Verrà quel giorno, partoriremo mostri senza emozioni, saranno perfetti, tutti uguali confusi tra i comuni mortali, non avranno aspirazioni, non avranno anima né cuore, non sentiranno il profumo di un fiore, calpesteranno tutto senza guardare. Non avranno paura, cambieranno colore, si confonderanno tra mille, o brilleranno al sole. Mostri, senza pensare, avanzeranno tra cielo e mare comandati da macchine infernali, li chiamano automi, saranno sempre più tra noi, prenderanno il nostro posto, senza darci il tempo per difenderci, proteggiamo la terra, cominciamo a cambiare, quella macchina infernale dovrà essere distrutta, torniamo a fare tutto in maniera naturale, ci terrà lontano dal male che noi stessi abbiamo procurato, non tutto è perduto.
Un amico sincero, riservato davvero, un sorriso, una carezza, mi chiedevi solo dolcezza. Mai una parola fuori posto, sempre oltremodo gentile, nessuno riusciva a capire, il tuo modo di fare. Eravamo soli in quella stanza, la tua bocca si trovò su quella mia, volevi forse provare, solo con me lo potevi fare, d'un tratto mi hai abbracciato e stringendo forte la mia mano... Anna, ti devo confessare, ho un segreto grande che mi preme dentro, io volevo con te, solo con te speravo ma è più forte di me, non ci riesco, non ridere, non lo potrei sopportare. Accorgersi di essere diverso, sforzarsi di sembrar normale e dentro ci stai male, ma tu mi hai sempre amato, forse capirai con te il mio segreto vivrà fino alla morte. Ho stretto la sua mano, l'ho abbracciato. Niente può cambiare quello che provo per te, amico mio, ora sei libero, sei più forte.
Quando mi fermo vicino a te il cuore si calma, il respiro rallenta... Mi basta guardarti per avvertire sollievo Sapere che posso toccarti mi fa sentire viva La tua presenza mi colma di energia mi dà frescura, sicurezza, vitalità Raccogli intorno a te i sorrisi e la voglia di continuare, di procedere... Nessuna città ti ha così ricca, capiente zampillante, scrosciante, diffusa, gratuita, ghiacciata, meravigliosa acqua di Roma!
Cosa sono tutte queste sbarre, fatte di gelosia, di possessione, di ignoranza, a cosa serve tenermi per forza legata, la tua è diventata un'ossessione, quando capirai che ci sto stretta in questa stanza. È inutile, non puoi negarmi di pensare, se è così, con te non voglio più restare, in questa prigione senza l'aria per poter respirare, non ci voglio stare. Io belva, ancora famelica non addomesticata, faccio finta di stare calma e sto a guardare, per non farmi frustare. Quando potrò aprirmi un varco fuggirò, provami a fermare .... Inutilmente mi cercherai, preferisco nascondermi e morire piuttosto che star qui a guaire sperando tu capisca col tempo, che questo non è amore. La belva si può domare, non con la frusta ma col cuore, ogni volta che ti avvicini, rischi di farti sbranare.
La mia casa era circondata da un giardino, dove la nonna piantava fiori, la gente dei palazzi intorno, si affacciava fuori, un po' gelosa, godendo del nostro angolino. Una palma al centro, alta e fiera cresceva, con la sua folta chioma tanta ombra faceva. La nonna sotto aveva messo un tavolino lì raccontavamo favole, era proprio bello il nostro giardino. Su una foglia della palma aveva il nido un timido uccellino e la mattina si sentiva cantare. Un giorno tutta quella gente protestò per la chioma dell'albero che a dismisura cresceva, la palma per dispetto, fecero tagliare. Io disperata la vedevo cadere e tra le sue foglie volevo morire... Raccolsi il nido del povero uccellino, lo posi dentro una gabbia d'oro, ma come potevano vincere loro, più ci pensavo e più mi arrabbiavo. La mia infanzia mi han tolto, un pezzo del mio cuore, con l'albero divelto, con me cresceva e dalla mia finestra, sentivo che cantava l'uccellino. Quei maledetti... Li avrei seppelliti tutti sotto il mio giardino.