La testa ed il cuore, non hanno controllo, tu sei unico desiderio, unico sogno, che manca alle mie mani alle mie carezze, alla mia bocca, alla mia vita. Chi seì M'ami quando vuoi, senza promesse, senza certezze, scaldi la mia pelle e poi vai via, lasciando a metà le mie parole, e l'amore, che non finisco mai di dire, di fare ma tu non vuoi sentire, chi sei? Che prometti e non mantieni, ed io quì ad aspettare i tuoi tempi non concessi. Forse avrò modo per dirtelo, ma quando? E gli anni passeranno, aspettandoti.
Quante notti passate ad aspettarmi, ed io incosciente, rientrando a notte fonda, camminavo piano, per non farmi sentire, mentre facevi finta di dormire. Sempre guardavi l'ora, e ti chiedevi quando e lo chiedevi ancora. Mia cara, dolce, semplicemente amore Quanto dovrò rimpiangerti, quando mi mancherai. Da me sarai lontana, ma sempre nel mio cuore, semplicemente amore, mi raggiungerai con lettere e telefonate, ma non avrò carezze, né baci sul mio viso, mia cara dolce, mi mancherà il sorriso che mi svegliava al mattino non dimenticherò mai, il tuo dolce semplicemente amore.
Per orgoglio, allora mi sembrava giusto, ho imboccato una via tutta in piano, senza pensare, la mia era un'altra canzone, un'altra favola, un'altra emozione. Son rimasta frenata, fin dentro al cuore, ancora, dalla troppa fretta. Ora in me c'è un vulcano pronto a scoppiare. Sto pensando... per inerzia sono andata avanti, mi è sembrato normale, ma dentro mi sentivo morire. Non è quello che desideravo, e non potevo ammetterlo, mi sono seduta, ho pensato... mi riprendo la mia vita, questa volta la voglio in salita, o in caduta libera.
L'amore non è un seme, che al tiepido sole germoglia, e fatto foglia svanisce, in una sola stagione. Non è una farfalla, che nasce in un giorno d'aprile, e a sera va a morire. L'amore, supera tempo e stagioni, supera l'intera vita, le ragioni, le nostre prigioni, e non lo puoi fermare, come fiume deve correre al mare, ricongiungersi con lui, che tanto aspetta e torna e ritorna l'onda in foce, senza fretta, a chiamarlo con una sola voce. Il tempo proverà che questo è vero, è amore e suoneranno dolci melodie, quando verrò da te, non importa dove e quando, ma sarà armonia che dopo sorti avverse, riunirà per la stessa via, le nostre anime perse.
Diventerò terra di conquista, dopo le delusioni, i sogni svaniti, gli schiaffi presi, ancora son ferite in fondo al cuore, non c'è più amore, non avrò remore, ognuno pianterà la sua bandiera, non ne andrò fiera, a tutti prometterò parte del mio suolo, diventerò arlecchino, e metterò i confini, d'ogni colore per ogni conquista fatta, senza cuore.
Un passaggio veloce
Non c'è più memoria, della nostra vita, non abbiamo storia, un passaggio veloce, senza lasciare traccia, solo echi di voce. Malinconie e pentimenti, per quello che non è stato fatto, voglia di sentimenti, non ampiamente goduti, ricordi vaghi di emozioni e di giorni perduti.
L'ultima goccia
Ho asciugato il tuo pianto, consolato l'anima, ho rimesso su un fantasma la veste nuova, fango e dolore ho lavato con lacrime e con stracci di cuore. Un giorno sei andato via, senza spiegazioni, sei tornato, con le delusioni, ed io di nuovo ho raccolto quell'ultima goccia, quell'ultima lacrima, per quanto ancora amore, potrò sopportare tutto quello che mi è stato tolto?
Io non son della solita vacchetta, né sono uno stival da contadino; e se pajo tagliato coll'accetta, chi lavorò non era un ciabattino: mi fece a doppie suola e alla scudiera, e per servir da bosco e da riviera.
Dalla coscia giù giù sino al tallone sempre all'umido sto senza marcire; son buono a caccia e per menar di sprone, e molti ciuchi ve lo posson dire: tacconato di solida impuntura, ho l'orlo in cima, e in mezzo la costura.
Ma l'infilarmi poi non è sì facile, né portar mi potrebbe ogni arfasatto; anzi affatico e stroppio un piede gracile, e alla gamba dei più son disadatto; portarmi molto non poté nessuno, m'hanno sempre portato a un po' per uno.
Io qui non vi farò la litania di quei che fur di me desiderosi; ma così qua e là per bizzarria ne citerò soltanto i più famosi, narrando come fui messo a soqquadro, e poi come passai di ladro in ladro.
Parrà cosa incredibile: una volta, non so come, da me presi il galoppo, e corsi tutto il mondo a briglia sciolta; ma camminar volendo un poco troppo, l'equilibrio perduto, il proprio peso in terra mi portò lungo e disteso.
Allora vi successe un parapiglia; e gente d'ogni risma e d'ogni conio pioveano di lontan le mille miglia, per consiglio d'un Prete o del Demonio: chi mi prese al gambale e chi alla fiocca, gridandosi tra lor: bazza a chi tocca. Volle il Prete, a dispetto della fede, calzarmi coll'ajuto e da sé solo; poi sentì che non fui fatto al suo piede, e allora qua e là mi dette a nolo: ora alle mani del primo occupante mi lascia, e per lo più fa da tirante.
Tacca col Prete a picca e le calcagna volea piantarci un bravazzon tedesco, ma più volte scappare in Alemagna lo vidi sul caval di San Francesco: in seguito tornò; ci s'è spedato, ma tutto fin a qui non m'ha infilato.
Per un secolo e più rimasto vuoto, cinsi la gamba a un semplice mercante; mi riunse costui, mi tenne in moto, e seco mi portò fino in Levante, - ruvido sì, ma non mancava un ette, e di chiodi ferrato e di bullette.
Il mercante arricchì, credè decoro darmi un po' più di garbo e d'apparenza: ebbi lo sprone, ebbi la nappa d'oro, ma un tanto scapitai di consistenza; e gira gira, veggo in conclusione che le prime bullette eran più buone.
In me non si vedea grinza né spacco, quando giù di ponente un birichino ea una galera mi saltò sul tacco, e si provò a ficcare anco il zampino; ma largo largo non vi stette mai, anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.
Fra gli altri dilettanti oltramontani, per infilarmi un certo re di picche ci si messe cò piedi e colle mani; ma poi rimase lì come berlicche, quando un cappon, geloso del pollajo, gli minacciò di fare il campanajo.
Da bottega a compir la mia rovina saltò fuori in quel tempo, o giù di lì, un certo professor di medicina, che per camparmi sulla buccia, ordì una tela di cabale e d'inganni che fu tessuta poi per trecent'anni.
Mi lisciò, mi coprì di bagattelle, e a forza d'ammollienti e d'impostura tanto raspò, che mi strappò la pelle; e chi dopo di lui mi prese in cura, mi concia tuttavia colla ricetta di quella scuola iniqua e maledetta.
Ballottato così di mano in mano, da una fitta d'arpìe preso di mira, ebbi a soffrire un Gallo e un Catalano che si messero a fare a tira tira: alfin fu Don Chisciotte il fortunato, ma gli rimasi rotto e sbertucciato.
Chi m'ha veduto in piede a lui, mi dice che lo Spagnolo mi portò malissimo: m'insafardò di morchia e di vernice, chiarissimo fui detto ed illustrissimo; ma di sottecche adoperò la lima, e mi lasciò più sbrendoli di prima.
A mezza gamba, di color vermiglio, per segno di grandezza e per memoria, m'era rimasto solamente un Giglio: ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria, ai Barbari lo diè, con questo patto di farne una corona a un suo mulatto.
Da quel momento, ognuno in santa pace la lesina menando e la tanaglia, cascai dalla padella nella brace: vicerè, birri, e simile canaglia mi fecero angherie di nuova idea, et diviserunt vestimenta, mea.
Così passato d'una in altra zampa d'animalacci zotici e sversati, venne a mancare in me la vecchia stampa di quei piedi diritti e ben piantati, cò quali, senza andar mai di traverso, il gran giro compiei dell'universo.
Oh povero stivale! Ora confesso che m'ha gabbato questa matta idea: quand'era tempo d'andar da me stesso, colle gambe degli altri andar volea; ed oltre a ciò, la smania inopportuna di mutar piede per mutar fortuna.
Lo sento e lo confesso; e nondimeno mi trovo così tutto in isconquasso, che par che sotto mi manchi il terreno se mi provo ogni tanto a fare un passo; ché a forza di lasciarmi malmenare, ho persa l'abitudine d'andare.
Ma il più gran male me l'han fatto i Preti, razza maligna e senza discrezione; e l'ho con certi grulli di poeti, che in oggi si son dati al bacchettone: non c'è Cristo che tenga, i Decretali vietano ai Preti di portar stivali.
E intanto eccomi qui roso e negletto, sbrancicato da tutti, e tutto mota; e qualche gamba da gran tempo aspetto che mi levi di grinze e che mi scuota; non tedesca, s'intende, né francese, ma una gamba vorrei del mio paese.
Una già n'assaggiai d'un certo Sere, che se non mi faceva il vagabondo, in me potea vantar di possedere il più forte stival del Mappamondo: ah! Una nevata in quelle corse strambe a mezza strada gli gelò le gambe.
Rifatto allora sulle vecchie forme e riportato allo scorticatojo, se fui di peso e di valore enorme, mi resta a mala pena il primo cuojo; e per tapparmi i buchi nuovi e vecchi ci vuol altro che spago e piantastecchi.
La spesa è forte, e lunga è la fatica: bisogna ricucir brano per brano; ripulir le pillacchere; all'antica piantar chiodi e bullette, e poi pian piano ringambalar la polpa ed il tomajo: ma per pietà badate al calzolaio!
E poi vedete un po': qua son turchino, là rosso e bianco, e quassù giallo e nero; insomma a toppe come un arlecchino; se volete rimettermi davvero, fatemi, con prudenza e con amore, tutto d'un pezzo e tutto d'un colore.
Scavizzolate all'ultimo se v'è un uomo purché sia, fuorché poltrone; e se quando a costui mi trovo in piè, si figurasse qualche buon padrone di far con meco il solito mestiere, lo piglieremo a calci nel sedere. (Giuseppe Giusti)
La chiosa di Pierluigi
Seguendo il tuo consiglio l'hanno fatto: han provato per centosettant'anni a cercar di scoprire il piede adatto; con alti e bassi han fatto altri danni; ai Preti ora noi dobbiam sommare chi d'Oltremare ci viene a provare!
E or caro Giuseppe, mio Maestro, hanno la gamba pensato di trovare: hanno creduto che col piede destro di nuovo lui potesse camminare! Il guaio è che nessuno ha mai badato per quale piede l'hanno fabbricato! (Pierluigi Camilli)
Donna, non sei soltanto l'opera di Dio, ma anche degli uomini, che sempre ti fanno bella con i loro cuori. I poeti ti tessono una rete con fili di dorate fantasie; i pittori danno alla tua forma sempre nuova immortatlità. Il mare dona le sue perle; le miniere il loro oro, i giardini d'estate i loro fiori per adornarti, per coprirti, per renderti sempre più preziosa. Il desiderio del cuore degli uomini ha steso la sua gloria sulla tua giovinezza. Per metà sei donna, e per metà sei sogno.
Mosche sui volti scarniti, mani scheletriche scavano insetti e radici. Bevono in acque putride, e noi a guardare.... Muoiono a migliaia, non saranno mai adulti. Non conoscono niente, e per loro è normale e noi a quardare.... Sono nudi sudici e cadono, ma la loro pelle arsa dal sole è dura e non si fanno male e noi a guardare.... Bambini figli del mondo Che non sentono dolore, vittime dell'indifferenza, cartoline sui giornali e noi a guardare... forse sognano come noi, ma non hanno niente da sognare, forse un po' d'amore e qualche mano tesa.
Dov'eri quando il mondo ha spostato i confini, ha creato dei nuovi assassini, ha mandato a morire bambini. Dov'eri quando le urla dei tuoi figli, non sono state sentite, dal vento e dalla pioggia attutite, da bombe e da forni bruciate. Dov'eri quando l'alba segnata da lutti, quanti morti inghiottiti dai flutti, e da mari in tempesta, terribili notti. Dov'eri Dalle nuvole forse vedevi offuscato, qui c'è un mondo malato su disgrazie sai, piove bagnato dov'eri Quando ho cercato il tuo aiuto, quando ho pregato muto, accanto al dolore di un vecchio malato. C'è un vuoto da riempire, c'è l'ingiustizia da capire, c'è l'indifferenza da spazzare, c'è la coerenza da tenere, c'è la pazienza da recuperare, c'è una voglia infinita di te, di pace e amore, Dove sei che ti vengo a cercare?
Infinitamenta donna
C'è un letto disfatto, ancor caldo, accarezzo con mano tremante, non ci sei, ma hai lasciato l'odore, ti stringo al mio seno, il cuscino diventa il mio amante. Come è dolce, poi senza parlare, rimanere a pensare, e m'invento di te, quello che potrei fare, per farti piacere. Ormai il gioco va avanti, e continuo a sognare, le tue mani il tuo viso, su tutta la pelle. È soltanto il tuo umore, ma io vedo le stelle.
È più giusto che ti dica t'amo tra le pagine di un libro dedicato a te. Son fiori colorati, son carezze, son lacrime sparse, son certezze, son baci e turbamenti, tutta la mia vita con i suoi momenti. Sei stato un sogno, l'unico, quello che ti prende il cuore, e mai non ci sarà un altro a cui pensare, nonostante gli schiaffi, le notti di solitudine e quella moltitudine di donne che hai avuto. Dentro mi sei entrato e mi hai trovata pronta, c'era un vuoto incolmabile, ma tra maledetti forse, e amore possibilmente, sono anni ormai che... indissolubilmente...