Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Lo viso mi fa andare alegramente

Lo viso mi fa andare alegramente,
lo bello viso mi fa rinegare;
lo viso me conforta ispesament[e],
l'adorno viso che mi fa penare.
Lo chiaro viso de la più avenente,
l'adorno viso, riso me fa fare:
di quello viso parlane la gente,
che nullo viso [ a viso ] li po' stare.
Chi vide mai così begli ochi in viso,
né sì amorosi fare li sembianti,
né boca con cotanto dolce riso?
Quand'eo li parlo moroli davanti,
e paremi ch'ì vada in paradiso,
e tegnomi sovrano d'ogn'amante.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Amor è uno desio che ven da core

    Amor è un[o] desio che ven da core
    per abondanza di gran piacimento;
    e li occhi in prima genera[n] l'amore
    e lo core li dà nutricamento.
    Ben è alcuna fiata om amatore
    senza vedere so 'namoramento,
    ma quell'amor che stringe con furore
    da la vista de li occhi à nas[ci]mento.
    Che li occhi rapresenta[n] a lo core
    d'onni cosa che veden bono e rio,
    com'è formata natural[e]mente;
    e lo cor, che di zo è concepitore,
    imagina, e piace quel desio:
    e questo amore regna fra la gente.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Diamante, né smiraldo, né zafino

      Diamante, né smiraldo, né zafino,
      né vernul'altra gema preziosa,
      topazo, né giaquinto, né rubino,
      né l'aritropia, ch'è sì vertudiosa,
      né l'amatisto, né 'l carbonchio fino,
      lo qual è molto risprendente cosa,
      non àno tante belezze in domino
      quant'à in sé la mia donna amorosa.
      E di vertute tutte l'autre avanza,
      e somigliante [ a stella è ] di sprendore,
      co la sua conta e gaia inamoranza,
      e più bell'e[ste] che rosa e che frore.
      Cristo le doni vita ed alegranza,
      e sì l'acresca in gran pregio ed onore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La stella

        Perdettero la stella un giorno.
        Come si a perdere
        La stella? Per averla troppo a lungo fissata…
        I due re bianchi,
        ch'eran due sapienti di Caldea,
        tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.

        Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
        Ma la stella era svanita come svanisce un'idea,
        e quegli uomini, la cui anima
        aveva sete d'essere guidata,
        piansero innalzando le tende di cotone.

        Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
        si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra.
        Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":

        E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa,
        nello specchio di cielo
        in cui bevevano i cammelli
        egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Un male senza fine donò Zeus a Titono

          Un male senza fine donò Zeus a Titono,
          la vecchiaia, più agghiacciante anche della morte penosa.
          ...
          Ma come un sogno breve è la giovinezza
          preziosa: presto, incombe sul capo
          la tormentosa e deforme vecchiaia,
          nemica, spregevole, che non fa più riconoscere l'uomo:
          danneggia gli occhi e la mente avviluppandoli.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Dimmi donna

            Dimmi donna dove nascondi il tuo mistero
            donna acqua pesante volume trasparente
            più segreta quanto più ti spogli
            quale è la forza del tuo splendore inerme
            la tua abbagliante armatura di bellezza
            dimmi non posso più con tante armi
            donna seduta sdraiata abbandonata
            insegnami il riposo il sonno e l'oblio
            insegnami la lentezza del tempo
            donna tu che convivi con la tua carne ignominiosa
            come accanto ad un animale buono e calmo
            donna nuda di fronte all'uomo armato
            togli dalla mia testa questo casco d'ira
            calmami guariscimi stendimi sulla fresca terra
            toglimi questi vestiti di febbre che mi asfissiano
            sommergimi indeboliscimi avvelena il mio pigro sangue
            donna roccia della tribù sbandata
            discingimi queste maglie e cinture di rigidezza e paura
            con cui mi atterrisco e ti atterrisco e ci separo
            donna oscura e umida pantano edenico
            voglio la tua larga fragrante robusta sapienza,
            voglio tornare alla terra e ai suoi succhi nutritivi
            che corrono sul tuo ventre e i tuoi seni e irrigano la tua carne
            voglio recuperare il peso e la completezza
            voglio che tu m'inumidisca, m'ammolli, m'effemini
            per capire la femminilità, la morbidezza umida del mondo
            voglio appoggiata la fronte nel tuo grembo materno
            tradire il ferreo esercito degli uomini
            donna complice unica terribile sorella
            dammi la mano torniamo ad inventare il mondo noi due soli

            voglio non distaccare mai gli occhi da te
            donna statua fatta di frutta colomba cresciuta
            lasciami sempre vedere la tua misteriosa presenza
            il tuo sguardo di ala e seta e lago nero
            il tuo corpo tenebroso e raggiante plasmato di slancio senza incertezze
            il tuo corpo infinitamente più tuo che per me quello mio
            e che dai di slancio senza incertezze senza tenerti niente
            il tuo corpo pieno e uno illuminato tutto di generosità
            donna mendicante prodiga porto del pazzo Ulisse
            non permettere che io dimentichi mai la tua voce di uccello memorioso
            la parola calamitata che nel tuo intimo pronunci sempre nuda
            la parola sempre giusta di folgorante ignoranza
            la selvaggia purezza del tuo amore insensato
            delirante senza freno abbrutito inviziato
            il gemito nettissimo della tenerezza
            lo sguardo pensieroso della prostituzione
            la cruda chiara verità
            dell'amore che assorbe e divora e si alimenta
            l'invisibile zampata della divinazione
            l'accettazione la comprensione la sapienza senza strade
            la spugnosa maternità terreno di radici
            donna casa del doloroso vagabondo
            dammi da mordere la frutta della vita
            la stabile frutta di luce del tuo corpo abitato
            lasciami reclinare la mia fronte funesta
            sul tuo grave grembo di paradiso boscoso
            spogliami acquietami guariscimi di questa colpa acre
            di non essere sempre armato ma soltanto io stesso.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Scelte

              Scegliere una porta significa non aprirne altre.
              Un piacere presuppone che molti piaceri non verranno
              vissuti, così come ogni tristezza dispensa da tante tristezze.
              L'amante che porti a letto è uno tra tutti quelli possibili.
              La parola per cui opti impedisce l'uso di un numero
              indefinito di parole.
              Visiti un luogo perché altri luoghi restino ad aspettarti.
              Solo il giorno che sorge per la tua morte è un giorno
              qualsiasi, una casualità.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Per un bimbo

                Nevicò su la casa di tua madre,
                Ed essa ancora non sapeva nulla
                Di te, nulla, nemmeno con quali occhi
                la guarderesti.

                Sovente lungo il giorno ella moveva
                Timorosa così come se un male
                Da te la minacciasse, eppur tendeva
                La sua debole mano sul tuo sangue,
                Per tua difesa.

                Come il torbo mattino adduce il sole,
                Ella trasse dal buio la tua sorte.
                Ancora tu non eri su la terra,
                E dovunque già eri.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!

                  Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
                  E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
                  La sera cullava già la terra,
                  e sui monti si posava la notte;
                  se ne stava vestita di nebbia la quercia,
                  gigantesca guardiana, là
                  dove la tenebre dai cespugli
                  con cento occhi neri guardava.

                  Da un cumulo di nubi la luna
                  sbucava assonnata tra le nebbie;
                  i venti agitavano le ali sommesse,
                  sibilavano orridi al mio orecchio;
                  la notte generava migliaia di mostri,
                  ma io mille volte più coraggio avevo;
                  il mio spirito era un fuoco ardente,
                  il mio cuore intero una brace.

                  Ti vidi, e una mite gioia
                  passò dal tuo dolce sguardo su di me;
                  fu tutto per te il mio cuore,
                  fu tuo ogni mio respiro.
                  Una rosea primavera
                  colorava l'adorabile volto,
                  e tenerezza per me, o numi,
                  m'attendevo, ma meriti non avevo.

                  L'addio, invece, mesto e penoso.
                  Dai tuoi occhi parlava il cuore;
                  nei tuoi baci quanto amore,
                  oh che delizia, e che dolore!
                  Partisti, e io restai, guardando a terra,
                  guardando te che andavi, con umido sguardo;
                  eppure, che gioia essere amati,
                  e amare, o numi, che gioia!
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