Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

L'Azzurro

Del sempiterno azzurro la serena ironia
Perséguita, indolente e bella come i fiori,
Il poeta impotente di genio e di follia
Attraverso un deserto sterile di Dolori.

Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta
Intensamente, come un rimorso atterrante,
L'anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa
Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?

Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli
Versate, ad annegare questi autunni fangosi,
Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli
Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!

E tu, esci dai morti stagni letei e porta
Con te la verde melma e i pallidi canneti,
Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta
I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.

Ed ancora! Che senza sosta i tristi camini
Fùmino, e di caligine una prigione errante
Estingua nell'orrore dei suoi neri confini
Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte!

-Il cielo è morto. - A te, materia, accorro! Dammi
L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato:
Questo martire viene a divider lo strame
Dove il gregge degli uomini felice è coricato.

Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto
Come il vaso d'unguento gettato lungo il muro,
Più non sa agghindare il pensiero stentato,
Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro…

Invano! Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria
Delle campane. Anima, ecco, voce diventa
Per più farci paura con malvagia vittoria,
Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!

Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa
La tua agonia nativa, come un gladio sicuro:
Dove andare, in rivolta inutile e perversa?
Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Rinascita

    L'esangue primavera già tristemente esilia
    L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena,
    E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena,
    L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia.
    Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente
    Che come vecchia tomba serra un cerchio di ferro,
    Ed inseguendo un sogno vago e bello, io erro
    Pei campi ove la linfa esulta immensamente.
    Poi procombo snervato di silvestri sentori,
    E scavando al mio sogno una fossa col viso,
    Mordendo il suolo caldo dove, sbocciano i fiori,
    Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso
    Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli
    Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole!
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Sarah Brown

      Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino.
      L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,
      le stelle scintillano, la civetta chiama,
      ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia
      nel nirvana beato della luce eterna!
      Và dal cuore buono che è mio marito,
      che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: -
      digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
      Non ci sono matrimoni in cielo,
      ma c'è l'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Lamento per il sud

        La luna rossa, il vento, il tuo colore
        di donna del Nord, la distesa di neve...
        Il mio cuore è ormai su queste praterie,
        in queste acque annuvolate dalle nebbie.
        Ho dimenticato il mare, la grave
        conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
        le cantilene dei carri lungo le strade
        dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
        ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
        nell'aria dei verdi altipiani
        per le terre e i fiumi della Lombardia.
        Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
        Più nessuno mi porterà nel Sud.
        Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
        in riva alle paludi di malaria,
        è stanco di solitudine, stanco di catene,
        è stanco nella sua bocca
        delle bestemmie di tutte le razze
        che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
        che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
        Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
        costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
        mangiano fiori d'acacia lungo le piste
        nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
        Più nessuno mi porterà nel Sud.
        E questa sera carica d'inverno
        è ancora nostra, e qui ripeto a te
        il mio assurdo contrappunto
        di dolcezze e di furori,
        un lamento d'amore senza amore.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Quasi un madrigale

          Il girasole piega a occidente
          e già precipita il giorno nel suo
          occhio in rovina e l'aria dell'estate
          s'addensa e già curva le foglie e il fumo
          dei cantieri. S'allontana con scorrere
          secco di nubi e stridere di fulmini
          quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
          e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
          degli alberi stretti dentro la cerchia
          dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
          e sempre quel sole che se ne va
          con il filo del suo raggio affettuoso.

          Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
          la memoria risale dalla morte,
          la vita è senza fine. Ogni giorno
          è nostro. Uno si fermerà per sempre,
          e tu con me, quando ci sembri tardi.
          Qui sull'argine del canale, i piedi
          in altalena, come di fanciulli,
          guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
          il suo colore verde che s'oscura.
          E l'uomo che in silenzio s'avvicina
          non nasconde un coltello fra le mani,
          ma un fiore di geranio.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Colore di pioggia e di ferro

            Dicevi: morte, silenzio, solitudine;
            come amore, vita. Parole
            delle nostre provvisorie immagini.
            E il vento s'è levato leggero ogni mattina
            e il tempo colore di pioggia e di ferro
            è passato sulle pietre,
            sul nostro chiuso ronzio di maledetti.
            Ancora la verità è lontana.
            E dimmi, uomo spaccato sulla croce,
            e tu dalle mani grosse di sangue,
            come risponderò a quelli che domandano?
            Ora, ora: prima che altro silenzio
            entri negli occhi, prima che altro vento
            salga e altra ruggine fiorisca.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Il mio paese è l'Italia

              Più i giorni s'allontanano dispersi
              e più ritornano nel cuore dei poeti.
              Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
              con le colline di cadaveri che bruciano
              in nuvole di nafta, là i reticolati
              per la quarantena d'Israele,
              il sangue tra i rifiuti, l'esantema torrido,
              le catene di poveri già morti da gran tempo
              e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
              là Buchenwald, la mite selva di faggi,
              i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
              e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
              I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
              dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
              Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
              Il mio paese è l'Italia, o nemico più straniero,
              e io canto il suo popolo, e anche il pianto
              coperto dal rumore del suo mare,
              il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Alle fronde dei salici

                E come potevamo noi cantare
                con il piede straniero sopra il cuore,
                fra i morti abbandonati nelle piazze
                sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
                d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
                della madre che andava incontro al figlio
                crocifisso sul palo del telegrafo?
                Alle fronde dei salici, per voto,
                anche le nostre cetre erano appese,
                oscillavano lievi al triste vento.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Auschwitz

                  Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
                  amore, lungo la pianura nordica,
                  in un campo di morte: fredda, funebre,
                  la pioggia sulla ruggine dei pali
                  e i grovigli di ferro dei recinti:
                  e non albero o uccelli nell'aria grigia
                  o su dal nostro pensiero, ma inerzia
                  e dolore che la memoria lascia
                  al suo silenzio senza ironia o ira.
                  Da quell'inferno aperto da una scritta
                  bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
                  uscì continuo il fumo
                  di migliaia di donne spinte fuori
                  all'alba dai canili contro il muro
                  del tiro a segno o soffocate urlando
                  misericordia all'acqua con la bocca
                  di scheletro sotto le doccie a gas.
                  Le troverai tu, soldato, nella tua
                  storia in forme di fiumi, d'animali,
                  o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
                  medaglia di silenzio?
                  Restano lunghe trecce chiuse in urne
                  di vetro ancora strette da amuleti
                  e ombre infinite di piccole scarpe
                  e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
                  d'un tempo di saggezza, di sapienza
                  dell'uomo che si fa misura d'armi,
                  sono i miti, le nostre metamorfosi.

                  Sulle distese dove amore e pianto
                  marcirono e pietà, sotto la pioggia,
                  laggiù, batteva un no dentro di noi,
                  un no alla morte, morta ad Auschwitz,
                  per non ripetere, da quella buca
                  di cenere, la morte.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Al padre

                    Dove sull'acque viola
                    era Messina, tra fili spezzati
                    e macerie tu vai lungo binari
                    e scambi col tuo berretto di gallo
                    isolano. Il terremoto ribolle
                    da due giorni, è dicembre d'uragani
                    e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
                    nei carri merci e noi bestiame infantile
                    contiamo sogni polverosi con i morti
                    sfondati dai ferri, mordendo mandorle
                    e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
                    del dolore mise verità e lame
                    nei giochi dei bassopiani di malaria
                    gialla e terzana gonfia di fango.

                    La tua pazienza
                    triste, delicata, ci rubò la paura,
                    fu lezione di giorni uniti alla morte
                    tradita, al vilipendio dei ladroni
                    presi fra i rottami e giustiziati al buio
                    dalla fucileria degli sbarchi, un conto
                    di numeri bassi che tornava esatto
                    concentrico, un bilancio di vita futura.

                    Il tuo berretto di sole andava su e giù
                    nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
                    Anche a me misurarono ogni cosa,
                    e ho portato il tuo nome
                    un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
                    Quel rosso del tuo capo era una mitria,
                    una corona con le ali d'aquila.
                    E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
                    ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
                    di partenza colorati dalla lanterna
                    notturna, e qui da una ruota
                    imperfetta del mondo,
                    su una piena di muri serrati,
                    lontano dai gelsomini d'Arabia
                    dove ancora tu sei, per dirti
                    ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
                    di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
                    cicale del biviere, agavi lentischi,
                    come il campiere dice al suo padrone:
                    "Baciamu li mani". Questo, non altro.
                    Oscuramente forte è la vita.
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