al momento invariato.
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