Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Eri tu schivo, Gesù Bambino

Eri tu schivo, Gesù Bambino,
un giorno, e come me piccino?
E che sentivi a vivere
fuori dei Cieli, e proprio come io vivo?
Pensavi mai le cose di lassù,
dove fossero gli angeli chiedevi?
Io al tuo posto avrei pianto
Per la mia casa fatta di cielo;
io cercherei dintorno a me, nell'aria:
"gli angeli dove sono? ", chiederei
e destandomi mi dispererei
che non vi fosse un angelo a vestirmi!
Anche tu possedevi dei balocchi,
come li abbiamo noi, bimbe e bambini?
E giocavi nei Cieli con tutti
gli angeli non troppo alti,
con le stelle a piastrella? Si giocava
a rimpiattino, dietro le loro ali?
Tua Madre ti lasciava sciupare le tue vesti
Sul nostro suol giocando?
Come bello serbarle sempre nuove,
per i Cieli d'azzurro sempre tersi!
T'inginocchiavi, a notte, per pregare,
e le tue mani, come noi, giungevi?
E a volte erano stanche, le manine,
e assai lunga sembrava la preghiera?
E ti piace così, che noi giungiamo
Le nostre mani per pregare a te?
A me sembrava, avanti io lo sapessi,
che la preghiera solo così vale.
E tua Madre, la sera, ti baciava,
i tuoi panni piegandoti con cura?
Non ti sentivi proprio buono, a letto,
baciato e quieto, dette le orazioni?

A tuo Padre la mia preghiera mostra
(Egli la guarderà, sei così bello! ),
e digli "O Padre, io, io il Figlio tuo,
ti reco la preghiera di un bambino".
Sorriderà, che la lingua dei bimbi
Sia la stessa di quando eri tu un bimbo!
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Per Senocrate di Agrigento, voncitore del carro

    Udite: il campo di Afrodite
    occhi vivaci o delle Grazie
    noi ariamo, muovendo al tempio
    ombelico della terra altitonante;
    qui, agli Emmenidi felici, alla fluviale Agrigento
    e a Senocrate, per la vittoria pitica,
    è costruito, nella valle ricca d'oro
    di Apollonia, un tesoro di inni,
    che mai la pioggia invernale - esercito
    irruento e spietato
    di nuvola risonante - né il vento con detriti
    confusi percuotendolo sospingeranno
    negli abissi del mare. Nella luce pura, la sua fronte
    annuncerà nei discorsi dei mortali,
    o Trasibulo, la vittoria illustre, comune a tuo padre e alla stirpe,
    riportata col carro nelle valli di Crisa.
    Nella mano destra serbandolo, tu guidi
    dritto il precetto
    che una volta - narrano - sui monti
    il figlio di Filira impartì al Pelide,
    separato dai suoi genitori: tra gli dèi, onorare
    soprattutto il figlio di Crono, dalla voce grave, signore
    dei lampi e dei fulmini; e non privare mai di questo onore
    i genitori per la vita che loro è destinata.
    In altro tempo, sentimenti simili nutriva
    il forte Antiloco,
    che morì per il padre, affrontando
    Memnone sterminatore, re
    degli Etiopi. Colpito da frecce di Paride,
    bloccava un cavallo il carro di Nestore. Protese
    Memnone la lancia possente. Turbata, la mente
    del vecchio Messenio gridò il nome del figlio.
    A terra non cadde la sua parola. Lì
    resistendo, l'uomo divino
    comprò con la sua morte la vita del padre;
    e compiuta l'impresa immane, egli parve
    ai più giovani della stirpe antica
    il più grande per virtù verso i genitori.
    Ma questo è passato. Dei giovani di ora, più di tutti
    Trasibulo procede secondo la norma paterna
    e segue lo zio in ogni splendore.
    Con senno egli usa la ricchezza,
    e coglie una giovinezza non ingiusta né tracotante;
    ma negli antri delle Pieridi coltiva la poesia
    e a te, Scuotitore della terra, che governi le gare dei cavalli, o Poseidone,
    si dedica, con animo fervente.
    Dolce anche nei rapporti conviviali, la sua indole
    supera l'opera traforata delle api.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Per Teosseno di Tenedo

      Al momento opportuno dovevi, animo mio,
      coglier l'amore, in giovinezza.
      Ma guardando i raggi
      che dagli occhi di Teosseno balenano,
      chi non trabocca di desiderio, ha il cuore nero
      temprato nell'acciaio o nel ferro
      con gelida fiamma. Disprezzato
      da Afrodite pupille vivaci,
      o soffre pene violente per ottenere guadagni,
      o, servo di tracotanza femminile,
      freddo percorre ogni sentiero.
      Ma io, a causa di lei, come la cera delle api sacre
      morsa dal calore, mi consumo, quando guardo
      la giovinezza degli adolescenti dalle membra floride.
      In Tenedo, certo,
      Peito e Grazia abitano
      nel figlio di Agesilas.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Morte di Clorinda

        Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
        che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
        Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
        che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
        e la veste, che d'or vago trapunta
        le mammelle stringea tenera e leve,
        l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
        morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

        Segue egli la vittoria, e la trafitta
        vergine minacciando incalza e preme.
        Ella, mentre cadea, la voce afflitta
        movendo, disse le parole estreme;
        parole ch'a lei novo un spirto ditta,
        spirto di fé, di carità, di speme:
        virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
        in vita fu, la vuole in morte ancella.

        - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
        tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
        a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
        battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
        In queste voci languide risuona
        un non so che di flebile e soave
        ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
        e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

        Poco quindi lontan nel sen del monte
        scaturia mormorando un picciol rio.
        Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
        e tornò mesto al grande ufficio e pio.
        Tremar sentì la man, mentre la fronte
        non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
        La vide, la conobbe, e restò senza
        e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

        Non morì già, ché sue virtuti accolse
        tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
        e premendo il suo affanno a dar si volse
        vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
        Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
        colei di gioia trasmutossi, e rise;
        e in atto di morir lieto e vivace,
        dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "

        D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
        come à gigli sarian miste viole,
        e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
        sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
        e la man nuda e fredda alzando verso
        il cavaliero in vece di parole
        gli dà pegno di pace. In questa forma
        passa la bella donna, e par che dorma.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Nei momenti che i basi fermemo...

          Nei momenti che i basi fermemo
          Nò par gusto ma par riflession,
          La me amante vol scriver i versi,
          Che mi digo e me basta de dir.

          Tuta nùa la se méte al lavoro,
          Po' la méte una blusa lisièra,
          Po' la ziga "che fredi xé i versi"
          La stranùa, mi la baso, e bondì.

          "Ah che curti che xé 'sti poemi! "
          Dirà queli che ne lezerà,
          "Ah che boni che gèra quei basi! "
          Dirà ela... o Amor lo dirà.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Accogliete benigni, o colle, o fiume,
            albergo de le Grazie alme e d'Amore,
            quella ch'arde del vostro alto signore,
            e vive sol de' raggi del suo lume;
            e, se fate ch'amando si consume
            men aspramente il mio infiammato core,
            pregherò che vi sieno amiche l'ore,
            ogni ninfa silvestre ed ogni nume
            e lascerò scolpita in qualche scorza
            la memoria di tanta cortesia
            quando di lasciar voi mi sarà forza.
            Ma, lassa, io sento che la fiamma mia,
            che devrebbe scemar, più si rinforza,
            e più ch'altrove qui s'ama e disia
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Mentr'io conto fra me minutamente
              le doti del mio conte a parte a parte,
              nobilitate, bellezza, ingegno ed arte,
              che lo fan chiaro sovra l'altra gente,
              tale e tanto piacer l'anima sente,
              che, sendo tutte le sue virtù sparte,
              mi meraviglio come non si parte,
              volando al ciel per starci eternamente.
              E certo v'anderia, se non temesse
              che restasse il suo ben da lei diviso,
              e men beato il suo stato rendesse;
              perché 'l suo vero e proprio paradiso,
              quello che per bearsi ella si elesse,
              è 'l mio dolce signor e 'l suo bel viso.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Rivolgete talor pietoso gli occhi
                da le vostre bellezze a le mie pene,
                sì che quant'alterezza indi vi viene,
                tanta quindi pietate il cor vi tocchi.
                Vedrete qual martìr indi mi fiocchi,
                vedrete vòte le faretre e piene,
                che preste a' danni miei sempre Amor tiene,
                quando avien che ver' me l'arco suo scocchi.
                E forse la pietà del mio tormento
                vi moverà, dov'or ne gite altero,
                non lo vedendo voi, qual io lo sento;
                così pensosa io meno, e men voi fiero
                ritornerete, e cento volte e cento
                benedirete i ciel che mi vi diêro
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Che meraviglia fu, s'al primo assalto,
                  giovane e sola, io restai presa al varco,
                  stando Amor quindi con gli strali e l'arco,
                  e ferendo per mezzo, or basso or alto,
                  indi 'l signor che 'n rime orno ed essalto
                  quanto più posso, e 'l mio dir resta parco,
                  con due occhi, anzi strai, che spesso incarco
                  han fatto al sole e con un cor di smalto?
                  Ed essendo da lato anche imboscate,
                  sì ch'a modo nessun fess'io difesa,
                  alla virtute e chiara nobiltate?
                  Da tanti e ta' nemici restai presa;
                  né mi duol, pur che l'alma mia beltate,
                  or che m'ha vinta, non faccia altra impresa
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)
                    Vieni, Amor, a veder la gloria mia,
                    e poi la tua; ché l'opra de' tuoi strali
                    ha fatto ambeduo noi chiari, immortali,
                    ovunque per Amor s'ama e disia.
                    Chiara fe' me, perché non fui restia
                    ad accettar i tuoi colpi mortali,
                    essendo gli occhi, onde fui presa, quali
                    natura non fe' mai poscia, né pria;
                    chiaro fe' te, perché a lodarti vegno
                    quanto più posso in rime ed in parole
                    con quella, che m'hai dato, vena e ingegno.
                    Or a te si convien far che quel sole,
                    che mi desti per guida e per sostegno,
                    non lasci oscure queste luci e sole.
                    Vota la poesia: Commenta