Non celare il segreto del tuo cuore, amico mio. Dillo a me, solo a me, in segreto. Tu che sorridi tanto gentilmente, sussurralo sommessamente, il mio cuore l'udrà, non le mie orecchie.
La notte è fonda, la casa è silenziosa, i nidi degli uccelli son coperti di sonno.
Dimmi tra lacrime esitanti, tra sorrisi titubanti, tra dolore e dolce vergogna, il segreto del tuo cuore.
Ti sei stancata di portare il mio peso ti sei stancata delle mie mani dei miei occhi della mia ombra dei miei tradimenti le mie parole erano incendi le mie parole erano pozzi profondi le mie parole erano stanchezza, noia serale, un giorno improvvisamente sentirai dentro di te il peso dei miei passi che si allontanano esitando quel peso sarà quello più grave.
Dicono alcuni che amore è un bambino e alcuni che è un uccello, alcuni che manda avanti il mondo e alcuni che è un'assurdità e quando ho domandato al mio vicino, che aveva tutta l'aria di sapere, sua moglie si è seccata e ha detto che non era il caso, no.
Assomiglia a una coppia di pigiami o al salame dove non c'è da bere? Per l'odore può ricordare i lama o avrà un profumo consolante? È pungente a toccarlo, come un prugno o è lieve come morbido piumino? È tagliente o ben lischio lungo gli orli? La verità, vi prego, sull'amore.
I manuali di storia ce ne parlano in qualche noticina misteriosa, ma è un argomento assai comune a bordo delle navi da crociera; ho trovato che vi si accenna nelle cronache dei suicidi e l'ho visto persino scribacchiato sul retro degli orari ferroviari.
Ha il latrato di un alsaziano a dieta o il bum-bum di una banda militare? Si può farne una buona imitazione su una sega o uno Steinway da concerto? Quando canta alle este è un finimondo? Apprezzerà soltanto roba classica? Smetterà se si vuole un po' di pace? La verità grave, vi prego, sull'amore.
Sono andato a guardare nel bersò lì non c'era mai stato; ho esportato il Tamigi a Maidenhead, e poi l'aria balsamica di Brighton. Non so che cosa mi cantasse il merlo, o che cosa dicesse il tulipano, ma non era nascosto nel pollaio e non era nemmeno sotto il letto.
Sa fare delle smorfie straordinarie? Sull'altalena soffre di vertigini? Passerà tutto il suo tempo alle corse o strimpellando corde sbrindellate? Avrà idee personali sul denaro? È un buon patriota o mica tanto? Ne racconta di allegre, anche se spinte? La verità, vi prego, sull'amore.
Quando viene, verrà senza avvisare, proprio mentre sto frugando il naso? Busserà la mattina alla mia porta o là sul bus mi pesterà un piede? Accedrà come quando cambia il tempo? Sarà cortese o spiccio il suo saluto? Darà una svolta a tutta la mia vita? La verità, vi prego, sull'amore.
Eri per me quel tutto, amore, per cui si struggeva la mia anima - una verde isola nel mare, amore, una fonte limpida, un'ara di magici frutti e fiori adornata: e tutti erano miei quei fiori.
Ah, sogno splendido e breve! Stellata speranza, appena apparsa e subito sopraffatta! Una voce del Futuro mi grida "Avanti, avanti! " - ma è sul Passato (oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia tacita, immobile, sgomenta! Perché mai più, oh, mai più per me risplenderà quella luce di Vita! Mai più - mai più - mai più - (è quel che il mare ripete alle sabbie del lido) - mai più rifiorirà un albero percosso dal fulmine, nè potrà più elevarsi un'aquila ferita.
Vivo, trasognato, giorni estatici, e tutte le mie notturne visioni mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce, a là dove tu stessa ti porti e risplendi, oh, in quali eteree danze, lungo rivi che scorrono perenni.
Una poesia è una città piena di strade e tombini piena di santi, eroi, mendicanti, pazzi, piena di banalità e roba da bere, piena di pioggia e di tuono e di periodi di siccità, una poesia è una città in guerra, una poesia è una città che chiede a una pendola perché, una poesia è una città che brucia, una poesia è una città sotto le cannonate le sue sale da barbiere piene di cinici ubriaconi, una poesia è una città dove Dio cavalca nudo per le strade come Lady Godiva, dove i cani latrano di notte, e fanno scappare la bandiera; una poesia è una città di poeti, per lo più similissimi tra loro e invidiosi e pieni di rancore... una poesia è questa città adesso, cinquanta miglia dal nulla, le 9.09 del mattino, il gusto di liquore e delle sigarette, né poliziotti né innamorati che passeggiano per le strade, questa poesia, questa città, che serra le sue porte, barricata, quasi vuota, luttuosa senza lacrime, invecchiata senza pietà, i monti di roccia dura, l'oceano come una fiamma di lavanda, una luna priva di grandezza, una musichetta da finestre rotte...
una poesia è una città, una poesia è una nazione, una poesia è il mondo...
e ora metto questo sotto vetro perché lo veda il pazzo direttore, e la notte è altrove e signore grigiastre stanno in fila, un cane segue l'altro fino all'estuario, le trombe annunciano la forca mentre piccoli uomini vaneggiano di cose che non possono fare.
Non posso esistere senza di te. Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti: la mia vita sembra che si arresti lì, non vedo più avanti. Mi hai assorbito. In questo momento ho la sensazione come di dissolvermi: sarei estremamente triste senza la speranza di rivederti presto. Avrei paura a staccarmi da te. Mi hai rapito via l'anima con un potere cui non posso resistere; eppure potei resistere finché non ti vidi; e anche dopo averti veduta mi sforzai spesso di ragionare contro le ragioni del mio amore. Ora non ne sono più capace. Sarebbe una pena troppo grande. Il mio Amore è egoista. Non posso respirare senza di te.
La strada vi venga sempre dinanzi e il vento vi soffi alle spalle e la rugiada bagni sempre l'erba cui cui poggiate i passi. E il sorriso brilli sempre sul vostro volto. E il pianto che spunta sui vostri occhi sia solo pianto di felicità. E qualora dovesse trattarsi di lacrime di amarezza e di dolore, ci sia sempre qualcuno pronto ad asciugarvele. Il sole entri a brillare prepotentemente nella vostra casa, a portare tanta luce, tanta speranza e tanto calore.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore; Move la greggia oltre pel campo, e vede Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa L'ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge, e più e più s'affretta, Senza posa o ristoro, Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva Colà dove la via E dove il tanto affaticar fu volto: Abisso orrido, immenso, Ov'ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale È la vita mortale. Nasce l'uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore Il prende a consolar dell'esser nato. Poi che crescendo viene, L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre Con atti e con parole Studiasi fargli core, E consolarlo dell'umano stato: Altro ufficio più grato Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perché dare al sole, Perché reggere in vita Chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura Perché da noi si dura? Intatta luna, tale È lo stato mortale. Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale. Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che sì pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perché delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera, Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l'ardore, e che procacci Il verno cò suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore. Spesso quand'io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano; E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l'aria infinita, e quel profondo Infinito seren? Che vuol dir questa Solitudine immensa? Ed io che sono? Così meco ragiono: e della stanza Smisurata e superba, E dell'innumerabile famiglia; Poi di tanto adoprar, di tanti moti D'ogni celeste, ogni terrena cosa, Girando senza posa, Per tornar sempre là donde son mosse; Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell'esser mio frale, Qualche bene o contento Avrà fors'altri; a me la vita è male. O greggia mia che posi, oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perché d'affanno Quasi libera vai; Ch'ogni stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi; Ma più perché giammai tedio non provi. Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe, Tu sè queta e contenta; E gran parte dell'anno Senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra, E un fastidio m'ingombra La mente, ed uno spron quasi mi punge Sì che, sedendo, più che mai son lunge Da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo, E non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, Non so già dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, O greggia mia, né di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perché giacendo A bell'agio, ozioso, S'appaga ogni animale; Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? Forse s'avess'io l'ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, dolce mia greggia, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, È funesto a chi nasce il dì natale.
Alcuni di noi sono come inchiostro, altri come carta. E se non fosse per il nero di alcuni di noi, altri sarebbero muti. E se non fosse per il bianco di alcuni di noi, altri sarebbero ciechi.
Dicono che la mia sia una poesia d'inappartenenza. Ma s'era tua era di qualcuno: di te che non sei più forma, ma essenza. Dicono che la poesia al suo culmine magnifica il Tutto in fuga, negano che la testuggine sia più veloce del fulmine. Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi, che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi. Così meglio intendo il tuo lungo viaggio imprigionata tra le bende e i gessi. Eppure non mi dà riposo sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa.