Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Quando musica tu suoni, mia musica,
su quel beato legno che alle dita
gentili replica mentre conduci
la vibrante armonia che mi smarrisce,
quanto invidio quei tasti che in su e in giù
tenendo il cavo di tua mano baciano -
e dal raccolto le mie labbra escluse,
lì accanto, si fan rosse a tanta audacia.
Ben situazione e stato muterebbero,
purché tu le sfiorassi, con quei rapidi
in danza - e tu scorri sì che lieto
fai morto legno più che vive labbra.
Se tanta sorte hanno quegli sfrontati,
dà lor le dita, a me le labbra al bacio.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Rubai

    È l'alba. S'illumina il mondo
    come l'acqua che lascia cadere sul fondo
    le sue impurità. E sei tu, all'improvviso
    tu, mio amore, nel chiarore infinito
    di fronte a me.

    Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente
    come vetro. Addentare la polpa candida e sana
    d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia
    all'aspirare l'aria in un bosco di pini.

    Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
    se le nostre anime non si vedessero da lontano
    non saremmo così vicini, chi sa,
    se la sorte non ci avesse divisi.

    È così, mio usignolo, tra te e me
    c'è solo una differenza di grado:
    tu hai le ali e non puoi volare
    io ho le mani e non posso pensare.

    Finito, dirà un giorno madre Natura
    finito di ridere e di piangere
    e sarà ancora la vita immensa
    che non vede non parla non pensa.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il Cinque Maggio

      Ei fu. Siccome immobile,
      dato il mortal sospiro,
      stette la spoglia immemore
      orba di tanto spiro,
      così percossa, attonita
      la terra al nunzio sta,
      muta pensando all'ultima
      ora dell'uom fatale;
      né sa quando una simile
      orma di piè mortale
      la sua cruenta polvere
      a calpestar verrà.
      Lui folgorante in solio
      vide il mio genio e tacque;
      quando, con vece assidua,
      cadde, risorse e giacque,
      di mille voci al sònito
      mista la sua non ha:
      vergin di servo encomio
      e di codardo oltraggio,
      sorge or commosso al sùbito
      sparir di tanto raggio;
      e scioglie all'urna un cantico
      che forse non morrà.
      Dall'Alpi alle Piramidi,
      dal Manzanarre al Reno,
      di quel securo il fulmine
      tenea dietro al baleno;
      scoppiò da Scilla al Tanai,
      dall'uno all'altro mar.
      Fu vera gloria? Ai posteri
      l'ardua sentenza: nui
      chiniam la fronte al Massimo
      Fattor, che volle in lui
      del creator suo spirito
      più vasta orma stampar.
      La procellosa e trepida
      gioia d'un gran disegno,
      l'ansia d'un cor che indocile
      serve, pensando al regno;
      e il giunge, e tiene un premio
      ch'era follia sperar;
      tutto ei provò: la gloria
      maggior dopo il periglio,
      la fuga e la vittoria,
      la reggia e il tristo esiglio;
      due volte nella polvere,
      due volte sull'altar.
      Ei si nomò: due secoli,
      l'un contro l'altro armato,
      sommessi a lui si volsero,
      come aspettando il fato;
      ei fè silenzio, ed arbitro
      s'assise in mezzo a lor.
      E sparve, e i dì nell'ozio
      chiuse in sì breve sponda,
      segno d'immensa invidia
      e di pietà profonda,
      d'inestinguibil odio
      e d'indomato amor.
      Come sul capo al naufrago
      l'onda s'avvolve e pesa,
      l'onda su cui del misero,
      alta pur dianzi e tesa,
      scorrea la vista a scernere
      prode remote invan;
      tal su quell'alma il cumulo
      delle memorie scese.
      Oh quante volte ai posteri
      narrar se stesso imprese,
      e sull'eterne pagine
      cadde la stanca man!
      Oh quante volte, al tacito
      morir d'un giorno inerte,
      chinati i rai fulminei,
      le braccia al sen conserte,
      stette, e dei dì che furono
      l'assalse il sovvenir!
      E ripensò le mobili
      tende, e i percossi valli,
      e il lampo dè manipoli,
      e l'onda dei cavalli,
      e il concitato imperio
      e il celere ubbidir.
      Ahi! Forse a tanto strazio
      cadde lo spirto anelo,
      e disperò; ma valida
      venne una man dal cielo,
      e in più spirabil aere
      pietosa il trasportò;
      e l'avviò, pei floridi
      sentier della speranza,
      ai campi eterni, al premio
      che i desideri avanza,
      dov'è silenzio e tenebre
      la gloria che passò.
      Bella Immortal! Benefica
      Fede ai trionfi avvezza!
      Scrivi ancor questo, allegrati;
      ché più superba altezza
      al disonor del Gòlgota
      giammai non si chinò.
      Tu dalle stanche ceneri
      sperdi ogni ria parola:
      il Dio che atterra e suscita,
      che affanna e che consola,
      sulla deserta coltrice
      accanto a lui posò.
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        Scritta da: Roberta68
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Quercia sfrondata

        Ti abbiamo tagliato,
        albero!
        Come sei spoglio e bizzarro.
        Cento volte hai patito,
        finché tutto in te fu solo tenacia
        e volontà!
        Io sono come te. Non ho
        rotto con la vita
        incisa, tormentata
        e ogni giorno mi sollevo dalle
        sofferenze e alzo la fronte alla luce.
        Ciò che in me era tenero e delicato,
        il mondo lo ha deriso a morte,
        ma indistruttibile è il mio essere,
        sono pago, conciliato.
        Paziente genero nuove foglie
        Da rami cento volte sfrondati
        e a dispetto di ogni pena
        rimango innamorato
        del mondo folle.
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