Poesie d'Autore


in Poesie (Poesie d'Autore)

Per la verità, io non ti amo coi miei occhi

Per la verità, io non ti amo coi miei occhi,
perché essi vedono in te un mucchio di difetti;
ma è il mio cuore che ama quel che loro disprezzano
e, apparenze a parte, ne gode alla follia.
Né i miei orecchi delizia il timbro della tua voce,
né la mia sensibilità è incline a vili toccamenti,
né il mio gusto e l'olfatto bramano l'invito
al banchetto dei sensi con te soltanto.
Ma né i miei cinque spiriti, né i miei cinque sensi
possono dissuadere questo mio sciocco cuore dal tuo servizio,
avendo ormai perso ogni sembianza umana,
ridotto a schiavo e misero vassallo del tuo superbo cuore.
Solo in questo io considero la mia peste un bene:
che chi mi fa peccare, m'infligge pure la penitenza.
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    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Quando saprai che sono morto

    Quando saprai che sono morto
    non pronunciare il mio nome
    perché si fermerebbe
    la morte e il riposo.
    Quando saprai che sono morto di
    sillabe strane.
    Pronuncia fiore, ape,
    lagrima, pane, tempesta.
    Non lasciare che le tue labbra trovino le mie dieci lettere.
    Ho sonno, ho amato, ho
    raggiunto il silenzio.
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      Scritta da: Mirka Naldi
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Ci sono cose che non puoi vedere
      con gli occhi:
      devi vederle con il cuore
      e questo non è facile.
      Se ritrovi lo spirito della giovinezza
      dentro di te,
      con i ricordi di adesso e i sogni di allora,
      potrai farlo rivivere
      e cercare una strada nell'avventura
      che chiamiamo vita,
      verso un destino migliore.
      E il tuo cuore non sarà mai stanco
      né vecchio...
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        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Per tutti gli dei che in cielo governano
il genere umano e la terra, 
cos'è questo fermento? Perché tutte
mi guardate con occhi truci? 
Per i tuoi figli, se a presenziare un tuo parto
Hai mai invocato Lucina, 
per questo vano ornamento di porpora, 
per Giove che questo condanna, 
dimmi, perché mi guardi come una matrigna
o una belva ferita?
        Così con voce tremante pianse il fanciullo,
        quando impietrito fu spogliato,
        un corpo immaturo che avrebbe intenerito
        l'empio cuore dei traci.
        Canidia allora, che fra i capelli arruffati
        ha nodi guizzanti di vipere,
        ordina che su fiamme della Còlchide
        siano arsi cipressi funebri,
        caprifichi divelti dai sepolcri,
        uova di rospo viscido
        sporche di sangue, penne di civetta,
        erbe che vengono da Iolco
        o dall'Iberia, patria di veleni, e ossa
        strappate ai denti di una cagna.
        Sàgana intanto, discinta e con i capelli
        irti come riccio di mare
        o cinghiale in fuga, sparge in tutta la casa
        acqua del lago Averno.
        Veia, che non è distolta da alcun rimorso,
        scava a colpi di zappa
        la terra, gemendo per la fatica:
        qui seppelliranno il fanciullo
        con solo il capo che affiora, come chi nuota
        fuori dell'acqua ha solo il mento,
        perché davanti ai cibi sempre nuovi e freschi
        abbia a morire lentamente:
        col midollo estratto e il fegato inaridito
        si farà così un filtro d'amore,
        quando le sue pupille sbarrate sul cibo
        vietato si saranno spente.
        Era presente anche Folia, la riminese
        (così si crede a Napoli

        fra gli sfaccendati e nelle città vicine),
        che ama le donne come un uomo
        e per magia con l'incanto della sua voce
        strappa dal cielo luna e stelle.
        E Canidia, livida di rabbia, rodendosi
        coi denti l'artiglio del pollice,
        senza ritegno disse:
        'Dell'opera mia
        fedeli testimoni,
        Notte e Luna, regina del silenzio,
        al tempo dei sacri misteri,
        ora, ora assistetemi e l'ira divina
        volgete sulle case ostili.
        Mentre le fiere si nascondono negli orridi,
        abbandonate a un dolce sonno,
        fate che i cani di Suburra latrino
        contro quel vecchio traditore e tutti ridano,
        profumato così com'è di nardo,
        che migliore non saprei fare.
        Ma perché, perché non hanno effetto i veleni
        spietati della barbara Medea?
        Con questi, in fuga, si vendicò della figlia
        del grande Creonte, la superba rivale,
        quando il peplo avvelenato, datole in dono,
        tra le fiamme rapì la sposa in fiore.
        Nessuna radice nascosta in luoghi impervi,
        nessuna erba m'è sfuggita,
        e il letto, in cui dorme, tutte le mie rivali
        dovrebbe per malia fargli scordare.
        Per gli incantesimi d'un'altra maga, ahimè,
        più sapiente, se ne va libero.
        Ma ora, Varo, dovrai piangere a lungo:
        per effetto di un filtro inusitato
        correrai da me e a me tornerà il tuo cuore
        non più attratto da cantilene marsiche.
        Filtro più forte ti preparerò, più forte
        te lo mescerò, visto che mi odi,
        e il cielo sprofonderà nel mare e su questo
        si stenderà la terra,
        se tu per me non arderai d'amore
        come la fiamma nera del bitumè.
        A queste minacce il fanciullo più non tenta
        d'intenerire quelle scellerate,
        ma dopo lo smarrimento rompe il silenzio e
        lancia, come Tieste, la sua maledizione:
        'I filtri non possono mutare il destino
        degli uomini, giusto o ingiusto che sia.
        Vi maledirò; e questa maledizione
        nessun sacrificio potrà espiarla.
        Quando, messo a morte, sarò spirato, innanzi
        vi comparirò nella notte come un demone,
        larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
        perché questo possono i morti,
        e pesando sui vostri cuori inquieti,
        nel terrore vi ruberò il sonno.
        Nei villaggi da ogni parte la folla
        vi lapiderà, streghe maledette,
        e avvoltoi e lupi sull'Esquilino
        dilanieranno le vostre membra insepolte:
        questo dovranno vedere i miei genitori,
        che, ahimè, mi sopravviverannò.
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          Scritta da: Pierluigi Camilli
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Li regazzini de Napoli

          1974
          Cascheno come mosche!
          Nisuno fa' abbastanza pe' finilla!
          Sprecheno fiato pe' parole tosche,
          intanto lo sgomento più ce assilla.
          Li mijardi svolazzeno!
          Pero' so' all'ospedali le riforme
          solo cose vane che starnazzeno,
          p'arimané sortanto cosa informe!
          E morono monelli!
          Co' loro more puro la speranza
          de quarche cosa che ce manca a tutti:
          li nostri sogni belli;
          che quanno te venisse er mal de panza,
          ciai indo' anna', senza morì distrutti.
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            Scritta da: Mirka Naldi
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            I sogni sono fatti di tanta fatica.
            Forse, se cerchiamo di prendere delle scorciatoie,
            perdiamo di vista la ragione
            per cui abbiamo cominciato a sognare
            e alla fine scopriamo
            che il sogno non ci appartiene più.
            Se ascoltiamo la saggezza del cuore
            il tempo infallibile ci farà incontrare il
            nostro destino.
            Ricorda:
            "Quando stai per rinunciare,
            quando senti che la vita è stata
            troppo dura con te,
            ricordati chi sei.
            Ricorda il tuo sogno".
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