Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Cupido, loser, eigenwilliger Knabe!

Cupido, loser, eigenwilliger Knabe!
Du batst mich um Quartier auf einige Stunden.
Wie viele Tag'und Nächte bist du geblieben!
Und bist nun herrisch und Meister im Hause geworden!
Von meinem breiten Lager bin ich vertrieben;
Nun sitz ich an der Erde, Nächte gequälet;
Dein Mutwill schüret Flamm auf Flamme des Herdes,
Verbrennet den Vorrat des Winters
und senget mich Armen.
Du hast mir mein Geräte verstellt und verschoben;
Ich such und bin wie blind und irre geworden.
Du lärmst so ungeschickt; ich fürchte das Seelchen
Entflieht, um dir zu entfliehn, und räumet die Hütte.
Cupido, monello testardo!
Cupido, monello testardo!
M'hai chiesto un riparo per poche ore,
e quanti giorni e notti sei rimasto!
Adesso il padrone in casa mia sei tu!
Sono scacciato dal mio ampio letto;
sto per terra, e di notte mi tormento;
il tuo capriccio attizza fiamma su fiamma nel fuoco,
brucia le scorte d'inverno
e arde me misero.
Hai spostato e scompigliato gli oggetti miei,
io cerco, e sono come cieco e smarrito.
Strepiti senza ritegno, e io temo che l'animula
fugga via per sfuggire te, e abbandoni questa capanna.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Viaggio a Montevideo

    Io vidi dal ponte della nave
    I colli di Spagna
    Svanire, nel verde
    Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
    Come una melodia:
    D'ignota scena fanciulla sola
    Come una melodia
    Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
    Illanguidiva la sera celeste sul mare:
    Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
    Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
    Lontani tinti dei varii colori
    Dai più lontani silenzii
    Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
    Già cieca varcando battendo la tenebra
    Coi nostri naufraghi cuori
    Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
    Ma un giorno
    Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
    Da gli occhi torbidi e angelici
    Dai seni gravidi di vertigine. Quando
    In una baia profonda di un'isola equatoriale
    In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
    Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
    Una bianca città addormentata
    Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
    Nel soffio torbido dell'equatore: finché
    Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
    Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
    Noi lasciammo la città equatoriale
    Verso l'inquieto mare notturno.
    Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
    gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
    Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
    Una fanciulla della razza nuova,
    Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
    La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
    E vidi come cavalle
    Vertiginose che si scioglievano le dune
    Verso la prateria senza fine
    Deserta senza le case umane
    E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
    Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
    Del continente nuovo la capitale marina.
    Limpido fresco ed elettrico era il lume
    Della sera e là le alte case parevan deserte
    Laggiù sul mar del pirata
    De la città abbandonata
    Tra il mare giallo e le dune...
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      Scritta da: Maresa Schembri
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Amore

      Dicono che lo sciacallo e la talpa
      bevano allo stesso ruscello
      dove viene a bere il leone.

      E dicono che l'aquila e l'avvoltoio
      infilino il becco nella stessa carcassa,
      e stanno in pace l'uno con l'altro, davanti alla cosa morta.

      O amore, che con la tua regale mano
      hai imbrigliato i miei desideri,
      e hai elevato la mia fame e la mia sete
      a dignità di orgoglio,
      non permettere che il forte e il durevole in me
      mangino il pane e bevano il vino
      che tentano il mio io più debole.
      Lasciami piuttosto morire di fame,
      e consenti che il mio cuore bruci dalla sete
      e lasciami morire e avvizzirmi,
      prima che io stenda la mano
      verso una coppa che tu non abbia riempito
      o una ciotola che tu non abbia benedetto.
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        Scritta da: Eclissi
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Canzone d'autunno

        Oggi sento nel cuore
        un vago tremore di stelle,
        ma il mio sentiero si perde
        nell'anima della nebbia.
        La luce mi spezza le ali
        e il dolore della mia tristezza
        bagna i ricordi
        alla fonte dell'idea.
        Tutte le rose sono bianche,
        bianche come la mia pena,
        e non sono le rose bianche,
        perché ci ha nevicato sopra.
        Prima ci fu l'arcobaleno.
        Nevica anche sulla mia anima.
        La neve dell'anima ha
        fiocchi di baci e di scene
        che sono affondate nell'ombra
        o nella luce di chi le pensa.
        La neve cade dalle rose,
        ma quella dell'anima resta
        e l'artiglio degli anni
        ne fa un sudario.
        Si scioglierà la neve
        quando moriremo?
        O ci sarà altra neve
        e altre rose più perfette?
        Scenderà la pace su di noi
        come c'insegna Cristo?
        O non sarà mai possibile
        la soluzione del problema?
        E se l'amore c'inganna?
        Chi animerà la nostra vita
        se il crepuscolo ci sprofonda
        nella vera scienza
        del Bene che forse non esiste
        e del Male che batte vicino?
        Se la speranza si spegne
        e ricomincia Babele
        che torcia illuminerà
        le strade della Terra?
        Se l'azzurro è un sogno,
        che ne sarà dell'innocenza?
        Che ne sarà del cuore
        se l'Amore non ha frecce?
        Se la morte è la morte,
        che ne sarà dei poeti
        e delle cose addormentate
        che più nessuno ricorda?
        O sole della speranza!
        Acqua chiara! Luna nuova!
        Cuori dei bambini!
        Anime rudi delle pietre!
        Oggi sento nel cuore
        un vago tremore di stelle
        e tutte le rose sono
        bianche come la mia pena.
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          Scritta da: Gabriella Stigliano
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Non so come tu canti, mio signore!
          Sempre ti ascolto
          in silenzioso stupore.
          La luce della tua musica
          illumina il mondo.
          Il soffio della tua musica
          corre da cielo a cielo.
          L'onda sacra della tua musica
          irrompe tra gli ostacoli pietrosi
          e scorre impetuosa in avanti.

          Il cuore anela di unirsi al tuo canto,
          ma invano cerco una voce.
          Vorrei parlare, ma le mie parole
          non si fondono in canti
          e impotente grido.
          Hai fatto prigioniero il mio cuore
          nelle infinite reti
          della tua musica.
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            Scritta da: Rea
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il tuo sorriso

            Toglimi il pane, se vuoi,
            toglimi l'aria, ma
            non togliermi il tuo sorriso.

            Non togliermi la rosa,
            la lancia che sgrani,
            l'acqua che d'improvviso
            scoppia nella tua gioia,
            la repentina onda
            d'argento che ti nasce.

            Dura è la mia lotta e torno
            con gli occhi stanchi,
            a volte, d'aver visto
            la terra che non cambia,
            ma entrando il tuo sorriso
            sale al cielo cercandomi
            ed apre per me tutte
            le porte della vita.

            Amore mio, nell'ora
            più oscura sgrana
            il tuo sorriso, e se d'improvviso
            vedi che il mio sangue macchina
            le pietre della strada,
            ridi, perché il tuo riso
            sarà per le mie mani
            come una spada fresca.

            Vicino al mare, d'autunno,
            il tuo riso deve innalzare
            la sua cascata di spuma,
            e in primavera, amore,
            voglio il tuo riso come
            il fiore che attendevo,
            il fiore azzurro, la rosa
            della mia patria sonora.

            Riditela della notte,
            del giorno, delle strade
            contorte dell'isola,
            riditela di questo rozzo
            ragazzo che ti ama,
            ma quando apro gli occhi
            e quando li richiudo,
            quando i miei passi vanno,
            quando tornano i miei passi,
            negami il pane, l'aria,
            la luce, la primavera,
            ma il tuo sorriso mai,
            perché io ne morrei.
            Composta lunedì 6 settembre 2010
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              Scritta da: Gabriella Stigliano
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il ricordo

              Quando per un mortale il fragore
              del giorno cessa e sulla muta città
              l'ombra traslucida della notte
              e il sonno che ristora scende già,
              allora per me s'insinua nel silenzio
              il tempo del penoso vegliare:
              e nell'inerzia notturna, della serpe
              del cuore sento i morsi bruciare.
              I sogni fervono e da gravi pensieri
              è oppressa allora la mia mente.
              Il tacito ricordo davanti a me
              il suo lungo rotolo distende,
              e con disgusto leggendo la mia vita,
              amaramente piango e mi deprimo,
              amaramente tremo e maledico,
              ma i tristi versi non sopprimo.
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