Mi hai detto domani... Ho aspettato, ma quando mi chiami? I miei occhi son persi sul nero strumento che separa il mio amore, un continuo tormento, quando sarà quel giorno che squillerà al cuore? Ci ho creduto, il tempo è passato il mio sguardo è cambiato, ancora ti aspetto mi treman le mani sul nero strumento, avevi detto... domani.
Voglio un'ultima cosa se vuoi andare via, la valigia è là non ti preoccupare, io non ti trattengo ti lascerò andare. Le lacrime asciugherò, non saranno le mie, forse un po' dei ricordi, che presto passeranno, come rugiada che asciuga col calor del sole. Rivoglio quello che ti avevo dato: devi restituirmi il cuore.
Signorina si spogli, si guardi allo specchio c'è qui la bilancia si pesi... si pesi. Il corpetto non tiene più il seno le forme straripano un po', un tempo la vita era ben delineata, come mai non si è più controllata? Ormai i miei amanti disertan l'alcova e senza far caso ai loro commenti... sbagliavo. Ora giudichi lei: preferisce un bel piatto di pasta o una notte di sesso? Questo o quello comunque è un piacere. Su ci pensi un po' su, qualche chilo togliamo, un massaggio qua e là e si torna all'antica beltà. Il mio medico è stato sincero, ma il consiglio non basta, io vorrei ritornar ad esser bella, ma davanti a un buon piatto di pasta.
La mia vita son coriandoli che ho buttato a piene mani, con l'ingenuità di un bimbo che non pensa al suo domani. C'è stato un tempo, che era sempre carnevale, non conoscevo lacrime, finita è la festa e quel che resta son solo coriandoli, ovunque calpestati, pezzi della mia vita ormai perduti, li guardo e sto male ma non riesco a credere che sia finito il carnevale.
C'era una volta un ramo di rosa, cresciuto in fretta dinanzi alla mia casa. Rosa Spina dall'intenso profumo, sopra un albero si era arrampicata. Tutto il suo tronco di spine era trafitto e permetteva succhiasse la sua linfa, perché per amore ormai era sconfitto. Portò quei segni per lunghe stagioni, godendo del suo abbraccio e del profumo dei suoi fiori a primavera. Una mano assassina troncò la vita a Rosa Spina che cadde ai piedi del suo amore. L'albero appassì e perse le sue foglie, ma sul suo tronco son rimaste di spine le ferite.
Dice una foglia al vento. Ho uno strano presentimento, perché mi strappi dal mio albero e mi porti lontano? Dice il vento alla foglia: non è che ho molta voglia di portarti via, chissà dove è il destino. È autunno, non lo sai, tutto si spoglia, e strappo qui e là foglia per foglia, tutto dagli alberi dei boschi e delle valli. Cadrai in terra e polvere sarai, in humus e linfa ti trasformerai, alimento sarai per altri alberi e nuovi arbusti. Ma allora rivivrò, è quel che dici? Sì rinascerai in altre dieci, dieci e dieci, sarà un tripudio di verde a primavera e nuovi fiori. Ma allora niente muore nel suo letto? No! È una trasformazione, è un ciclo ed è perfetto.
Avrai tempo per piangere, quando ti mancherò, mi chiamerai, ma sarò lontana dalle tue carezze, sarai lontano dalla mia tenerezza, non stringerai più la mia mano, che ti dava quella sicurezza. Ogni volta cercavi il mio respiro, ti mancava l'aria, e dolcemente appoggiavi le tue labbra sulle mie, riprendendo vita. Tutta te l'avrei regalata, pur di vederti felice. Ora so che stai male, non hai voluto ascoltare il mio cuore, sento le tue grida soffocate, pronunci il mio nome, ma non puoi parlare, io riesco a sentirti, non ti ho mai scordato, da quando te ne sei andato.
L'indifferenza è dentro i tuoi occhi, cambiano direzione al mio parlare, più non mi tocchi, le mani mi stringi piano, per far capire che non c'è coinvolgimento. Ti sento lontano, eppure un tempo mi chiamavi amore, mi chiedevi come e quando mi stringevi al cuore.
Adesso se sono lontana o torno non ha più importanza, non comunichiamo, quanto fa male questa indifferenza.
È risaputo: tra me e Dio ci sono numerosissimi dissensi. Io andavo mezzo nudo, andavo scalzo, e lui invece portava una tonaca ingemmata. Alla sua vista mi riusciva appena trattenere lo sdegno. Fremevo. Ora invece Dio è quello che deve essere. Dio è diventato molto più alla mano. Guarda da una cornice di legno. La tonaca di tela. Compagno Dio, mettiamoci una pietra sopra! Vedete, perfino l'atteggiamento verso di voi è un po' cambiato. Vi chiamo "compagno", mentre prima "signore". (Anche voi ora avete un compagno), Se non altro, adesso avete un'aria un po' più da cristiano. Bene, venite qualche volta a trovarmi. Degnatevi di scendere dalle vostre lontananze stellate. Da noi l'industria è disorganizzata, i trasporti anche. E voi, dicono, vi occupavate di miracoli. Prego, scendete, lavorate un po' con noi. E per non lasciare gli angeli con le mani in mano, stampate in mezzo alle stelle, che si ficchi bene negli occhi e nelle orecchie: chi non lavora non mangia.
Per i ragazzi c'è un sacco di roba da studiare. S'insegna la grammatica a scemi d'ambo i sessi. A me invece m'hanno scacciato dalla quinta classe. Hanno cominciato a sbattermi nelle prigioni di Mosca. Nel vostro piccolo mondo di appartamenti crescono ricciute liriche per le camere da letto. Che vuoi trovarci in queste liriche da cani pechinesi? A me, per esempio, ad amare l'hanno insegnato nelle carceri di Butyrki. M'importa assai della nostalgia per il bosco di Boulogne, e dei sospiri davanti ai panorami marini! Io, ecco, m'innamorai dallo spioncino della cella 103, di fronte all'"Impresa pompe funebri". Chi vede tutti i giorni il sole dice con sufficienza: "Cosa saranno mai quei quattro raggi"! Ma io per un giallo illuminello sopra un muro avrei dato allora qualunque cosa al mondo.