Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
anch'io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d'amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.
Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa
ben più di quella lingua che più e più parlò.
Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Mehmet

    Da una parte gli aguzzini ci separano come un muro.
    Dall'altra questo cuore sciagurato mi ha fatto un brutto scherzo,
    mio piccolo,
    mio Mehmet,
    forse il destino m'impedirà di rivederti.
    Sarai un ragazzo, lo so,
    simile alla spiga di grano:
    biondo, snello, alto di statura.
    Ero così quand'ero giovane.
    I tuoi occhi saranno vasti come quelli di tua madre,
    con dentro talvolta uno strascico amaro di tristezza.
    Avrai una bella voce,
    la mia era atroce.
    La tua fronte sarà chiara.
    Le canzoni che canterai spezzeranno i cuori.
    Sarai un conversatore brillante.
    In questo ero maestro anch'io,
    quando la gente non m'irritava i nervi.
    Dalle tue labbra colerà il miele.
    Ah Mehmet,
    quanti cuori spezzerai!
    Non dare pena a tua madre.
    Tua madre, forte e dolce come la seta,
    sarà bella anche all'età delle nonne,
    come il primo giorno che la vidi.
    Aveva 17 anni,
    sulle rive del Bosforo.
    Era il chiaro di luna,
    era il chiaro del giorno,
    era simile a una susina dorata.
    Tua madre un giorno, come al solito, ci siamo lasciati:
    a stasera!
    Era per non rivederci mai più.
    Tua madre nella sua bontà
    la più saggia delle madri.
    Non ho paura di morire, figlio mio.
    Eppure malgrado tutto
    a volte trasalisco di colpo.
    Contare i giorni difficile.
    Non ci si può saziare della vita, Mehmet,
    non ci si può saziare.
    Non vivere a questo mondo come un inquilino.
    Vivi su questa terra come se fosse la casa di tuo padre.
    La nostra terra, la Turchia,
    un bel paese tra gli altri paesi,
    e i suoi uomini,
    quelli di buona lega,
    sono lavoratori pensosi e coraggiosi
    e atrocemente miserabili.
    Tu, il futuro,
    lo vedrai coi tuoi occhi,
    lo toccherai con le tue mani.
    Io forse morirò lontano dalla mia lingua,
    dalle mie canzoni,
    dal mio sale, dal mio pane,
    sentendo la nostalgia di tua madre e di te.
    Mehmet, piccolo mio,
    me ne vado. Sono calmo.
    La vita che si disperde in me si ritroverà in te,
    per lungo tempo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Autobiografia (1962)

      Sono nato nel 1902
      non sono più tornato
      nella città natale
      non amo i ritorni indietro
      quando avevo tre anni
      abitavo Alep
      con mio nonno pascià
      a 19 anni studiavo a Mosca
      all'università comunista
      a 49 ero a Mosca di nuovo
      ospite del comitato centrale
      del partito comunista
      e dall'età di 14 anni
      faccio il poeta
      alcuni conoscon bene le varie specie
      delle piante altri quelle dei pesci
      io conosco le separazioni
      alcuni enumerano a memoria i nomi
      delle stelle io delle nostalgie
      ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
      ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
      e non c'è quasi pietanza
      che non abbia assaggiata
      quando avevo trent'anni hanno chiesto
      la mia impiccagione
      a 48 mi hanno proposto
      per la medaglia della Pace
      e me l'hanno data
      a 36 ho traversato in sei mesi
      i quattro metri quadrati
      di cemento
      della segregazione cellulare
      a 59 sono volato
      da Praga all'Avana
      in diciotto ore
      ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel '24
      e il mausoleo che visito sono i suoi libri
      han provato a strapparmi dal mio Partito
      e non ci son riusciti
      e non sono rimasto schiacciato
      sotto gl'idoli crollati
      nel 51 con un giovane compagno
      ho camminato verso la morte
      nel 52 col cuore spaccato ho atteso la morte
      per quattro mesi sdraiato sul dorso
      sono stato pazzamente geloso delle donne ch'ho amato
      non ho invidiato nemmeno Charlot
      ho ingannato le mie donne
      non ho sparlato degli amici
      dietro le loro spalle
      ho bevuto ma non sono stato un bevitore
      ho sempre guadagnato il mio pane
      col sudore della mia fronte
      che felicità
      mi sono vergognato per gli altri e ho mentito
      ho mentito per non far pena agli altri
      ma ho anche mentito
      senza nessun motivo
      ho viaggiato in treno in areoplano in macchina
      i più non possono farlo
      sono stato all'Opera
      i più non ci vanno non sanno
      nemmeno che cosa sia
      e dal '21 non sono entrato
      in certi luoghi frequentati dai più
      la moschea la sinagoga la chiesa
      il tempio i maghi le fattucchiere
      ma mi è capitato
      di far leggere la mia sorte
      nei fondi di caffè
      le mie poesie sono pubblicate
      in trenta o quaranta lingue
      ma nella mia Turchia
      nella mia lingua turca
      sono proibite
      il cancro non l'ho ancora avuto
      non è necessario che l'abbia
      non sarò primo ministro
      d'altronde non ne ho voglia
      anche non ho fatto la guerra
      non sono sceso nei ricoveri
      nel mezzo della notte
      non ho camminato per le vie
      sotto gli aerei in picchiata
      ma verso i sessant'anni mi sono innamorato
      in una parola compagni
      anche se oggi a Berlino sono sul punto
      di crepar di tristezza
      posso dire di aver vissuto
      da uomo
      e quanto vivrò ancora
      e quanto vedrò ancora
      chi sa.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Mio - per diritto della bianca elezione!

        Mio - per diritto della bianca elezione!
        Mio - per sigillo regale!
        Mio - per segno della bianca prigione
        che sbarre non possono celare!
        Mio - qui - nella visione e nel divieto!
        Mio - per l'abrograzione della tomba
        Sottoscritta-confermata -
        delirante contratto!
        Mio - mantre gli anni fuggono!
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          Scritta da: Araba Fenice
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Bambino

          Bambino,
          se trovi l'aquilone della tua fantasia
          legalo con l'intelligenza del cuore.
          Vedrai sorgere giardini incantati
          e tua madre diventerà una pianta
          che ti coprirà con le sue foglie.
          Fa delle tue mani due bianche colombe
          e portino la pace ovunque
          e l'ordine delle cose.
          Ma prima di imparare a scrivere
          guardati nell'acqua del sentimento.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Potessero le mie mani sfogliare

            Pronunzio il tuo nome
            nelle notti scure,
            quando sorgono gli astri
            per bere dalla luna
            e dormono le frasche
            delle macchie occulte.
            E mi sento vuoto
            di musica e passione.
            Orologio pazzo che suona
            antiche ore morte.
            Pronunzio il tuo nome
            in questa notte scura,
            e il tuo nome risuona
            più lontano che mai.
            Più lontano di tutte le stelle
            e più dolente della dolce pioggia.
            T'amerò come allora
            qualche volta? Che colpa
            ha mai questo mio cuore?
            Se la nebbia svanisce,
            quale nuova passione mi attende?
            Sarà tranquilla e pura?
            Potessero le mie mani
            sfogliare la luna!
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              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Sarebbe bello morire alla macchina da scrivere invece che in un letto con il culo appiccicato a una padella fredda.
              Una volta andai all'ospedale a trovare un mio amico scrittore che stava morendo
              un pezzetto alla volta
              il peggior modo possibile.
              Così a ogni visita
              (quando era in sè) continuava a
              parlarmi
              della sua
              scrittura (di come non fosse un dono
              ma una magica ossessione)
              E non si preoccupava delle
              mie visite perché
              lui sapeva che io capivo perfettamente che cosa stava
              dicendo.
              Al suo funerale
              mi aspettavo che si alzasse dalla
              bara e dicesse: "Chinaski,
              è stato bello così,
              ne è valsa pena"
              non ha mai saputo come ero fatto
              perché prima che ci conoscessimo
              era giù diventato cieco
              ma sapeva
              che io capivo
              la sua lenta e terribile
              morte.
              Una volta gli dissi che
              gli dei lo stavano punendo
              perché scriveva troppo
              bene.
              Io spero di non essere mai così
              bravo, io voglio morire con la mia testa buttata su questa
              macchina da scrivere
              3 righe alla fine della
              pagina
              una sigaretta consumata tra le
              dita, la radio ancora accesa
              voglio solo scrivere
              abbastanza bene per
              finire
              così.
              Composta mercoledì 25 settembre 2013
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