Ho visto non visto nascosto nel fresco nel folto del bosco sbruffone malbrusco snasante i germogli gnuffando fungaglie frusciandosi foglie leccando leccando scolandosi il miele ombroso il testone il grugno brontoso muscoso il gobbone l'unghione frugoso frullona pelliccia spellando corteccia pescando il salmone snaffando la trota con zampa corsara leccandosi il muso con lingua golosa fischiando sbadigli per troppo digiuno ho visto non visto il gran orso bruno.
Classica, vive di saggezze infinite. Sorrisi dorati sulla suo volto. Ammutolendo guardi e il minimo sospiro fa paura. Hai timore di infrangere il cristallo che la forma. Ricordo ancora quando mi sorrise. Quel sorriso è la ragione per cui non abbandonerò mai la speranza di ritrovarla, la prossima volta sarà su una spiaggia grigia dove le sue mani amano sfiorare i sassi ben levigati dal mare... Mentre immobile guarda l'orizzonte io, vento, le scompiglierò i capelli e l'anima allora s'accorgerà di me e apprezzerà le mie carezze. Sono uno spirito nel vento. Sono il vento stesso e non morirò mai. E mai mi stancherò di correre e cercarti ovunque. Sarà su questa spiaggia grigia, l'ho detto, ti accarezzerò finche la tua pelle stanca ed infreddolita t'indurrà alla fuga cosi che io ti possa cercare ancora e poi ancora, poi correre per non morire mai. Come le onde che si rincorrono nel mare, infinite.
Ci vuole così poco a farsi voler bene, una parola buona detta quando conviene, un po' di gentilezza che vale una carezza, un semplice sorriso che ti baleni in viso, il cuore sempre aperto per ognuno che viene, ci vuole così poco a farsi voler bene.
Anima, sii come il pino: che tutto l'inverno distende nella bianca aria vuota le sue braccia fiorenti e non cede, non cede, nemmeno se il vento, recandogli da tutti i boschi il suono di tutte le foglie cadute, gli sussurra parole d'abbandono; nemmeno se la neve, gravandolo con tutto il peso del suo freddo candore, immolla le fronde e le trae violentemente verso il nero suolo.
Anima, sii come il pino: e poi arriverà la primavera e tu la sentirai venire da lontano, col gemito di tutti i rami nudi che soffriranno, per rinverdire. Ma nei tuoi rami vivi la divina primavera avrà la voce di tutti i più canori uccelli ed ai tuoi piedi fiorirà di primule e di giacinti azzurri la zolla a cui t'aggrappi nei giorni della pace come nei giorni del pianto.
Anima, sii come la montagna: che quando tutta la valle è un grande lago di viola e i tocchi delle campane vi affiorano come bianche ninfee di suono, lei sola, in alto, si tende ad un muto colloquio col sole. La fascia l'ombra sempre più da presso e pare, intorno alla nivea fronte, una capigliatura greve che la rovesci, che la trattenga dal balzare aerea verso il suo amore.
Ma l'amore del sole appassionatamente la cinge d'uno splendore supremo, appassionatamente bacia con i suoi raggi le nubi che salgono da lei. Salgono libere, lente svincolate dall'ombra, sovrane al di là d'ogni tenebra, come pensieri dell'anima eterna verso l'eterna luce.
Dentro al sole steso sul mobile bianco in cucina, non vuoi star fermo. E muovi il cucchiaio tra gli avanzi del pranzo, una scodella sporca due pezzi di pane raffermo.
Mi chiedi, Lesbia, quanti tuoi baci bastino per saziare la mia voglia di te. Quanti sono i granelli di sabbia africana che è sparsa in cirene ricca di silfio, tra l'oracolo torrido di giove e il sacro sepolcro dell'antico batto; o quante stelle nella notte silente spiano gli amori furtivi degli uomini: questo è il numero di baci che vuole Catullo, pazzo di te. Che i curiosi non possono contarli né una lingua maligna maledirli.