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in Poesie (Poesie d'Autore)
Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
anch'io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d'amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.
Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa
ben più di quella lingua che più e più parlò.
Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Autobiografia (1962)

    Sono nato nel 1902
    non sono più tornato
    nella città natale
    non amo i ritorni indietro
    quando avevo tre anni
    abitavo Alep
    con mio nonno pascià
    a 19 anni studiavo a Mosca
    all'università comunista
    a 49 ero a Mosca di nuovo
    ospite del comitato centrale
    del partito comunista
    e dall'età di 14 anni
    faccio il poeta
    alcuni conoscon bene le varie specie
    delle piante altri quelle dei pesci
    io conosco le separazioni
    alcuni enumerano a memoria i nomi
    delle stelle io delle nostalgie
    ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
    ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
    e non c'è quasi pietanza
    che non abbia assaggiata
    quando avevo trent'anni hanno chiesto
    la mia impiccagione
    a 48 mi hanno proposto
    per la medaglia della Pace
    e me l'hanno data
    a 36 ho traversato in sei mesi
    i quattro metri quadrati
    di cemento
    della segregazione cellulare
    a 59 sono volato
    da Praga all'Avana
    in diciotto ore
    ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel '24
    e il mausoleo che visito sono i suoi libri
    han provato a strapparmi dal mio Partito
    e non ci son riusciti
    e non sono rimasto schiacciato
    sotto gl'idoli crollati
    nel 51 con un giovane compagno
    ho camminato verso la morte
    nel 52 col cuore spaccato ho atteso la morte
    per quattro mesi sdraiato sul dorso
    sono stato pazzamente geloso delle donne ch'ho amato
    non ho invidiato nemmeno Charlot
    ho ingannato le mie donne
    non ho sparlato degli amici
    dietro le loro spalle
    ho bevuto ma non sono stato un bevitore
    ho sempre guadagnato il mio pane
    col sudore della mia fronte
    che felicità
    mi sono vergognato per gli altri e ho mentito
    ho mentito per non far pena agli altri
    ma ho anche mentito
    senza nessun motivo
    ho viaggiato in treno in areoplano in macchina
    i più non possono farlo
    sono stato all'Opera
    i più non ci vanno non sanno
    nemmeno che cosa sia
    e dal '21 non sono entrato
    in certi luoghi frequentati dai più
    la moschea la sinagoga la chiesa
    il tempio i maghi le fattucchiere
    ma mi è capitato
    di far leggere la mia sorte
    nei fondi di caffè
    le mie poesie sono pubblicate
    in trenta o quaranta lingue
    ma nella mia Turchia
    nella mia lingua turca
    sono proibite
    il cancro non l'ho ancora avuto
    non è necessario che l'abbia
    non sarò primo ministro
    d'altronde non ne ho voglia
    anche non ho fatto la guerra
    non sono sceso nei ricoveri
    nel mezzo della notte
    non ho camminato per le vie
    sotto gli aerei in picchiata
    ma verso i sessant'anni mi sono innamorato
    in una parola compagni
    anche se oggi a Berlino sono sul punto
    di crepar di tristezza
    posso dire di aver vissuto
    da uomo
    e quanto vivrò ancora
    e quanto vedrò ancora
    chi sa.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La notte

      Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo
      e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi
      stanno i nostri libri.
      Sono un prigioniero, madre mia,
      che ritorna al paese
      da una fortezza nemica.
      È l'una di notte
      la lampada è ancora accesa.
      Al mio fianco è coricata mia moglie
      mia moglie
      incinta di cinque mesi.
      Quando la mia carne tocca la sua
      quando le poso la mano sul ventre
      il bimbo si muove un poco.
      Sul ramo la foglia
      nell'acqua il pesce
      nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo.
      La camiciola di lana rosa
      per il mio bambino
      l'ha sferruzata sua madre
      è grande come la mia mano
      con le maniche appena così.
      Mio piccolo.
      Se sarà femmina
      voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,
      s'è maschio, che sia della mia statura.
      S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato
      s'è maschio, azzurri.
      Mio piccolo.
      Non voglio che a vent'anni t'ammazzino
      se sei maschio, al fronte
      se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.
      Mio piccolo.
      Femmina o maschio
      a qualsiasi età
      non voglio che tu conosca il carcere
      per essere stato dalla parte del giusto
      del bello, della pace.
      Ma so bene
      figlia mia
      o figlio mio
      che se il sole tarderà molto a sorgere
      dalle acque
      dovrai combattere e anche...
      Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere
      essere padre.

      È l'una di notte.
      La lampada non l'abbiamo ancora spenta.
      Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino
      la mia casa conoscerà
      ancora un'altra irruzione della polizia
      e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro.
      I questurini della politica
      mi prenderanno in mezzo
      e io mi volterò indietro a guardare:
      mia moglie sarà sulla soglia
      davanti alla porta
      il vento del mattino
      gonfierà la sua gonna
      e nel suo ventre pesante
      il bambino si muoverà un poco.
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        Scritta da: Cheope
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Tutto è finito

        Si lo so, tutto è finito
        non parlar, non dirmi niente
        già da un pezzo l'ho capito
        che il finale era imminente.
        Si lo so, tutto è finito
        sei d'un altro innamorata
        già da un pezzo l'ho capito
        questa scena l'ho aspettata.

        La commedia dell'amore
        è finita finalmente
        hai spezzato questo cuore
        non parlar, non dirmi niente.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Potessero le mie mani sfogliare

          Pronunzio il tuo nome
          nelle notti scure,
          quando sorgono gli astri
          per bere dalla luna
          e dormono le frasche
          delle macchie occulte.
          E mi sento vuoto
          di musica e passione.
          Orologio pazzo che suona
          antiche ore morte.
          Pronunzio il tuo nome
          in questa notte scura,
          e il tuo nome risuona
          più lontano che mai.
          Più lontano di tutte le stelle
          e più dolente della dolce pioggia.
          T'amerò come allora
          qualche volta? Che colpa
          ha mai questo mio cuore?
          Se la nebbia svanisce,
          quale nuova passione mi attende?
          Sarà tranquilla e pura?
          Potessero le mie mani
          sfogliare la luna!
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Non è il tuo amore che domando

            Non è il tuo amore che domando.
            Si trova adesso in un luogo conveniente.
            Stanne pur certo, lettere gelose
            non scriverò alla tua fidanzata.
            Però accetta dei saggi consigli:
            dalle da leggere i mie versi,
            dalle da custodire i miei ritratti,
            sono così cortesi i fidanzati!
            E conta più per queste scioccherelle
            assaporare a fondo una vittoria
            che luminose parole di amicizia,
            e il ricordo dei primi, dolci giorni...
            Ma allorché con la diletta amica
            avrai vissuto spiccioli di gioia
            e all'anima già sazia d'improvviso
            tutto parrà un peso,
            non accostarti alla mia notte trionfale.
            Non ti conosco.
            E in cosa potrei esserti d'aiuto?
            Dalla felicità io non guarisco.
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              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Sarebbe bello morire alla macchina da scrivere invece che in un letto con il culo appiccicato a una padella fredda.
              Una volta andai all'ospedale a trovare un mio amico scrittore che stava morendo
              un pezzetto alla volta
              il peggior modo possibile.
              Così a ogni visita
              (quando era in sè) continuava a
              parlarmi
              della sua
              scrittura (di come non fosse un dono
              ma una magica ossessione)
              E non si preoccupava delle
              mie visite perché
              lui sapeva che io capivo perfettamente che cosa stava
              dicendo.
              Al suo funerale
              mi aspettavo che si alzasse dalla
              bara e dicesse: "Chinaski,
              è stato bello così,
              ne è valsa pena"
              non ha mai saputo come ero fatto
              perché prima che ci conoscessimo
              era giù diventato cieco
              ma sapeva
              che io capivo
              la sua lenta e terribile
              morte.
              Una volta gli dissi che
              gli dei lo stavano punendo
              perché scriveva troppo
              bene.
              Io spero di non essere mai così
              bravo, io voglio morire con la mia testa buttata su questa
              macchina da scrivere
              3 righe alla fine della
              pagina
              una sigaretta consumata tra le
              dita, la radio ancora accesa
              voglio solo scrivere
              abbastanza bene per
              finire
              così.
              Composta mercoledì 25 settembre 2013
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