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in Poesie (Poesie d'Autore)

A quanto pare mia madre non dovrebbe avermi abortito

Vinco le parole al fiato
lacero le fibre necessarie
sanguino il sanguinabile
giro il cannocchiale verso di me
non compro nessuna macchina usata da quel tizio
la macchina usata ce l'ho già
infilo il mare
ne vengo sputato
cedo la ragione al vento
dò forma alla strada con l'ombra del machete
dò forma alla mia ombra col gesso
conosco il muschio senza fargli conoscere me
conosco il bordo del mondo per sentito dire
non mi lascio minacciare nel futuro
inalo il monte rosa
scalcio
giro le trottole
conservo la soglia del dolore
mi presento gli occhi che per poco non ho usato
mi concedo, mi assumo, mi spingo, mi apposto, mi bracco
mi invito alla festa
dirigo l'attenzione con bacchette in ciliegio
riconosco il piacere
rilascio le spalle
non trattengo urla
non trattengo nascite
non dubito delle stelle
non dubito del fatto che mia madre non mi abbia abortito

non ho intenzione di sentirmi abusivo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'anguilla

    L'anguilla, la sirena
    dei mari freddi che lascia il Baltico
    per giungere ai nostri mari,
    ai nostri estuari, ai fiumi
    che risale in profondo, sotto la piena avversa,
    di ramo in ramo e poi
    di capello in capello, assottigliati,
    sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
    del macigno, filtrando
    tra gorielli di melma finché un giorno
    una luce scoccata dai castagni
    ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
    nei fossi che declinano
    dai balzi d'Appennino alla Romagna;
    l'anguilla, torcia, frusta,
    freccia d'Amore in terra
    che solo i nostri botri o i disseccati
    ruscelli pirenaici riconducono
    a paradisi di fecondazione;
    l'anima verde che cerca
    vita là dove solo
    morde l'arsura e la desolazione,
    la scintilla che dice
    tutto comincia quando tutto pare
    incarbonirsi, bronco seppellito:
    l'iride breve, gemella
    di quella che incastonano i tuoi cigli
    e fai brillare intatta in mezzo ai figli
    dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
    non crederla sorella?
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Marradi

      Il vecchio castello che ride sereno sull'alto
      La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume
      Che rotto e muggente a tratti canta epopea
      E sereno riposa in larghi specchi d'azzurro:
      Vita e sogno che in fondo alla mistica valle
      Agitate l'anima dei secoli passati:
      Ora per voi la speranza
      Nell'aria ininterrottamente
      Sopra l'ombra del bosco che la annega
      Sale in lontano appello
      Insaziabilmente
      Batte al mio cuor che trema di vertigine.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Di fronte all'Africa

        Aver casa è un bene
        dolce il sonno sotto il proprio tetto
        figli, giardino e cane.
        Ma certo appena ti sei riposato dall'ultimo viaggio

        la lontananza t'insegue con nuove lusinghe.
        Meglio è patire di nostalgia di casa
        e sotto le alte stelle, solo,
        riposare con la propria melanconia.

        Avere e riposare può soltanto,
        chi ha il cuore tranquillo,
        mentre il viandante sopporta fatiche e difficoltà
        con sempre delusa speranza.

        In vero più lieve è il tormento di andare,
        più lieve che trovar pace nelle valli di casa,
        dove tra le gioie e le solite cure
        solo il saggio sa costruire la propria felicità.

        Per me è meglio cercare e mai trovare
        che legarmi, caldo e stretto a quanto mi è accanto,
        perché anche nel bene, su questa terra
        sono solo ospite, mai cittadino.
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          Scritta da: Marco Bertazzoli
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          L'Onda

          Nella cala tranquilla
          scintilla,
          intesto di scaglia
          come l'antica
          lorica
          del catafratto,
          il Mare.
          Sembra trascolorare.
          S'argenta? S'oscura?
          A un tratto
          come colpo dismaglia
          l'arme, la forza
          del vento l'intacca.
          Non dura.
          Nasce l'onda fiacca,
          sùbito s'ammorza.
          Il vento rinforza.
          Altra onda nasce,
          si perde,
          come agnello che pasce
          pel verde:
          un fiocco di spuma
          che balza!
          Ma il vento riviene,
          rincalza, ridonda.
          Altra onda s'alza,
          nel suo nascimento
          più lene
          che ventre virginale!
          Palpita, sale,
          si gonfia, s'incurva,
          s'alluma, propende.
          Il dorso ampio splende
          come cristallo;
          la cima leggiera
          s'arruffa
          come criniera
          nivea di cavallo.
          Il vento la scavezza.
          L'onda si spezza,
          precipita nel cavo
          del solco sonora;
          spumeggia, biancheggia,
          s'infiora, odora,
          travolge la cuora,
          trae l'alga e l'ulva;
          s'allunga,
          rotola, galoppa;
          intoppa
          in altra cui 'l vento
          diè tempra diversa;
          l'avversa,
          l'assalta, la sormonta,
          vi si mesce, s'accresce.
          Di spruzzi, di sprazzi,
          di fiocchi, d'iridi
          ferve nella risacca;
          par che di crisopazzi
          scintilli
          e di berilli
          viridi a sacca.
          O sua favella!
          Sciacqua, sciaborda,
          scroscia, schiocca, schianta,
          romba, ride, canta,
          accorda, discorda,
          tutte accoglie e fonde
          le dissonanze acute
          nelle sue volute
          profonde,
          libera e bella,
          numerosa e folle,
          possente e molle,
          creatura viva
          che gode
          del suo mistero
          fugace.
          E per la riva l'ode
          la sua sorella scalza
          dal passo leggero
          e dalle gambe lisce,
          Aretusa rapace
          che rapisce la frutta
          ond'ha colmo suo grembo.
          Sùbito le balza
          il cor, le raggia
          il viso d'oro.
          Lascia ella il lembo,
          s'inclina
          al richiamo canoro;
          e la selvaggia
          rapina,
          l'acerbo suo tesoro
          oblìa nella melode.
          E anch'ella si gode
          come l'onda, l'asciutta
          fura, quasi che tutta
          la freschezza marina
          a nembo
          entro le giunga!

          Musa, cantai la lode
          della mia Strofe Lunga.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Quando tu sarai vecchia, bimba (Ronsard già te lo disse),
            ricorderai quei versi che io recitavo.
            Avrai i seni tristi d'aver cresciuto i figli,
            gli ultimi germogli della tua vita vuota...
            Io sarò così lungi che le tue mani di cera
            areranno il ricordo delle mie rovine nude.
            Comprenderai che può nevicare in Primavera
            e che in Primavera le nevi son più crude.
            Io sarò così lungi che l'amore e la pena
            che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena
            saranno condannati a morire tra le mie mani...
            E sarà tardi perché se n'è andata la mia adolescenza,
            tardi perché i fiori una volta danno essenza
            e perché anche se mi chiamerai io sarò così lungi.
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              Scritta da: Marzia Ornofoli
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Chi non ha mai visto

              Chi non ha mai visto in una stanza buia
              Filtrare la luce del giorno
              -Levandosi da un corpo adorato
              Per accostare le tende
              Con gli occhi sfiniti e pesti-
              Non può capire quel che cerco di dire,
              Quanto lungo fosse l'ultimo bacio, quanto lento
              Quanto caldo il suo indugio.
              Composta venerdì 7 agosto 2009
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