Poesie d'Autore


in Poesie (Poesie d'Autore)

Pioggia

Un'orchestra sinfonica.
Scoppia un temporale,
stanno suonando un'ouverture di Wagner
la gente lascia i posti sotto gli alberi
e si precipita nel padiglione
le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi,
sigarette bagnate che si buttano via,
Wagner continua a suonare, e poi sono tutti
al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi
ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia
Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda,
un uomo seduto sotto la pioggia
in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano
a guardare. L'orchestra bada agli affari
suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia,
in ascolto. Deve avere qualcosa che non va,
no?
È venuto a sentire
la musica.
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    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Partita a scopa

    Una delle cose più terribili è
    davvero
    stare a letto
    una notte dopo l'altra
    con una donna che non hai più voglia
    di scopare.

    Invecchiano, non sono più tanto
    belle – tendono persino
    a russare, buttarsi
    giù.

    Così, a letto, a volte ti giri,
    il tuo piede tocca il suo –
    Dio, che orrore! –
    e la notte è là fuori
    dietro le tendine
    e insieme vi suggella
    nella
    tomba.

    E la mattina vai in bagno,
    parli, attraversi il corridoio,
    dici strane cose; le uova friggono,
    partono i motori.

    Ma seduti l'uno di fronte all'altro
    hai 2 estranei
    che si ficcano in bocca il pane tostato
    che si bruciano col caffè bollente la gola risentita
    e l'intestino.

    In dieci milioni di case americane
    è lo stesso –
    vite stantie appoggiate
    l'una all'altra
    e nessun posto
    dove andare.

    Sali in macchina
    e vai a lavorare
    e là ci sono degli altri sconosciuti, quasi tutti
    mogli e mariti di qualcun altro,
    e oltre alla ghigliottina del lavoro,
    flirtano, scherzano r si danno pizzicotti,
    tendendo qualche volta
    a farsi in qualche posto una rapida scopata –
    a casa non possono farlo –
    e poi
    tornano a casa
    ad aspettare il Natale o il Labor Day
    o la domenica
    o qualcosa.
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      Vivere

      Voglio dire, dormivo soltanto
      mi svegliai con una mosca sul gomito e
      chiamai la mosca Benny
      poi l'uccisi
      e poi m'alzai per guardare
      nella cassetta della posta
      e c'era una specie di avviso
      del governo
      ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli
      con la baionetta
      lo stracciai
      e tornai a letto a guardare il soffitto
      e pensai: questo mi piace proprio,
      voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti
      e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti
      e pensai:
      è assurdo, ho tante cose da fare
      ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra
      mezz'ora
      e mi stirai
      mi stirai
      e guardai il sole tra le foglioline di un albero
      fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi,
      non mi vennero pensieri immortali,
      e quello fu il momento migliore
      e cominciò a far caldo
      e buttai via le coperte e dormii -
      ma un sogno maledetto:
      ero ancora sul treno
      per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino
      all'ippodromo,
      seduto accanto al finestrino,
      davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava
      bizzarrie nel fondo del cervello,
      e poi qualcuno sedette accanto a me
      e parlò di cavalli
      una naftalina di parole che mi sventrarono
      come la morte, e poi ero là
      di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista
      su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso
      e non contava chi vinse
      alla fine e tutti lo sapevano,
      il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso
      della realtà:
      neri pesi di notte tutt'intorno
      alle stesse montagne vergognose
      d'essere là, e ancora il mare, ancora
      il treno come un gallo che passa la cruna
      d'un ago
      e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto
      e non avevo voglia di andare al gabinetto
      perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta
      nel cesso, ingorgandolo di nuovo,
      e quando tornai fuori
      nessuno aveva altro da fare che guardare
      la mia faccia
      e io sono così stanco
      che lo sanno quando mi guardano in faccia
      che li
      odio
      e allora odiano me
      e vorrebbero ammazzarmi
      ma non lo fanno.
      Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno
      vicino al letto
      per dirmi che
      sbagliavo
      dormii ancora
      un po'.
      Questa volta quando mi svegliai
      era quasi
      sera. La gente tornava dal lavoro.
      Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli.
      Non avevano una gran bella cera.
      Anche le ragazzine non erano così attraenti come
      quando erano partite.
      E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori,
      l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi
      di qualunque mascherone mai ideato.

      Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi
      con la scopa.

      Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi
      di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola
      con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.

      Stavo bene.
      Poi feci un bagno e tornai
      a letto.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        I lavoratori

        Ridono continuamente
        anche quando
        un'asse piomba giù
        e rovina una faccia
        o deforma
        un corpo
        loro continuano a ridere,
        quando il colore dell'occhio
        impallidisce da far paura
        per via della poca
        luce
        ridono ancora;
        rugosi e rimbecilliti
        ancora giovani
        ci scherzano sopra:
        un uomo che dimostra sessant'anni
        dirà
        ne ho 32, e
        allora rideranno tutti;
        qualche volta li fanno
        uscire per una boccata d'aria
        ma sono incatenati a ritornare
        da catene, che non
        spezzerebbero
        anche se potessero;
        anche fuori, tra
        gli uomini liberi,
        continuano a ridere,
        girano qua e là
        con un passo zoppicante
        e inane
        quasi non fossero più lì
        con la testa; fuori
        masticano un tozzo di pane,
        tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi,
        guardano l'orologio
        e sono di ritorno;
        qualche volta nei confini
        addirittura si fanno seri
        un momento, parlano di
        Fuori, di come deve essere
        orribile,
        essere
        chiusi Fuori
        per sempre, e non essere mai più
        riammessi;
        fa caldo mentre lavorano
        e sudano
        un po',
        ma lavorano sodo e bene,
        lavorano così sodo
        che i nervi si ribellano
        e lì fanno tremare,
        ma spesso sono
        elogiati da quelli
        che tra loro si sono
        innalzati
        come stelle,
        e ora le stelle
        vigilano
        vigilano anche
        per quei pochi
        che potrebbero tentare
        un ritmo più lento
        o mostrare disinteresse
        o simulare
        una malattia
        per avere un po'
        di riposo (il riposo deve essere
        guadagnato per raccogliere le forze
        destinate ad un lavoro
        più perfetto).

        Qualche volta uno muore
        o impazzisce
        e allora da Fuori
        ne arriva uno nuovo
        per sfruttare la sua
        grande occasione.

        Io ci sono stato
        molti anni;
        in principio trovavo il lavoro
        monotono, stupido
        addirittura
        ma ora vedo
        che tutto ha un senso,
        e i lavoratori
        senza volto
        vedo bene che non sono proprio
        brutti, e che le teste
        senz'occhi –
        ora so che quegli occhi
        ci vedono
        e sono capaci
        di seguire il lavoro.
        Le donne che lavorano
        sono spesso le migliori,
        adattandosi con naturalezza,
        e con alcune
        ho amoreggiato nei momenti
        di riposo; in principio
        non sembravano molto diverse
        dalle scimmie
        ma poi
        grazie al mio spirito di osservazione
        mi son o reso conto
        che erano cose
        reali e vive
        come me.

        L'atra sera
        un vecchio lavoratore
        grigio e cieco,
        non più utile
        è stato mandato in pensione
        là Fuori.

        Discorso! Discorso!
        Abbiamo chiesto

        è stato
        un inferno, ha detto lui
        abbiamo riso
        tutti e 4000:
        aveva conservato il suo
        umorismo
        fino
        alla fine.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La tragedia delle foglie

          Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
          le piante in vaso gialle come grano;
          la mia donna era sparita
          e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
          mi cingevano con la loro inutilità;
          c'era ancora un bel sole, però,
          e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
          e senza pretese; ora quello che ci voleva
          era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
          sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
          perché esiste, solo per questo;
          sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
          l'uomo che un tempo era stato giovane e,
          così dicevano, geniale; ma
          questa è la tragedia delle foglie,
          le felci morte, le piante morte;
          ed entrai in una sala buia
          dove stava la padrona di casa
          insultante e ultimativa,
          mandandomi all'inferno,
          mulinando i braccioni sudati
          e strillando
          strillando che voleva i soldi dell'affitto
          perché il mondo ci aveva tradito
          tutt'e due.
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            La Condanna dell'Amore

            Ogni giorno muoio di invidia.
            Non chiesi di nascere, per questo vivrò come voglio. Ma non posso.
            Il diavolo della solitudine esplode in me, ma il solo eco si manifesta.
            L'essere libero da affetti,
            da traboccanti convenzioni,
            colmo di sfortuna apparente; questo io desidero.
            Non aver nulla fa prender coscienza dello spirito
            e suggella l'esaltarsi al supremo.
            Le catene dell'anima, come pugni che stringono il cuore
            mozzano l'ascesa a se stessi.
            Ogni giorno muoio d'invidia.
            Il voler bene dell'infanzia io maledico,
            il naturale onore al padre e alla madre che mi strazia,
            il concedere la vittoria all'amore che non ho mai desiderato.
            Ogni giorno muoio d'invidia.
            Nascere privi d'amore è libertà, il nascere amati un impedimento.
            La condanna dell'amore sgretola in me il coraggio dell'abbandono,
            il bisogno di non aver niente e lo spirito danzante dal vivere.
            Ogni giorno muoio d'invidia,
            risorgo col pentimento,
            e convivo col tormento.
            Composta mercoledì 3 marzo 2010
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              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Donna

              E Dio mi fece donna,
              con lunghi capelli,
              gli occhi, il naso
              e la bocca da donna
              Con rotondità e peli
              e dolci cavità,
              mi scavò dall'interno
              e fece di me
              lo studio degli esseri umani.
              Lui tesse delicatamente i miei nervi,
              Equilibrò con cura
              il numero dei miei ormoni,
              Compose il mio sangue
              e me l'iniettò
              perché irrigasse
              tutto il mio corpo.
              Così nacquero le idee,
              i sogni e l'istinto.
              Creò il tutto
              con grandi colpi di fiato
              scolpendo con amore
              le mille e una cosa
              che mi fanno donna ogni giorno e
              per le quali con orgoglio
              mi alzo ogni mattina
              e benedico il mio sesso.
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                Scritta da: Giorgio De Luca
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Il borioso

                È pronto a colpire alle spalle
                pur di salvare se stesso.

                Il ripugnante strisciare
                è il solo mezzo per raggiungere,
                senza scrupoli,
                la sommità di una collina!

                Il petto,
                gonfio come un palloncino
                e lasciato scaldare al sole,
                esploderà come una bolla di sapone!

                È stato solo il bluff
                di un volgare venditore di fumo
                ormai prossimo alla gogna!
                Composta lunedì 20 febbraio 1995
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                  Scritta da: mor-joy
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Confessione

                  Aspettando la morte
                  come un gatto
                  che sta per saltare sul letto
                  mi dispiace così tanto per
                  mia moglie
                  lei vedrà questo
                  corpo
                  rigido e
                  bianco
                  lo scuoterà una volta, e poi
                  forse
                  ancora:
                  "Hank!"
                  Hank non
                  risponderà.
                  Non è la mia morte che
                  mi preoccupa, è lasciare
                  mia moglie con questa
                  pila di
                  niente.
                  Però vorrei che
                  lei sapesse
                  che tutte le notti
                  dormite
                  accanto a lei
                  anche le discussioni
                  inutili
                  erano sempre
                  cose splendide
                  e le più difficili
                  delle parole
                  che ho sempre avuto paura
                  a dire
                  ora possono essere
                  dette: "Ti amo".
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