Qualcuno dovrebbe dirci, nel momento in cui la nostra vita comincia, che stiamo morendo. Allora potremmo vivere la vita al suo massimo limite, ogni minuto di ogni giorno. Fatelo! Io dico. Qualunque cosa vogliate fare, fatela ora! Ci sono solo alcuni domani.
O arcadi e romantici fratelli Ne la castroneria che insiem vi lega, Deh finite, per dio, la trista bega, E sturate il forame de' cervelli. Del vostro pianto crescono i ruscelli E i fiumi e i laghi sí che l'alpe annega, E stanco è il Gusto a batter chiavistelli A questa vostra misera bottega. Sentite in confidenza: i lepri e i ghiri Son lepri e ghiri, e non son mai leoni: Né Byron si rimpasta co' deliri, Né Shakespeare si rifà co' farfalloni, Né si fabbrica Schiller co' sospiri, Né Cristi e sagrestie fanno il Manzoni. Dopo tanti sermoni, O baironiani, o cristiani, o ebrei, Ed o voi che credete ne gli dèi, Lasciate i piagnistei; E, se più al mondo non avete spene, Fatevi un po' il servizio d'Origene.
La città - mi dico - dove l'ombra quasi più deliziosa è della luce come sfavilla tutta nuova al mattino... "... asciuga il temporale di stanotte"... ride la mia gioia tornata accanto a me dopo un breve distacco. "Asciuga al sole le sue contraddizioni" - torvo, già sul punto di cedere, ribatto. Ma la forma l'immagine il sembiante -d'angelo avrei detto in altri tempi - risorto accanto a me nella vetrina: "caro - mi dileggia apertamente - caro, con quella faccia di vacanza. E pensi alla città socialista?" Ha vinto. E già mi sciolgo: "Non arriverò a vederla" le rispondo. (Non saremo più insieme dovrei dire). "Ma è giusto, fai bene a non badarmi se dico queste cose, se le dico per odio di qualcuno o rabbia per qualcosa. Ma credi all'altra cosa che si fa strada in me di tanto in tanto che in sé le altre include e le fa splendide, rara come questa mattina di settembre... giusto di te fra me e me parlavo: della gioia." Mi prende sottobraccio. "Non è vero che è rara, - mi correggo - c'è, la si porta come una ferita per le strade abbaglianti. È quest'ora di settembre in me repressa per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo celava sotto i panni e il fianco gli straziava, un'arma che si reca con abuso, fuori dal breve sogno di una vacanza. Potrei con questa uccidere, con la sola gioia..." Ma dove sei, dove ti sei mai persa? "È a questo che penso se qualcuno mi parla di rivoluzione" dico alla vetrina ritornata deserta.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma sono io quel fiume; è un tigre che mi divora, ma sono io quella tigre; è un fuoco che mi consuma, ma sono io quel fuoco. Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges.
La poiana non ha nulla da rimproverarsi. Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera. I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni. Il serpente a sonagli si accetta senza riserve. Uno sciacallo autocritico non esiste. La locusta, l'alligatore, la trichina e il tafano vivono come vivono e ne sono contenti. Non c'è nulla di più animale della coscienza pulita, sul terzo pianeta del sole.
Intrisa di delizioso dolore trovai riparo sotto la volta del tuo immenso cielo. Lupamadre, mi hai confortato mentre succhiavo il nettare della tua speranza io, figlia adottiva, poiché in te accogli ogni profugo di vita colorando le tue strade delle diverse preziosità del mondo. Ogni giorno pagai un desiderio a Trevi, culla azzurra dei sogni di tutte le genti ed unica testimone della sopravvissuta fantasia dell'umanità. Bernini ti scolpì trasformando il marmo in morbide figure che celebrano te in ogni piazza, fonte e chiesa. Il mondo ti porta venerato rispetto per il ricordo dell'ineguagliato impero che sei stata e per il culto di cui sei dimora oggi, vetrina di una religione che non sempre comprendo e di un Dio che non ho ancora perdonato. Guardavo spesso il Tevere baciare le tue rive quando placido accoglieva segrete chiavi di cuori innamorati e speranzosi. Nella storia tra le mie storie trovai le case aperte di chi nacque "ner core" di te mentre sfuggivo al passato che con artigli si arpionava al presente. Ho avuto di che dissetarmi all'ombra dell'antico sorriso maiestatico del Colosseo, ho passeggiato attraverso i sentieri di ghiaia di illustri imperatori, assaporando i tuoi miti, nutrendomi delle storie dei tuoi vicoli. Volutamente mi sono più volte smarrita tra i turisti per ripercorrere le strade di romanzi che hai spinto a scrivere, con la speranza di ritrovare la luce che dentro di me si era consumata. Tornavo a respirare ogni volta che giungevo a Termini, il pensiero di te poi riempiva i silenzi quando tornavo a lasciarti. Sei stata la mia Atlantide riemersa, mio destino aperto quando ero figlia orfana e sposa dimenticata. Sei stata terra senza nebbia che ogni sera mi udiva piangere; testimone del mio disgelo, hai sentito sciogliersi il primo fiocco del cuore, ed hai colmato l'esterno della mia solitudine smussandone i contorni. Poi un giorno il dolore ha fatto le valigie ed è partito. L'armonia ha preso il suo posto ed io sono stata pronta a lasciare te per ricominciare ad essere ancora degna di me. Oggi ti vivo lontana, ma resti sempre capitale del mio cuore sparpagliato che sente una propria metà dipinta dei colori giallorossi.
Quando ci penso, che il tempo è passato, le vecchie madri che ci hanno portato, poi le ragazze, che furono amore, e poi le mogli e le figlie e le nuore, femmina penso, se penso una gioia: pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto, la partigiana che qui ha combattuto, quella colpita, ferita una volta, e quella morta, che abbiamo sepolta, femmina penso, se penso la pace: pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna, che arriva il giorno che il giorno raggiorna, penso che è culla una pancia di donna, e casa è pancia che tiene una gonna, e pancia è cassa, che viene al finire, che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra carne di terra che non vuole guerra: è questa terra, che io fui seminato, vita ho vissuto che dentro ho piantato, qui cerco il caldo che il cuore ci sente, la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano la mia compagna, ti prendo per mano.
Accade che le affinità d'anima non giungano ai gesti e alle parole ma rimangano effuse come un magnetismo. É raro ma accade. Può darsi che sia vera soltanto la lontananza, vero l'oblio, vera la foglia secca più del fresco germoglio. Tanto e altro può darsi o dirsi. Comprendo la tua caparbia volontà di essere sempre assente perché solo così si manifesta la tua magia. Innumeri le astuzie che intendo. Insisto nel ricercarti nel fuscello e mai nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre nel vuoto: in quello che anche al trapano resiste. Era o non era la volontà dei numi che presidiano il tuo lontano focolare, strani multiformi multanimi animali domestici; fors'era così come mi pareva o non era. Ignoro se la mia inesistenza appaga il tuo destino, se la tua colma il mio che ne trabocca, se l'innocenza é una colpa oppure si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me, di te tutto conosco, tutto ignoro.
L'olmo e la verde sposa Vedi in florido amplesso accolti e stretti: Vedi a l'ilice annosa Attorcersi i corimbi giovinetti. Deh! Se del roseo braccio Cosí, bianca Neera, m'avvincessi, E tra'l soave laccio Il capo stanco io nel tuo sen ponessi, Un lungo amore insieme Giugnendo l'alme ognor, dolcezza mia, Non altra gioia o speme, Non altro a desiar lo spirto avria. Non me non me dal fiore Del caro labbro, fin di tutte brame, Svegliar potria sopore, Non cura di lieo, non dura fame. Allor noi senza duolo Il fato colga; innamorati spirti Noi tragga un legno solo, Pallido Dite, à suoi secreti mirti. Di ciel che mai non verna La ferma ivi berremmo aura sincera, Sotto i piè nostri eterna Rinascendo cò fior la primavera. In tra i nobili eroi Ivi à ben nati amor vivono ognora L'eroine onde a noi Mormora un suon d'esigua fama ancora, E menan danze, e alterni Canti giungono al suon d'alterna lira; E sù germogli eterni Zefiro senza mutamento spira. Scherza con l'ôra incerta Di lauri un bosco; de le aulenti frondi Sotto l'ombra conserta Ridon le rose ed i giacinti biondi. A l'ombre pie d'intorno, Non da rigidi imperi esercitato, Sotto il purpureo giorno Germina splende e olezza il suol beato. Solinga ombra amorosa Ivi oblia Saffo la leucadia pietra, E pur languida posa La tenue fronte su la dotta cetra. Siede Tibullo a l'ombra Ove docil dà colli un rio declina; E di dolcezza ingombra I sacri elisii l'armonia latina. E noi, Neera, il canto Dè morti udrem; noi sederem trà fiori De l'asfodelo. Intanto Mesciamo i dolci e fuggitivi amori.