Amo quell'ora in cui il brillio delle stelle è fioco e respiro infantile a spegnerle è adatto e il mondo si fa chiaro, a poco a poco pur se con ciò, non insavisca affatto.
Io più del mattino amo l'albore, quando, moscerino d'oro confondendo gli alberi, dai raggi trapassati, si alzano sulla punta dei piedi.
Amo quell'ora in cui, durante la sgambata, al vociare di uccelli semidesti, tra i pini, sul cappello di funghi gridellini tremola lungo il bordo la rugiada.
Essere un po' a disagio felice senza gente. Scaltra usanza il celare la propria felicità, ma fate che si soffermino i felici nell'albore, pure se dal mattino avrà inizio ogni calamità.
Sono felice che la vita mia come irreale sia pur tuttavia allegra, coraggiosa realtà, che invidia non mi diede Dio, né animosità, che di fango coperto non sono, né di biasimo.
Sono felice che un giorno sarò antenato di nipoti non più in gabbia. D'essere stato tradito e calunniato sono felice, meglio non è quando di te si tace.
Sono felice dell'amore di donne e di compagni, le loro immagini sono le mie icone. Che sia ragazza russa la mia sposa sono felice, di chiudere i miei occhi è degna, ne avrò pace.
Amare la Russia è felicità plurinfelice. Cucito a lei sono con le mie proprie fibre. Amo la Russia e il suo potere tutto vorrei amare, ma ne ho la naisea, vogliatemi scusare.
Amo questo mio mondo verde-azzurro con le guance imbrattate di sangue. Irrequieto io stesso. Morirò non per odio, ma per amore insostenibile dal cuore.
Non ho saputo vivere in modo irreprensibile, da saggio, ma voi con debito di colpa rammentatevi il ragazzino con albore di libertà negli occhi, luminosa più che vivido raggio.
Essere imperfettissimo io sono, ma, scelta la mia ora preferita - il primo albore, Dio creerà di nuovo innanzi giorno gli alberi dai raggi trapassati, me stesso trapassato dall'amore.
Tra diecimila anni sotto gli alberi passerà una fanciulla snella e bionda con fiori tra i capelli, e sarà ancora primavera.
È un'ora mattinale qui nel bosco della mia giovinezza, dove tutto è fresco di rugiada, ogni sentiero, ogni albero è cespuglio, tutto ciò che non perisce.
Luminoso, il ramo della betulla sfiora la sua fronte pura, ed è ancora lei che un giorno ho amato, tutto ciò che è stato esiste ancora.
Cadrà il bastone dalla nostra mano, il vagare avrà un termine, deserta rimarrà la terra degli uomini, nulla più vi accadrà. Nemmeno un uomo mirerà lontano, nemmeno un giovane veglierà. Nemmeno un pellegrino sul duro giaciglio assaporerà la beatitudine della sua anima.
Se ne saranno andati, quelli che qui vissero. In silenzio si allontanarono da quanto esiste. - Nessuno che si voltò indietro...
Le stelle ancora fiammeggiano nell'eternità. Ancora per tempi infiniti, Lo scintillio della via lattea, la nebulosa, ancora attraversa gli spazi. E tutto è come prima. Soltanto noi non siamo più. I fuochi dei nostri bivacchi si sono spenti.
Tu che esistevi prima dei monti e delle nubi, prima del mare e dei venti. Tu il cui inizio è prima dell'inizio di ogni cosa e la cui gioia e dolore sono più antichi delle stelle. Tu che eternamente giovane vagasti sopra le vie lattee e attraverso le grandi tenebre fra di esse. Tu che eri solo prima della solitudine e il cui cuore era colmo di angoscia molto prima del cuore degli uomini - non mi dimenticare.
Ma come potresti tu ricordarmi. Come potrebbe il mare ricordare la conchiglia nella quale una volta mormorava.
Parlo perché alla casa del linguaggio vola via il tetto, parlo perché le più buie parole guariscono, parlo perché un solo fiore non singhiozzi, parlo per vestire le onde, per dare fiato alla zolla. Parlo perché il giardino è verde anche in una mentre distrutta.
Un palloncino è volato, verso il sole è andato, il bimbo l'ha lasciato piangendo disperato. Perché Signore Iddio devo avere oblio di quel che ora è mio, e alfine dirgli addio? Non voglio rinunciare, qual è il senso d'amare, legarsi e separare da quello che hai nel cuore. Non dovevi creare il dolore, le paure, il vento, il sole non dovevi riempirmi l'anima con parole d'amore. Ho perso il palloncino, ora sono un bambino che piange e si dispera, ma continua a sperare che qualcuno torni a sera.
L'odore del glicine al balcone, ti ricordi nonna, avevamo piantato un sogno insieme. L'albero cresceva, con me e tu invecchiavi. Com'è triste novembre, il glicine perdeva le sue foglie, ti stringevo piano, per non farti male, e tu in quel letto di dolore a malapena mi riconoscevi. Eri tornata come prima, sembravi una bambina che cercava le coccole. Anna, chi sei? Mi chiedevi dov'è la mia famiglia, e mia figlia? Nonna, le rispondevo, è qui ti è sempre accanto, ma non capivi. Quel morbo ti ha portato via dalla vita, ha mandato in tilt la tua mente, una condizione umiliante per te che tanto dolcemente ci hai sempre accuditi. Coi sensi assopiti da tante medicine, meno male che non hai sentito gran dolore, ti sei addormentata piano piano chiamandomi per nome, stringendo la mia mano. Il glicine ad aprile metteva le sue foglie... Cominciò a fiorire.
Guardo in alto per scorgere i contorni, di te, che sei luce, ma ho chiuso gli occhi, ti son venuta incontro e mi è mancata voce, per chiamarti, implorarti ma muta sentirai questa prece che comunque arriverà a Te.
Tra maschere di cartapesta e facce di gomma, cammino, trascinando i miei passi ormai stanchi, solitudine è mia compagnia, è la sola e non va più via, sogno ancora qualcuno che parli la mia stessa lingua. Parole inutili, dette solo per... incomprensibili per non capirci più. La speranza, tra l'indifferenza, e mille soprusi, è andata via, e trascino i miei passi ormai stanchi, ricercando un vero dolore, un forte di cuore, capace di piangere, ma tra maschere di cartapesta e facce di gomma è ormai quello che resta. Solitudine è mia compagnia.