Dalle piaghe germoglia un'essenza antica che pare m'abbia dimenticata Spurga in filamenti rossi e s'ammacca presto lasciando il nero a segnare percorsi _briciole di tumefazione sentieri d'infetto e la mia lingua assapora le orme di chi mi ha calcato le vie interiori ché sono animale c'annusa i passi dei miei corsi calpestati.
Mi sento in_attesa quando la mia ombra scivola sul muro lapidandomi delle pietre che lo costruiscono mostrata al pubblico scherno della mia coscienza estrema nel giudizio derisa dalla popolazione dei miei demoni che incitano il boia alla lesta decapitazione Lì, posto sotto al seno, al rullo dei tamburi del cuore, si compie un rito sacrificale Vene lacerate come corde a stringere i polsi prigionieri ed i nervi, a più giri, intorno alle caviglie Rotolano i mie capelli sulla terra della mia schiena e gl'occhi roteano indietro perdendo l'azzurro e lasciando il bianco di chi ha guardato troppo verso l'alto ed è stato tradito.
Scudi di ferro ai lati delle emozioni spurie nella discordia nel dissenso nell'impuro del gemito primitivo e nel mio parto ventre dentro al ventre concentrici a dispensare nascita presto morta nella mia carne maledetta che arretra d'un passo davanti alla decadenza di questa mia malattia esistenziale.
Lupi svezzati o ancora attaccati al seno? - Seno buono/seno cattivo -
M'appello a quel tempo ch'è inesorabile ma non rivelo la mia età ché dentro alla pancia ho la coda di volpe nella tagliola del narcisismo sprezzante d'un padre-padrone che m'ha instillato dentro l'atrofia dei primi passi e datomi una carrozzina ché l'impavido ha gambe e le mie son monche
Con gl'occhi lucidi mi rifugio nell'andata reverie materna e quanto molto t'ho amata e quanto poco t'ho salvata ch'eri la mia fune ma non vedevo il ramo d'appiglio e ti sei rintanata in cielo così che l'arbusto non venisse mai meno e la testa mi si reclina indietro con le lacrime di ciò ch'è perito nella carne ma la presenza è presente pur nell'assenza dell'omicidio divino ed il suicidio dei ricordi che lasciano la colpa
La paura è oggetto transizionale coperta pesante e logora e quanta pena per chi si pentirà del figlicidio col rimpianto d'aver non vissuto col rimorso d'essermi morta nella malattia che s'ingenera _disincrostata vernice esposta al sole secco che scricchiola le superfici e le rende sfatte, scolorite
Non ti perdonerò, piccolo padre uomo in miniatura carnefice e vittima tu stesso ed io stessa regredita simbolicamente, bambina
Mi vaporizza tra le tempie insieme all'impressione dell'eterno. S_confino i miei limiti e guardo alle iridi cadenti in pezzi di cielo. Tra le nervature delle foglie, il volo di rondine. Ad occhi chiusi e mano sul cuore, così voglio sentirti, con voce tra i rami ed accenni di sole. Snaturarmi in evanescenza per morir la morte, ché sembri ancora qui quando i polmoni s'aprono e si spaccano per contener il mio ed il tuo respiro. Incontro le tue braccia nell'aria quando s'increspa col freddo ed allora, ci vuole il caldo e lì ti ritrovo. Sei nel remoto, ma le narici mi dicono che sei nel presente. Stagioni di chiaroscuri, tra gli umidi ed i freddi, i bui di certe albe che sono peste più delle notti dove la solitudine acceca, ma non illumina. Vivo d'onirico il mio reale per sgravarlo di zavorra e rendo vero il mio sonno, ché stringerti lì è più probabile. Dove sto smarrendomi, giungi senza spaventarmi.
Lo vedi come mi scorri sotto alla pelle? Ti ramifichi come il male e bruci nella mistura di veleno tra la saliva ed il sangue e gli umori di cui mi bagni. Mi parti dai fuochi interni ed emergi sui pori, e le vene schizzano fuori con la pressione esecrante delle tue dita che premono sui miei punti nudi. T'appartengo nel vituperio e nella violenza.
M'inchino di fronte alla statua del tuo desiderio - marmoreo - nella contrazione dei muscoli e dello spasmo su giunture e cartilagini che s'incontrano tra bocche e schianti.
Sei un crampo che mi irrigidisce tra le cosce a delimitarti come confine.
Incurabile. Riconoscimi nel dolore e scopri il sapore delle tue ferite farsi dense di sangue sulle mie cicatrici ché camminiamo sullo stessa lama scambiandoci manico e punta ed incontrandoci nel taglio che dove affonda poi rotea e dove soffre poi urla sbatterci le gole ne gemito Curabile.
In eterna diaspora m'abbandono per dis_perdermi I miei spazi interiori schiavi fuggiaschi si scollano, disconoscendomi e muto in non-luogo estranea al mio nome errante emigrata l'anima dall'alcova dell'Io.