Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

L'aspro sapore del mare

Quella vela piegata dalla luce,
stanca d'isole,
una goletta che batte il Mar dei Caraibi

per ritornare, potrebbe essere Odisseo
diretto a casa attraverso l'Egeo:
quel desiderio di padre e di marito,

sotto l'aspro livore della vecchiezza,
è come l'adultero che sente il nome di Nausicaa
in ogni grido di gabbiano.

E questo non assicura la pace. L'antica guerra
tra ossessione e responsabilità
non può finire ed è la stessa

per il naufrago e per chi sul lido
ora infila i piedi nei sandali per rientrare
da quando Troia ha spirato l'ultima fiamma

e il macigno del cieco ciclope ha alzato le acque
dalle cui ondate i grandiosi esametri giungono
alle conclusioni dell'esausta risacca.

I classici possono consolare. Ma non abbastanza.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Parabola

    Il bimbo guarda fra le dieci dita
    la bella mela che vi tiene stretta;
    e indugia - tanto è lucida e perfetta -
    a dar coi denti quella gran ferita.

    Ma dato il morso primo ecco s'affretta:
    e quel che morde par cosa scipita
    per l'occhio intento al morso che l'aspetta...
    E già la mela è per metà finita.

    Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso
    sempre è lo sguardo che precede il dente -
    fin che s'arresta al torso che già tocca.

    "Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! "
    Pensa il bambino... Le pupille intente
    ogni piacere tolsero alla bocca.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il filo

      Ma questo filo... tutto questo filo!...
      In pensieri non dolci e non amari
      il Vecchio stava chino sulli alari
      con le molle, così, come uno stilo.

      "Scrivi? Bruci? Miei versi? I sillabari?
      Il nome dell'Amata e dell'Asilo! "
      (nel Vecchio riconobbi il mio profilo)
      "Lettere? Buste? Annunzi funerari?

      Un nome, un nome! Quello della Mamma! "
      E caddi singhiozzando sulli alari.
      Il Vecchio tacque. M'additò la fiamma.

      "Da trent'anni?! Perdute le più tenere
      mani! Ma resta il sogno! I sogni cari... "
      Il Vecchio tacque. M'additò la cenere.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La via del rifugio

        Trenta quaranta,
        tutto il Mondo canta
        canta lo gallo
        risponde la gallina...

        Socchiusi gli occhi, sto
        supino nel trifoglio,
        e vedo un quatrifoglio
        che non raccoglierò.

        Madama Colombina
        s'affaccia alla finestra
        con tre colombe in testa:
        passan tre fanti...

        Belle come la bella
        vostra mammina, come
        il vostro caro nome,
        bimbe di mia sorella!

        ... su tre cavalli bianchi:
        bianca la sella
        bianca la donzella
        bianco il palafreno...

        Ne fare il giro a tondo
        estraggono le sorti.
        (I bei capelli corti
        come caschetto biondo

        rifulgono nel sole. )
        Estraggono a chi tocca
        la sorte, in filastrocca
        segnado le parole.

        Socchiudo gli occhi, estranio
        ai casi della vita.
        Sento fra le mie dita
        la forma del mio cranio...

        Ma dunque esisto! O Strano!
        Vive tra il Tutto e il Niente
        questa cosa vivente
        detta guidogozzano!

        Resupino sull'erba
        (ho detto che non voglio
        raccorti, o quatrifoglio)
        non penso a che mi serba

        la Vita. Oh la carezza
        dell'erba! Non agogno
        cha la virtù del sogno:
        l'inconsapevolezza.

        Bimbe di mia sorella,
        e voi, senza sapere
        cantate al mio piacere
        la sua favola bella.

        Sognare! Oh quella dolce
        Madama Colombina
        protesa alla finestra
        con tre colombe in testa!

        Sognare. Oh quei tre fanti
        su tre cavalli bianchi:
        bianca la sella,
        bianca la donzella!

        Chi fu l'anima sazia
        che tolse da un affresco
        o da un missale il fresco
        sogno di tanta grazia?

        A quanti bimbi morti
        passò di bocca in bocca
        la bella filastrocca
        signora delle sorti?

        Da trecent'anni, forse,
        da quattrocento e più
        si canta questo canto
        al gioco del cucù.

        Socchiusi gli occhi, sto
        supino nel trifoglio,
        e vedo un quatrifoglio
        che non raccoglierò.

        L'aruspice mi segue
        con l'occhio d'una donna...
        Ancora si prosegue
        il canto che m'assonna.

        Colomba colombita
        Madama non resiste,
        discende giù seguita
        da venti cameriste,

        fior d'aglio e fior d'aliso,
        chi tocca e chi non tocca...
        La bella filastrocca
        si spezza d'improvviso.

        "Una farfalla! " "Dài!
        Dài! " - Scendon pel sentiere
        le tre bimbe leggere
        come paggetti gai.

        Una Vanessa Io
        nera come il carbone
        aleggia in larghe rote
        sul prato solatio,

        ed ebra par che vada.
        Poi - ecco - si risolve
        e ratta sulla polvere
        si posa della strada.

        Sandra, Simona, Pina
        silenziose a lato
        mettonsile in agguato
        lungh'essa la cortina.

        Belle come la bella
        vostra mammina, come
        il vostro caro nome
        bimbe di mia sorella!

        Or la Vanessa aperta
        indugia e abbassa l'ali
        volgendo le sue frali
        piccole antenne all'erta.

        Ma prima la Simona
        avanza, ed il cappello
        toglie ed il braccio snello
        protende e la persona.

        Poi con pupille intente
        il colpo che non falla
        cala sulla farfalla
        rapidissimamente.

        "Presa! " Ecco lo squillo
        della vittoria. "Aiuto!
        È tutta di velluto:
        Oh datemi uno spillo! "

        "Che non ti sfugga, zitta! "
        S'adempie la condanna
        terribile; s'affanna
        la vittima trafitta.

        Bellissima. D'inchiostro
        l'ali, senza rintocchi,
        avvivate dagli occhi
        d'un favoloso mostro.

        "Non vuol morire! " "Lesta!
        Ché soffre ed ho rimorso!
        Trapassale la testa!
        Ripungila sul dorso! "

        Non vuol morire! Oh strazio
        d'insetto! Oh mole immensa
        di dolore che addensa
        il Tempo nello Spazio!

        A che destino ignoto
        si soffre? Va dispersa
        la lacrima che versa
        l'Umanità nel vuoto?

        Colombina colombita
        Madama non resiste:
        discende giù seguita
        da venti cameriste...

        Sognare! Il sogno allenta
        la mente che prosegue:
        s'adagia nelle tregue
        l'anima sonnolenta,

        siccome quell'antico
        brahamino del Pattarsy
        che per racconsolarsi
        si fissa l'umbilico.

        Socchiudo gli occhi, estranio
        ai casi della vita;
        sento fra le mie dita
        la forma del mio cranio.

        Verrà da sé la cosa
        vera chiamata Morte:
        che giova ansimar forte
        per l'erta faticosa?

        Trenta quaranta
        tutto il Mondo canta
        canta lo gallo
        canta la gallina...

        La Vita? Un gioco affatto
        degno di vituperio,
        se si mantenga intatto
        un qualche desiderio.

        Un desiderio? Sto
        supino nel trifoglio
        e vedo un quatrifoglio
        che non raccoglierò.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La Befana

          Discesi dal lettino
          son là presso il camino,
          grandi occhi estasiati,
          i bimbi affaccendati

          a metter la scarpetta
          che invita la Vecchietta
          a portar chicche e doni
          per tutti i bimbi buoni.

          Ognun, chiudendo gli occhi,
          sogna dolci e balocchi;
          e Dori, il più piccino,
          accosta il suo visino

          alla grande vetrata,
          per veder la sfilata
          dei Magi, su nel cielo,
          nella notte di gelo.

          Quelli passano intanto
          nel lor gemmato manto,
          e li guida una stella
          nel cielo, la più bella.

          Che visione incantata
          nella notte stellata!
          E la vedono i bimbi,
          come vedono i nimbi

          degli angeli festanti
          nè lor candidi ammanti.
          Bambini! Gioia e vita
          son la vision sentita

          nel loro piccolo cuore
          ignaro del dolore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Io sono innamorato di tutte le signore
            che mangiano le paste nelle confetterie.

            Signore e signorine -
            le dita senza guanto -
            scelgon la pasta. Quanto
            ritornano bambine!

            Perché nïun le veda,
            volgon le spalle, in fretta,
            sollevan la veletta,
            divorano la preda.

            C'è quella che s'informa
            pensosa della scelta;
            quella che toglie svelta,
            né cura tinta e forma.

            L'una, pur mentre inghiotte,
            già pensa al dopo, al poi;
            e domina i vassoi
            con le pupille ghiotte.

            Un'altra - il dolce crebbe -
            muove le disperate
            bianchissime al giulebbe
            dita confetturate!

            Un'altra, con bell'arte,
            sugge la punta estrema:
            invano! Ché la crema
            esce dall'altra parte!

            L'una, senz'abbadare
            a giovine che adocchi,
            divora in pace. Gli occhi
            altra solleva, e pare

            sugga, in supremo annunzio,
            non crema e cioccolatte,
            ma superliquefatte
            parole del D'Annunzio.

            Fra questi aromi acuti,
            strani, commisti troppo
            di cedro, di sciroppo,
            di creme, di velluti,

            di essenze parigine,
            di mammole, di chiome:
            oh! Le signore come
            ritornano bambine!

            Perché non m'è concesso -
            o legge inopportuna! -
            il farmivi da presso,
            baciarvi ad una ad una,

            o belle bocche intatte
            di giovani signore,
            baciarvi nel sapore
            di crema e cioccolatte?

            Io sono innamorato di tutte le signore
            che mangiano le paste nelle confetterie.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Pioggia d'agosto

              Nel mio giardino triste ulula il vento,
              cade l'acquata a rade goccie, poscia
              più precipite giù crepita scroscia
              a fili interminabili d'argento...
              Guardo la Terra abbeverata e sento
              ad ora ad ora un fremito d'angoscia...

              Soffro la pena di colui che sa
              la sua tristezza vana e senza mete;
              l'acqua tessuta dall'immensità
              chiude il mio sogno come in una rete,
              e non so quali voci esili inquiete
              sorgano dalla mia perplessità.

              "La tua perplessità mediti l'ale
              verso meta più vasta e più remota!
              È tempo che una fede alta ti scuota,
              ti levi sopra te, nell'Ideale!
              Guarda gli amici. Ognun palpita quale
              demagogo, credente, patriota...

              Guarda gli amici. Ognuno già ripose
              la varia fede nelle varie scuole.
              Tu non credi e sogghigni. Or quali cose
              darai per meta all'anima che duole?
              La Patria? Dio? L'Umanità? Parole
              che i retori t'han fatto nauseose!...

              Lotte brutali d'appetiti avversi
              dove l'anima putre e non s'appaga...
              Chiedi al responso dell'antica maga
              la sola verità buona a sapersi;
              la Natura! Poter chiudere in versi
              i misteri che svela a chi l'indaga!"

              Ah! La Natura non è sorda e muta;
              se interrogo il lichéne ed il macigno
              essa parla del suo fine benigno...
              Nata di sé medesima, assoluta,
              unica verità non convenuta,
              dinanzi a lei s'arresta il mio sogghigno.

              Essa conforta di speranze buone
              la giovinezza mia squallida e sola;
              e l'achenio del cardo che s'invola,
              la selce, l'orbettino, il macaone,
              sono tutti per me come personae,
              hanno tutti per me qualche parola...

              Il cuore che ascoltò, più non s'acqueta
              in visïoni pallide fugaci,
              per altre fonti va, per altra meta...
              O mia Musa dolcissima che taci
              allo stridìo dei facili seguaci,
              con altra voce tornerò poeta!
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Pasqua

                A festoni la grigia parietaria
                come una bimba gracile s'affaccia
                ai muri della casa centenaria.

                Il ciel di pioggia è tutto una minaccia
                sul bosco triste, ché lo intrica il rovo
                spietatamente, con tenaci braccia.

                Quand'ecco dai pollai sereno e nuovo
                il richiamo di Pasqua empie la terra
                con l'antica pia favola dell'ovo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Prima delusione

                  La bionda bimba coi capelli al vento
                  correva per i viali del giardino
                  rossa nel volto, respirando a stento
                  per sfuggire al suo bruno fratellino.

                  "Mamma!": era giunta all'albero di pesco,
                  calpestandone i fiori scossi dal vento:
                  poi rise, del suo riso argenteo e fresco,
                  al fratellino giunto in quel momento.

                  "Non mi prendesti!" disse e rise ancora
                  al fratellino un po' mortificato;
                  e il sol, che traversava i rami allora,
                  baciò quel capo piccolo e dorato.

                  "Fulvio, perché la bamboletta parla?
                  Dici che sia una bambina vera?"
                  "Chissà! Bisognerebbe un po' osservarla,
                  guardarle il viso che pare di cera."

                  "Vai a prenderla: è dentro nella serra."
                  Il fratellino corse, e lei rimase
                  coll'occhio fisso all'ombre, che per terra
                  formava il sol nell'ultima sua fase.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    La differenza

                    Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
                    gracidante alla riva del canale?
                    Pare felice! Al vespero invernale
                    protende il collo, giubilando roca.

                    Salta starnazza si rituffa gioca:
                    né certo sogna d'essere mortale
                    né certo sogna il prossimo Natale
                    né l'armi corruscanti della cuoca.

                    -O pàpera, mia candida sorella,
                    tu insegni che la Morte non esiste:
                    solo si muore da che s'è pensato.

                    Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
                    Ché l'esser cucinato non è triste,
                    triste è il pensare d'esser cucinato.
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