Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche, assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono. Il mio corpo di rude contadino ti scava e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.
Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione. Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma, come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.
Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo. Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo. Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza! Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia. Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto! Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane, e la fatica rimane, e il dolore infinito.
Guardo in ginocchio la terra guardo l'erba guardo l'insetto guardo l'istante fiorito e azzurro sei come la terra di primavera, amore, io ti guardo.
Sdraiato sul dorso vedo il cielo vedo i rami degli alberi vedo le cicogne che volano sei come il cielo di primavera, amore, io ti vedo.
Ho acceso un fuoco di notte in campagna tocco il fuoco tocco l'acqua tocco la stoffa e l'argento sei come un fuoco di bivacco all'addiaccio io ti tocco.
Sono tra gli uomini amo gli uomini Amo l'azione Amo il pensiero Amo la mia lotta Sei un essere umano nella mia lotta Ti amo.
Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano le briciole di pane che io gettavo sul tuo balcone perché tu sentissi anche chiusa nel sonno le loro strida.
Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due e il nostro breakfast gela fra cataste per me di libri inutili e per te di reliquie che non so: calendari, astucci, fiale e creme.
Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato sui fondali di calce del mattino; ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco soffocato è il bagliore dell'accendino.
O soave che balsamo soffondi alla quieta mezzanotte, e serri con attente e benevole le dita gli occhi nostri del buio compiaciuti, protetti dalla luce, avvolti d'ombra nel ricovero di un divino oblio. O dolcissimo sonno! Se ti piace chiudi a metà di questo, che è tuo, inno i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen prima che il tuo papavero al mio letto largisca in carità il suo dondolio. Poi salvami, altrimenti il giorno andato lucido apparirà sul mio guanciale di nuovo, producendo molte pene, salvami dall'alerte coscienza che viepiù insignorisce il suo vigore causa l'oscurità, scavando come una talpa. Volgi abile la chiave nella toppa oliata e dà il sigillo allo scrigno, che tace, del mio cuore.
Quando l'Eterno passeggiò col guardo Tutto il creato, diffondendo intorno Riso di pace, e fiammeggiar si vide Nè cieli il Sole, e rotear le stelle Dietro la dolce-radïante Luna Tra il fresco vel di solitaria notte, E germogliò natura, e al grigio capo Degli altissimi monti alberi eccelsi Fèro corona, e orrisonando udissi L'ampio padre Oceàn fremer da lungi; Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni Scese Giustizia, e i fulmini guizzando Al fianco le strideano, i dispersi Crini eran cinti d'abbaglianti lampi. In alto assisa vide ergersi il fumo D'innocuo sangue, che fraterna mano Invida sparse, e dagli vacui abissi A tracannarlo, e tingersi le guance Morte ansante lanciossi: immerse allora La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta Piombò su l'orbe, che tacque e crollò. Ma fra le colpe di natura infame Brutta d'orrore la tremenda Dea Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto E le aggruppate chiome ad ogni scossa Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi S'udia l'inferno e la potenza eterna Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve Contaminata la Giustizia fera, E al sozzo pondo dell'umane colpe Le suo immense bilance cigolaro; Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde Inabissata nel tartareo centro.
L'Onnipossente dal più eccelso giro Della sua gloria, d'onde tutto move, Udì le strida del percosso mondo, E al ciel lanciarsi la ministra eterna Vide: accennò la fronte, e le soavi Arpe angeliche tacquero; e la faccia Prostraro i cherubini, e '1 firmamento Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno, Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere Ondeggeranno quasi lievi paglie L'audaci moli; le turrite cime, D'un astro allo strisciar, cenere e fumo Saranno a un tratto; tentennar vedrassi Orrisonante la sferrata terra, Che stritolata piomberà nel lembo D'antiqua notte, fra le cui tenèbre E Luna e Sol staran confusi e muti; Negro e sanguigno bollirà furente Lo spumante Oceàn, rigurgitando Dall'imo ventre polve e fracid'ossa, Che al rintronar di rantolosa tuba Rivestiran lor salma, e quai giganti Vedransi passeggiar su le ruine Dè globi inabissati! E morte e nulla Tutto sarà: precederammi il foco, Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle, Armate il braccio ed infiammato il volto, Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo Scenda sino a quel giorno, e di tremenda Giustizia fermi l'instancabil brando. Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille Voci di gaudio, dell'Eterno al trono Le ginocchia piegò; stese la palma Il Re dei re su la chinata testa, E l'unse del suo amor. Udissi allora Spontaneamente volteggiar pè cieli Inno sacro a Pietà: m'udite attenti E terra e mar, e canterò; m'udite, Chè questo è un inno che dal ciel discende.
La vita... è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all'alba: aver veduto fuori la luce incerta: aver sentito nel corpo rotto la malinconia vergine e aspra dell'aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione improvvisa è più dolce: a me vicino un marinaio giovane: l'azzurro e il bianco della sua divisa, e fuori un mare tutto fresco di colore.
Uno sguardo che rivela il tormento interiore aggiunge bellezza al volto, per quanta tragedia e pena riveli, mentre il volto che non esprime, nel silenzio, misteri nascosti non è bello, nonostante la simmetria dei lineamenti. Il calice non attrae le labbra se non traluce il colore del vino attraverso la trasparenza del cristallo.
Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me non dico che fosse come la mia ombra mi stava accanto anche nel buio non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi quando si dorme si perdono le mani e i piedi io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me non dico che fosse fame o sete o desiderio del fresco nell'afa o del caldo nel gelo era qualcosa che non può giungere a sazietà non era gioia o tristezza non era legata alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi era in me e fuori di me.
Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
Pasqua ventosa che sali ai crocifissi con tutto il tuo pallore disperato, dov'è il crudo preludio del sole? E la rosa la vaga profezia? Dagli orti di marmo ecco l'agnello flagellato a brucare scarsa primavera e illumina i mali dei morti pasqua ventosa che i mali fa più acuti
E se è vero che oppresso mi composero a questo tempo vuoto per l'esaltazione del domani, ho tanto desiderato questa ghirlanda di vento e di sale queste pendici che lenirono il mio corpo ferita di cristallo; ho consumato purissimo pane
Discrete febbri screpolano la luce di tutte le pendici della pasqua, svenano il vino gelido dell'odio; è mia questa inquieta Gerusalemme di residue nevi, il belletto s'accumula nelle stanze nelle gabbie spalancate dove grandi uccelli covarono colori d'uova e di rosei regali, e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario dei propri lievi silenzi.
Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra le bocche non sono che sangue i cuori non sono che neve le mani sono immagini inferme della sera che miti vittime cela nel seno.
Mi desto dal penoso sonno solo nel cuore della notte. Tace intorno la casa come vuota e laggiù brilla silenzioso coi suoi lumi un porto. Ma sì freddi e remoti son quei lumi e sì alto il silenzio nella casa che mi levo sui gomiti in ascolto. Improvviso terrore mi sorprende il fiato e allarga nella notte gli occhi: separata dal resto della casa separata dal resto della terra è la mia vita ed io son solo al mondo.
Poi il ricordo delle trite vie e dei nomi e dei volti consueti emerge come spiaggia da marea e di me sorridendo mi riadagio.
Ma svanita col sonno la paura, un gelo in fondo all'anima rimane: io tra gli uomini vado curioso di lor ma come estraneo; ed alcuno non ho nelle cui mani metter le mani e col quale di me dimenticarmi.