Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca, l'uno e l' altro volea combatter prima; pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca, o pur che non ne fe' Ruggier più stima. Quel Serican si pone il corno a bocca: rimbomba il sasso e la fortezza in cima. Ecco apparire il cavalliero armato fuor de la porta, e sul cavallo alato.
Di sì forbito acciar luce ogni torre, che non vi può né ruggine né macchia. Tutto il paese giorno e notte scorre, E poi là dentro il rio ladron s'immacchia. Cosa non ha ripar che voglia torre: sol dietro invan se li bestemia e gracchia. Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene, che di mai ricovrar lascio ogni spene.
Da lungi par che come fiamma lustri, né sia di terra cotta, né di marmi. Come più m'avicino ai muri illustri, l'opra più bella e più mirabil parmi. E seppi poi, come i demoni industri, da suffumigi tratti e sacri carmi, tutto d'acciaio avean cinto il bel loco, temprato all'onda ed allo stigio foco.
Sei giorni me n'andai matina e sera per balze e per pendici orride e strane, dove non via, dove sentier non era, dove né segno di vestigie umane; poi giunsi in una valle inculta e fiera, di ripe cinta e spaventose tane, che nel mezzo s'un sasso avea un castello forte e ben posto, a maraviglia bello.
Ma, come quel che men curato avrei vedermi trar di mezzo il petto il core, lasciai lor via seguir quegli altri miei, senza mia guida e senza alcun rettore: per li scoscesi poggi e manco rei presi la via che mi mostrava Amore, e dove mi parea che quel rapace portassi il mio conforto e la mia pace.
Così il rapace nibio furar suole il misero pulcin presso alla chioccia, che di sua inavvertenza poi si duole, e invan gli grida, e invan dietro gli croccia. Io non posso seguir un uom che vole, chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia: stanco ho il destrier, che muta a pena i passi ne l'aspre vie de' faticosi sassi.
Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia una de l'infernali anime orrende, vede la bella e cara donna mia; come falcon che per ferir discende, cala e poggia in un atimo, e tra via getta le mani, e lei smarrita prende. Ancor non m'era accorto de l'assalto, che de la donna io senti' il grido in alto.
Ti reco questo figlio d'una notte idumea! Nera, spiumata, pallido sangue all'ala febea, Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora, Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora, L'aurora si gettò sulla lampada angelica. Palme! E quando mostrò essa quella reliquia Al padre che nemico un sorriso tentò, L'azzurra solitudine inutile tremò. O tu che culli, con la bimba e l'innocenza Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda Nascita: ed evocando clavicembalo e viola, Premerai tu col vizzo dito il seno che cola La donna in sibillina bianchezza per la bocca Dall'azzurro affamata, dall'alta aria non tocca?
Del sempiterno azzurro la serena ironia Perséguita, indolente e bella come i fiori, Il poeta impotente di genio e di follia Attraverso un deserto sterile di Dolori.
Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta Intensamente, come un rimorso atterrante, L'anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?
Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli Versate, ad annegare questi autunni fangosi, Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!
E tu, esci dai morti stagni letei e porta Con te la verde melma e i pallidi canneti, Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.
Ed ancora! Che senza sosta i tristi camini Fùmino, e di caligine una prigione errante Estingua nell'orrore dei suoi neri confini Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte!
-Il cielo è morto. - A te, materia, accorro! Dammi L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato: Questo martire viene a divider lo strame Dove il gregge degli uomini felice è coricato.
Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto Come il vaso d'unguento gettato lungo il muro, Più non sa agghindare il pensiero stentato, Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro…
Invano! Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria Delle campane. Anima, ecco, voce diventa Per più farci paura con malvagia vittoria, Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!
Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa La tua agonia nativa, come un gladio sicuro: Dove andare, in rivolta inutile e perversa? Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!