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in Poesie (Poesie d'Autore)
Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.

Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto,
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché si,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.
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    Scritta da: Cheope
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    In te la terra

    Piccola
    rosa,
    rosa piccina,
    a volte,
    minuta e nuda,
    sembra
    che tu mi stia in una
    mano,
    che possa rinchiuderti in essa
    e portarti alla bocca,
    ma
    d'improvviso
    i miei piedi toccano i tuoi piedi e la mia bocca le tue labbra,
    sei cresciuta,
    le tue spalle salgono come due colline,
    i tuoi seni si muovono sul mio petto,
    il mio braccio riesce appena a circondare la sottile
    linea di luna nuova che ha la tua cintura:
    nell'amore come acqua di mare ti sei scatenata:
    misuro appena gli occhi più ampi del cielo
    e mi chino sulla tua bocca per baciare la terra.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Spesso il male di vivere ho incontrato

      Spesso il male di vivere ho incontrato:
      era il rivo strozzato che gorgoglia,
      era l'incartocciarsi della foglia
      riarsa, era il cavallo stramazzato.
      Bene non seppi; fuori del prodigio
      che schiude la divina Indifferenza:
      era la statua nella sonnolenza
      del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Chiamatemi con i miei veri nomi

        Non dire che domani me ne andrò, perfino oggi sto arrivando di nuovo.
        Guarda profondamente: ad ogni secondo arrivo, per essere un getto primaverile;
        un uccellino, con piccole ali ancora fragili: sto imparando a cantare
        nel mio nido nuovo;
        per essere un bruco nel cuore del fiore; un gioiello che si nasconde
        nella pietra.

        Ancora arrivo, per ridere e per piangere, per avere paura e per sperare.
        Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che vive.

        Sono un insetto che si trasforma sulla superficie dell'acqua.
        E sono l'uccello che si lancia per inghiottire l'insetto.
        Sono una rana che nuota felice nella chiara acqua dello stagno.
        E sono il serpente che, silenzioso, si ciba di rane.

        Sono un bambino dell'Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù,
        e sono anche il mercante che vende armi mortali all'Uganda.
        Io sono la bimba dodicenne profuga su una piccola barca,
        che si getta nell'oceano dopo essere stata violentata da un pirata.
        E sono anche il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare.
        Sono un membro del Politburo, con un enorme potere tra le mani.
        E sono l'uomo che deve pagare il suo "debito di sangue" alla sua gente, morendo lentamente in un campo di lavori forzati.

        La mia gioia è come la primavera, così calda che fa sbocciare fiori su tutta la terra.
        Il mio dolore è come un fiume di lacrime, così vasto che riempie tutti i quattro oceani.
        Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, perché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme,
        perché possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola.
        Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, in modo che mi possa risvegliare
        e la porta del mio cuore sia lasciata aperta, la porta della compassione.
        Composta mercoledì 21 aprile 2010
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Le ricordanze

          Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
          Tornare ancor per uso a contemplarvi
          Sul paterno giardino scintillanti,
          E ragionar con voi dalle finestre
          Di questo albergo ove abitai fanciullo,
          E delle gioie mie vidi la fine.
          Quante immagini un tempo, e quante fole
          Creommi nel pensier l'aspetto vostro
          E delle luci a voi compagne! Allora
          Che, tacito, seduto in verde zolla,
          Delle sere io solea passar gran parte
          Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
          Della rana rimota alla campagna!
          E la lucciola errava appo le siepi
          E in su l'aiuole, susurrando al vento
          I viali odorati, ed i cipressi
          Là nella selva; e sotto al patrio tetto
          Sonavan voci alterne, e le tranquille
          Opre dè servi. E che pensieri immensi,
          Che dolci sogni mi spirò la vista
          Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
          Che di qua scopro, e che varcare un giorno
          Io mi pensava, arcani mondi, arcana
          Felicità fingendo al viver mio!
          Ignaro del mio fato, e quante volte
          Questa mia vita dolorosa e nuda
          Volentier con la morte avrei cangiato.
          Né mi diceva il cor che l'età verde
          Sarei dannato a consumare in questo
          Natio borgo selvaggio, intra una gente
          Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
          Argomento di riso e di trastullo,
          Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
          Per invidia non già, che non mi tiene
          Maggior di sé, ma perché tale estima
          Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
          A persona giammai non ne fo segno.
          Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
          Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
          Tra lo stuol dè malevoli divengo:
          Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
          E sprezzator degli uomini mi rendo,
          Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
          Il caro tempo giovanil; più caro
          Che la fama e l'allor, più che la pura
          Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
          Senza un diletto, inutilmente, in questo
          Soggiorno disumano, intra gli affanni,
          O dell'arida vita unico fiore.
          Viene il vento recando il suon dell'ora
          Dalla torre del borgo. Era conforto
          Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
          Quando fanciullo, nella buia stanza,
          Per assidui terrori io vigilava,
          Sospirando il mattin. Qui non è cosa
          Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
          Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
          Dolce per sé; ma con dolor sottentra
          Il pensier del presente, un van desio
          Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
          Quella loggia colà, volta agli estremi
          Raggi del dì; queste dipinte mura,
          Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
          Su romita campagna, agli ozi miei
          Porser mille diletti allor che al fianco
          M'era, parlando, il mio possente errore
          Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
          Al chiaror delle nevi, intorno a queste
          Ampie finestre sibilando il vento,
          Rimbombaro i sollazzi e le festose
          Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
          Mistero delle cose a noi si mostra
          Pien di dolcezza; indelibata, intera
          Il garzoncel, come inesperto amante,
          La sua vita ingannevole vagheggia,
          E celeste beltà fingendo ammira.
          O speranze, speranze; ameni inganni
          Della mia prima età! Sempre, parlando,
          Ritorno a voi; che per andar di tempo,
          Per variar d'affetti e di pensieri,
          Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
          Son la gloria e l'onor; diletti e beni
          Mero desio; non ha la vita un frutto,
          Inutile miseria. E sebben vòti
          Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
          Il mio stato mortal, poco mi toglie
          La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
          A voi ripenso, o mie speranze antiche,
          Ed a quel caro immaginar mio primo;
          Indi riguardo il viver mio sì vile
          E sì dolente, e che la morte è quello
          Che di cotanta speme oggi m'avanza;
          Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
          Consolarmi non so del mio destino.
          E quando pur questa invocata morte
          Sarammi allato, e sarà giunto il fine
          Della sventura mia; quando la terra
          Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
          Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
          Risovverrammi; e quell'imago ancora
          Sospirar mi farà, farammi acerbo
          L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
          Del dì fatal tempererà d'affanno.
          E già nel primo giovanil tumulto
          Di contenti, d'angosce e di desio,
          Morte chiamai più volte, e lungamente
          Mi sedetti colà su la fontana
          Pensoso di cessar dentro quell'acque
          La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
          Malor, condotto della vita in forse,
          Piansi la bella giovanezza, e il fiore
          Dè miei poveri dì, che sì per tempo
          Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
          Sul conscio letto, dolorosamente
          Alla fioca lucerna poetando,
          Lamentai cò silenzi e con la notte
          Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
          In sul languir cantai funereo canto.
          Chi rimembrar vi può senza sospiri,
          O primo entrar di giovinezza, o giorni
          Vezzosi, inenarrabili, allor quando
          Al rapito mortal primieramente
          Sorridon le donzelle; a gara intorno
          Ogni cosa sorride; invidia tace,
          Non desta ancora ovver benigna; e quasi
          (Inusitata maraviglia! ) il mondo
          La destra soccorrevole gli porge,
          Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
          Suo venir nella vita, ed inchinando
          Mostra che per signor l'accolga e chiami?
          Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
          Son dileguati. E qual mortale ignaro
          Di sventura esser può, se a lui già scorsa
          Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
          Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
          O Nerina! E di te forse non odo
          Questi luoghi parlar? Caduta forse
          Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
          Che qui sola di te la ricordanza
          Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
          Questa Terra natal: quella finestra,
          Ond'eri usata favellarmi, ed onde
          Mesto riluce delle stelle il raggio,
          È deserta. Ove sei, che più non odo
          La tua voce sonar, siccome un giorno,
          Quando soleva ogni lontano accento
          Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
          Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
          Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
          Il passar per la terra oggi è sortito,
          E l'abitar questi odorati colli.
          Ma rapida passasti; e come un sogno
          Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
          La gioia ti splendea, splendea negli occhi
          Quel confidente immaginar, quel lume
          Di gioventù, quando spegneali il fato,
          E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
          L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
          Se a radunanze io movo, infra me stesso
          Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
          Tu non ti acconci più, tu più non movi.
          Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
          Van gli amanti recando alle fanciulle,
          Dico: Nerina mia, per te non torna
          Primavera giammai, non torna amore.
          Ogni giorno sereno, ogni fiorita
          Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
          Dico: Nerina or più non gode; i campi,
          L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
          Sospiro mio: passasti: e fia compagna
          D'ogni mio vago immaginar, di tutti
          I miei teneri sensi, i tristi e cari
          Moti del cor, la rimembranza acerba.
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            Scritta da: Pierluigi Camilli
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Simile a un Dio

            Simile a un Dio mi sembra quell'uomo
            che siede davanti a te, e da vicino
            ti ascolta mentre tu parli
            con dolcezza
            e con incanto sorridi. E questo
            fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
            Se appena ti vedo, sùbito non posso
            più parlare:
            la lingua si spezza: un fuoco
            leggero sotto la pelle mi corre:
            nulla vedo con gli occhi e le orecchie
            mi rombano:
            un sudore freddo mi pervade: un tremore
            tutta mi scuote: sono più verde
            dell'erba; e poco lontana mi sento
            dall'essere morta.
            Ma tutto si può sopportare...
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              Scritta da: Paolo P
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Contro l'usura

              Con usura nessuno ha una solida casa
              di pietra squadrata e liscia
              per istoriarne la facciata,
              con usura
              non v'è chiesa con affreschi di paradiso
              harpes et luz
              e l'Annunciazione dell'Angelo
              con le aureole sbalzate,
              con usura
              nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
              non si dipinge per tenersi arte
              in casa ma per vendere e vendere
              presto e con profitto, peccato contro natura,
              il tuo pane sarà staccio vieto
              arido come carta,
              senza segala né farina di grano duro,
              usura appesantisce il tratto,
              falsa i confini, con usura
              nessuno trova residenza amena.
              Si priva lo scalpellino della pietra,
              il tessitore del telaio
              CON USURA
              la lana non giunge al mercato
              e le pecore non rendono
              peggio della peste è l'usura, spunta
              l'ago in mano alle fanciulle
              e confonde chi fila. Pietro Lombardo
              non si fè con usura
              Duccio non si fè con usura
              né Piero della Francesca o Zuan Bellini
              né fu 'La Calunnià dipinta con usura.
              L'Angelico non si fè con usura, né Ambrogio de Praedis,
              nessuna chiesa di pietra viva firmata: 'Adamo me fecit'.
              Con usura non sorsero
              Saint Trophine e Saint Hilaire,
              usura arrugginisce il cesello
              arrugginisce arte ed artigiano
              tarla la tela nel telaio, nessuno
              apprende l 'arte d'intessere oro nell'ordito;
              l'azzurro s'incancrena con usura; non si ricama
              in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
              usura soffoca il figlio nel ventre
              arresta il giovane amante
              cede il letto a vecchi decrepiti,
              si frappone tra giovani sposi
              CONTRO NATURA
              Ad Eleusi han portato puttane
              carogne crapulano
              ospiti d'usura.
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                Scritta da: Rosita Matera
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Se la nota dicesse: Non è la nota che fa la musica
                Non ci sarebbero le sinfonie,
                Se la parola dicesse: Non è la parola che può fare la pagina
                Non ci sarebbero più libri.
                Se la pietra dicesse: Non è la pietra che può alzare un muro
                Non ci sarebbero più case.
                Se la goccia d'acqua dicesse: Non è una goccia d'acqua che può fare il fiume
                Non ci sarebbe l'oceano.
                Se il chicco di grano dicesse: Non è un chicco di grano che può seminare il campo
                Non ci sarebbero le messe.
                Se l'uomo dicesse: Non è un gesto d'Amore che può salvare l'umanità
                Non ci sarebbe mai ne Giustizia, ne Pace, ne Dignità, ne Felicità nella terra degli uomini.
                Come la sinfonia ha bisogno di una nota,
                come il libro ha bisogno di ogni parola,
                come le case hanno bisogno della pietra.
                Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua,
                come le messi hanno bisogno di ogni chicco di grano,
                l'umanità intera ha bisogno di te, qui ora, tu sei unico e perciò insostituibile.
                Composta martedì 2 ottobre 2012
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