Lo viso mi fa andare alegramente, lo bello viso mi fa rinegare; lo viso me conforta ispesament[e], l'adorno viso che mi fa penare. Lo chiaro viso de la più avenente, l'adorno viso, riso me fa fare: di quello viso parlane la gente, che nullo viso [ a viso ] li po' stare. Chi vide mai così begli ochi in viso, né sì amorosi fare li sembianti, né boca con cotanto dolce riso? Quand'eo li parlo moroli davanti, e paremi ch'ì vada in paradiso, e tegnomi sovrano d'ogn'amante.
Amor è un[o] desio che ven da core per abondanza di gran piacimento; e li occhi in prima genera[n] l'amore e lo core li dà nutricamento. Ben è alcuna fiata om amatore senza vedere so 'namoramento, ma quell'amor che stringe con furore da la vista de li occhi à nas[ci]mento. Che li occhi rapresenta[n] a lo core d'onni cosa che veden bono e rio, com'è formata natural[e]mente; e lo cor, che di zo è concepitore, imagina, e piace quel desio: e questo amore regna fra la gente.
Diamante, né smiraldo, né zafino, né vernul'altra gema preziosa, topazo, né giaquinto, né rubino, né l'aritropia, ch'è sì vertudiosa, né l'amatisto, né 'l carbonchio fino, lo qual è molto risprendente cosa, non àno tante belezze in domino quant'à in sé la mia donna amorosa. E di vertute tutte l'autre avanza, e somigliante [ a stella è ] di sprendore, co la sua conta e gaia inamoranza, e più bell'e[ste] che rosa e che frore. Cristo le doni vita ed alegranza, e sì l'acresca in gran pregio ed onore.
Perdettero la stella un giorno. Come si a perdere La stella? Per averla troppo a lungo fissata… I due re bianchi, ch'eran due sapienti di Caldea, tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.
Si misero a calcolare, si grattarono il mento… Ma la stella era svanita come svanisce un'idea, e quegli uomini, la cui anima aveva sete d'essere guidata, piansero innalzando le tende di cotone.
Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra. Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":
E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa, nello specchio di cielo in cui bevevano i cammelli egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
Un male senza fine donò Zeus a Titono, la vecchiaia, più agghiacciante anche della morte penosa. ... Ma come un sogno breve è la giovinezza preziosa: presto, incombe sul capo la tormentosa e deforme vecchiaia, nemica, spregevole, che non fa più riconoscere l'uomo: danneggia gli occhi e la mente avviluppandoli.
Dimmi donna dove nascondi il tuo mistero donna acqua pesante volume trasparente più segreta quanto più ti spogli quale è la forza del tuo splendore inerme la tua abbagliante armatura di bellezza dimmi non posso più con tante armi donna seduta sdraiata abbandonata insegnami il riposo il sonno e l'oblio insegnami la lentezza del tempo donna tu che convivi con la tua carne ignominiosa come accanto ad un animale buono e calmo donna nuda di fronte all'uomo armato togli dalla mia testa questo casco d'ira calmami guariscimi stendimi sulla fresca terra toglimi questi vestiti di febbre che mi asfissiano sommergimi indeboliscimi avvelena il mio pigro sangue donna roccia della tribù sbandata discingimi queste maglie e cinture di rigidezza e paura con cui mi atterrisco e ti atterrisco e ci separo donna oscura e umida pantano edenico voglio la tua larga fragrante robusta sapienza, voglio tornare alla terra e ai suoi succhi nutritivi che corrono sul tuo ventre e i tuoi seni e irrigano la tua carne voglio recuperare il peso e la completezza voglio che tu m'inumidisca, m'ammolli, m'effemini per capire la femminilità, la morbidezza umida del mondo voglio appoggiata la fronte nel tuo grembo materno tradire il ferreo esercito degli uomini donna complice unica terribile sorella dammi la mano torniamo ad inventare il mondo noi due soli
voglio non distaccare mai gli occhi da te donna statua fatta di frutta colomba cresciuta lasciami sempre vedere la tua misteriosa presenza il tuo sguardo di ala e seta e lago nero il tuo corpo tenebroso e raggiante plasmato di slancio senza incertezze il tuo corpo infinitamente più tuo che per me quello mio e che dai di slancio senza incertezze senza tenerti niente il tuo corpo pieno e uno illuminato tutto di generosità donna mendicante prodiga porto del pazzo Ulisse non permettere che io dimentichi mai la tua voce di uccello memorioso la parola calamitata che nel tuo intimo pronunci sempre nuda la parola sempre giusta di folgorante ignoranza la selvaggia purezza del tuo amore insensato delirante senza freno abbrutito inviziato il gemito nettissimo della tenerezza lo sguardo pensieroso della prostituzione la cruda chiara verità dell'amore che assorbe e divora e si alimenta l'invisibile zampata della divinazione l'accettazione la comprensione la sapienza senza strade la spugnosa maternità terreno di radici donna casa del doloroso vagabondo dammi da mordere la frutta della vita la stabile frutta di luce del tuo corpo abitato lasciami reclinare la mia fronte funesta sul tuo grave grembo di paradiso boscoso spogliami acquietami guariscimi di questa colpa acre di non essere sempre armato ma soltanto io stesso.
Scegliere una porta significa non aprirne altre. Un piacere presuppone che molti piaceri non verranno vissuti, così come ogni tristezza dispensa da tante tristezze. L'amante che porti a letto è uno tra tutti quelli possibili. La parola per cui opti impedisce l'uso di un numero indefinito di parole. Visiti un luogo perché altri luoghi restino ad aspettarti. Solo il giorno che sorge per la tua morte è un giorno qualsiasi, una casualità.
Nevicò su la casa di tua madre, Ed essa ancora non sapeva nulla Di te, nulla, nemmeno con quali occhi la guarderesti.
Sovente lungo il giorno ella moveva Timorosa così come se un male Da te la minacciasse, eppur tendeva La sua debole mano sul tuo sangue, Per tua difesa.
Come il torbo mattino adduce il sole, Ella trasse dal buio la tua sorte. Ancora tu non eri su la terra, E dovunque già eri.
Ho visto Doride accanto a Damota, Lui le prese teneramente la mano. Si guardarono fissi negli occhi, poi guardarono in giro, che non vegliassero genitori; e poiché non videro nessuno, svelti - ma bene - fecero come facciamo noi.
Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo! E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia. La sera cullava già la terra, e sui monti si posava la notte; se ne stava vestita di nebbia la quercia, gigantesca guardiana, là dove la tenebre dai cespugli con cento occhi neri guardava.
Da un cumulo di nubi la luna sbucava assonnata tra le nebbie; i venti agitavano le ali sommesse, sibilavano orridi al mio orecchio; la notte generava migliaia di mostri, ma io mille volte più coraggio avevo; il mio spirito era un fuoco ardente, il mio cuore intero una brace.
Ti vidi, e una mite gioia passò dal tuo dolce sguardo su di me; fu tutto per te il mio cuore, fu tuo ogni mio respiro. Una rosea primavera colorava l'adorabile volto, e tenerezza per me, o numi, m'attendevo, ma meriti non avevo.
L'addio, invece, mesto e penoso. Dai tuoi occhi parlava il cuore; nei tuoi baci quanto amore, oh che delizia, e che dolore! Partisti, e io restai, guardando a terra, guardando te che andavi, con umido sguardo; eppure, che gioia essere amati, e amare, o numi, che gioia!