Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Elisa Iacobellis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il tramonto della luna

Quale in notte solinga
sovra campagne inargentate ed acque,
là 've zefiro aleggia,
e mille vaghi aspetti
e ingannevoli obbietti
fingon l'ombre lontane
infra l'onde tranquille
e rami e siepi e collinette e ville;
giunta al confin del cielo,
dietro Appennino od Alpe, o del Tirreno
nell'infinito seno
scende la luna; e si scolora il mondo;
spariscon l'ombre, ed una
oscurità la valle e il monte imbruna;
orba la notte resta,
e cantando con mesta melodia,
l'estremo albor della fuggente luce,
che dinanzi gli fu duce,
saluta il carrettier dalla sua via;
tal si dilegua, e tale
lascia l'età mortale
la giovinezza. In fuga
van l'ombre e le sembianze
dei dilettosi inganni; e vengon meno
le lontane speranze,
ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
resta la vita. In lei porgendo il guardo,
cerca il confuso viatore invano
del cammin lungo che avanzar si sente
meta o ragione; e vede
ch'a sé l'umana sede,
esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
nostra misera sorte
parve lassù, se il giovanile stato,
dove ogni ben di mille pene è frutto,
durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
quel che sentenzia ogni animale a morte,
s'anco mezza la via
lor non si desse in pria
della terribil morte assai più dura.
D'intelletti immortali
degno trovato, estremo
di tutti i mali, ritrovar gli eterni
la vacchiezza, ove fosse
incolume il desio, la speme estinta,
secche le fonti del piacer, le pene
maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
caduto lo splendor che all'occidente
inargentava della notte il velo,
orfane ancor gran tempo
non resterete: che dall'altra parte
tosto vedrete il cielo
imbiancar novamente, e sorger l'alba:
alla qual poscia seguitando il sole,
e folgorando intorno
con le sue fiamme possenti,
di lucidi torrenti
inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
giovinezza sparì, non si colora
d'altra luce giammai, né d'altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
che l'altre etadi oscura,
segno poser gli Dei la sepoltura.
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    Scritta da: Carmine Carmine
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Una sfida alle tenebre

    Colpito in un occhio
    colpito nel cervello
    colpito nel culo
    colpito come un fiore che sta danzando

    Meravigliandomi per come la morte vinca senza fatica
    meravigliandomi per come si presti fede a stupide forme di vita

    Meravigliandomi per come il riso venga soffocato
    meravigliandomi per come il vizio sia così una costante

    Devo in fretta dichiarare una mia guerra alla loro guerra
    devo aggrapparmi al mio ultimo pezzo di suolo
    devo proteggere il piccolo spazio che mi sono ritagliato e che mi ha permesso di vivere

    La mia vita non la loro morte
    la mia morte non la loro morte...
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      Scritta da: Andrew Ricooked
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Un albero, una strada, un rospo

      Un tavolo da 7, tutti
      che ridono forte, senza smetter,
      in modo quasi assordante,
      ma non c'è gioia nella loro
      risata, sembra
      meccanica.
      Finzione e falsità
      avvelenano l'aria.
      Sembra che gli altri avventori non lo
      notino.
      Sono asfissiato dalle risate,
      le viscere, il cervello, la mia coscienza,
      mi vanno di traverso.
      Sogno di prendere una postola, di
      avvicinarmi al tavolo
      e di far saltare le loro teste,
      una dopo l'altra.
      Naturalmente, questo mi renderebbe
      ancora più colpevole di
      loro.
      Eppure, continuo a fantasticare e
      poi capisco che pretendo
      troppo.
      Avrei già dovuto capire
      da un pezzo che è così
      e basta:
      che dappertutto ci sono tavoli da 2,
      3,7, 10 o anche più
      con gente
      che ride senza motivo e
      senza gioia,
      che ride per niente senza
      trasporto,
      e che questa è una parte inevitabile
      di tutto,
      come un albero, una strada, un rospo.

      Ordino ancora da bere e
      decido di non ucciderli, nemmeno
      nella mia immaginazione.

      Decido, invece, che sono un
      uomo davvero fortunato:
      il tavolo è a 7 metri di distanza.
      Potrei essere a quel tavolo, seduto
      con loro,
      vicino alle loro bocche,
      vicino ai loro occhi e alle loro orecchie
      e alle loro mani,
      e sentire realmente la conversazione
      che provoca le loro risate
      senza gioia.
      Mi sono già trovato in molte situazioni simili
      ed è stata una dura croce,
      davvero.

      Così, mi accontento della mia buona sorte
      ma non posso fare a meno di chiedermi
      se al mondo sia rimasto un angolo
      con un tavolo da 7 dove
      si provano sentimenti autentici,
      dove c'è
      una bella risata vera.
      Spero di si.
      Devo sperare di si.
      Composta domenica 3 gennaio 2010
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        Scritta da: Antonio Dati
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        È Natale

        È Natale!

        È Natale ogni volta
        che sorridi a un fratello
        e gli tendi la mano.
        È Natale ogni volta
        che rimani in silenzio
        per ascoltare l'altro.
        È Natale ogni volta
        che non accetti quei principi
        che relegano gli oppressi
        ai margini della società.
        È Natale ogni volta
        che speri con quelli che disperano
        nella povertà fisica e spirituale.
        È Natale ogni volta
        che riconosci con umiltà
        i tuoi limiti e la tua debolezza.
        È Natale ogni volta
        che permetti al Signore
        di rinascere per donarlo agli altri.
        Composta lunedì 20 dicembre 2010
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          Scritta da: goccia di miele
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il sogno

          La notte impone a noi la sua fatica
          magica. Disfare l'universo,
          le ramificazioni senza fine
          di effetti e di cause che si perdono
          in quell'abisso senza fondo, il tempo.
          La notte vuole che stanotte oblii
          il tuo nome, i tuoi avi e il tuo sangue,
          ogni parola umana ed ogni lacrima,
          ciò che poté insegnarti la tua veglia,
          l'illusorio punto dei geometri,
          la linea, il piano, il cubo, la piramide,
          il cilindro, la sfera, il mare, le onde,
          la guancia sul cuscino, la freschezza
          del lenzuolo nuovo...
          Gli imperi, i Cesari e Shakespeare
          e, ancora più difficile, ciò che ami.
          Curiosamente, una pastiglia può
          svanire il cosmo e costruire il caos.
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            Scritta da: Pedra
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Liguria

            Scarsa lingua di terra che orla il mare,
            chiude la schiena arida dei monti;
            scavata da improvvisi fiumi; morsa
            dal sale come anello d'ancoraggio;
            percossa dalla farsa; combattuta
            dai venti che ti recano dal largo
            l'alghe e le procellarie
            - ara di pietra sei, tra cielo e mare
            levata, dove brucia la canicola
            aromi di selvagge erbe.
            Liguria,
            l'immagine di te sempre nel cuore,
            mia terra, porterò, come chi parte
            il rozzo scapolare che gli appese
            lagrimando la madre.
            Ovunque fui
            nelle contrade grasse dove l'erba
            simula il mare; nelle dolci terre
            dove si sfa di tenerezza il cielo
            su gli attoniti occhi dei canali
            e van femmine molli bilanciando
            secchi d'oro sull'omero - dovunque,
            mi trapassò di gioia il tuo pensato
            aspetto.

            Quanto ti camminai ragazzo! Ad ogni
            svolto che mi scopriva nuova terra,
            in me balzava il cuore di Caboto
            il dì che dal malcerto legno scorse
            sul mare pieno di meraviglioso
            nascere il Capo.

            Bocconi mi buttai sui tuoi fonti,
            con l'anima e i ginocchi proni, a bere.
            Comunicai di te con la farina
            della spiga che ti inazzurra i colli,
            dimenata e stampata sulla madia,
            condita dall'olivo lento, fatta
            sapida dal basilico che cresce
            nella tegghia e profuma le tue case.
            Nei porti delle tue città cercai,
            nei fungai delle tue case, l'amore,
            nelle fessure dei tuoi vichi.
            Bevvi
            alla frasca ove sosta il carrettiere,
            nella cantina mucida, dal gotto
            massiccio, nel cristallo
            tolto dalla credenza, il tuo vin aspro
            - per mangiare di te, bere di te,
            mescolare alla tua vita la mia
            caduca.
            Marchio d'amore nella carne, varia
            come il tuo cielo ebbi da te l'anima,
            Liguria, che hai d'inverno
            cieli teneri come a primavera.
            Brilla tra i fili della pioggia il sole,
            bella che ridi
            e d'improvviso in lagrime ti sciogli.
            Da pause di tepido ingannate,
            s'aprono violette frettolose
            sulle prode che non profumeranno.

            Le petraie ventose dei tuoi monti,
            l'ossame dei tuoi greti;
            il tuo mare se vi trascina il sole
            lo strascico che abbaglia o vi saltella
            una manciata fredda di zecchini
            le notti che si chiamano le barche;
            i tuoi docili clivi, tocchi d'ombra
            dall'oliveto pallido, canizie
            benedicente a questa atroce terra:
            - aspri o soavi, effimeri od eterni,
            sei tu, terra, e il tuo mare, i soli volti
            che s'affacciano al mio cuore deserto.

            Io pagano al tuo nume sacrerei,
            Liguria, se campassi della rete,
            rosse triglie nell'alga boccheggianti;
            o la spalliera di limoni al sole,
            avessi l'orto; il testo di garofani,
            non altro avessi:
            i beni che tu doni ti offrirei.
            L'ultimo remo, vecchio marinaio
            t'appenderei.

            Chè non giovano, a dir di te, parole:
            il grido del gabbiano nella schiuma
            la collera del mare sugli scogli
            è il solo canto che s'accorda a te.

            Fossi al tuo sole zolla che germoglia
            il filuzzo dell'erba. Fossi pino
            abbrancato al tuo tufo, cui nel crine
            passa la mano ruvida aquilone.
            Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi.
            Composta mercoledì 30 novembre 1921
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              Scritta da: 164gio51vi
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Una carogna

              Ricordi tu l'oggetto, anima mia, che vedemmo quel mattino d'estate così dolce? Alla svolta d'un sentiero un'infame carogna sopra un letto di sassi,
              le gambe all'aria, come una femmina impudica, bruciando e sudando i suoi veleni, spalancava, con noncuranza e cinismo, il suo ventre pieno d'esalazioni.
              Il sole dardeggiava su quel marciume come volendolo cuocere interamente, rendendo centuplicato alla Natura quanto essa aveva insieme mischiato;
              e il cielo contemplava la carcassa superba sbocciare come un fiore. Il puzzo era tale che tu fosti per venir meno sull'erba.
              Le mosche ronzavano sul ventre putrido donde uscivano neri battaglioni di larve colanti come un liquame denso lungo gli stracci della carne.
              Tutto discendeva e risaliva come un'onda, o si slanciava brulicando: si sarebbe detto che il corpo gonfio d'un vuoto soffio, vivesse moltiplicandosi.
              E tutto esalava una strana musica, simile all'acqua corrente o al vento, o al grano che il vagliatore con ritmico movimento agita e volge nel vaglio.
              Le forme si cancellavano riducendosi a puro sogno: schizzo, lento a compiersi, sulla tela (dimenticata) che l'artista condurrà a termine a memoria.
              Dietro le rocce una cagna inquieta ci guardava con occhio offeso, spiando il momento in cui riprendere allo scheletro il brano abbandonato.
              - Eppure tu sarai simile a quell'immondizia, a quell'orribile peste, stella degli occhi miei, sole della mia natura, mia passione, mio angelo!
              Sì, tu, regina delle grazie, sarai tale dopo l'estremo sacramento, allora che, sotto l'erba e i fiori grassi, andrai a marcire fra le ossa.
              Allora, o bella, dillo, ai vermi che ti mangeranno di baci, che io ho conservato la forma e l'essenza divina di tutti i miei decomposti amori.
              Composta martedì 13 dicembre 2011
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