Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Elizabet

Elizabet - a me par giusto sommamente
(logica e comun senso così ordinando)
che nel tuo libro per primo si scriva il tuo nome,
checché ne pensino Zenone ed altri saggi;
ed io ho poi altri motivi per così fare,
oltre al mio innato gusto per la contraddizione:
ciascun poeta - se poeta - nel suo tener dietro
alle vaganti Muse, per i recessi del Vero e del Finto,
ha ben poco studiato la sua parte,
letto quasi nulla, scritto ancora meno - è, in breve,
uno sciocco senz'anima, senza sensi e senza l'arte,
se mostra di ignorare una norma così importante,
perfino adoperata nei compiti scolastici -
che si chiama - il nome greco non ricordo
(ma quale sia, il senso suo non muta):
Sempre scriver prima quel che nel cuore hai più in alto.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    A f.

    O mia amata, fra i dolenti affanni
    così folti sul mio terrestre sentiero -
    triste, ahimè! - dove mai non cresce
    un fiore, mai alcuna rosa solitaria -
    trova sollievi almeno l'anima mia
    in molti sogni di te: e conosce allora
    un Eden di blando riposo.

    Così, dal ricordo di te si distilla
    in me un'isola d'incanto, lontana,
    in mezzo a un tumultuante mare -
    fremente oceano e immenso, esposto
    ad ogni tempesta - nel mentre che, intanto,
    i più sereni cieli, continuamente,
    solo sorridono su quell'isola fulgente.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      A una in Paradiso

      Eri per me quel tutto, amore,
      per cui si struggeva la mia anima -
      una verde isola nel mare, amore,
      una fonte limpida, un'ara
      di magici frutti e fiori adornata:
      e tutti erano miei quei fiori.

      Ah, sogno splendido e breve!
      Stellata speranza, appena apparsa
      e subito sopraffatta!
      Una voce del Futuro mi grida
      "Avanti, avanti! " - ma è sul Passato
      (oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia
      tacita, immobile, sgomenta!
      Perché mai più, oh, mai più per me
      risplenderà quella luce di Vita!
      Mai più - mai più - mai più -
      (è quel che il mare ripete
      alle sabbie del lido) - mai più
      rifiorirà un albero percosso dal fulmine,
      nè potrà più elevarsi un'aquila ferita.

      Vivo, trasognato, giorni estatici,
      e tutte le mie notturne visioni
      mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
      a là dove tu stessa ti porti e risplendi,
      oh, in quali eteree danze,
      lungo rivi che scorrono perenni.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Hai chiuso gli occhi

        Nasce una notte
        piena di finte buche,
        di suoni morti
        come di sugheri
        di reti calate nell'acqua.

        Le tue mani si fanno come un soffio
        d'inviolabili lontananze,
        inafferrabili come le idee.

        E l'equivoco della luna
        e il dondolio, dolcissimi,
        se vuoi posarmele sugli occhi,
        toccano l'anima.

        Sei la donna che passa
        come una foglia.

        E lasci agli alberi un fuoco d'autunno.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il comune rustico

          O che tra faggi e abeti erma su i campi
          Smeraldini la fredda ombra si stampi
          Al sole del mattin puro e leggero,
          O che foscheggi immobile nel giorno
          Morente su le sparse ville intorno
          A la chiesa che prega o al cimitero
          Che tace, o noci de la Carnia, addio!
          Erra tra i vostri rami il pensier mio
          Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
          Non paure di morti ed in congreghe
          Diavoli goffi con bizzarre streghe,
          Ma del comun la rustica virtú
          Accampata a l'opaca ampia frescura
          Veggo ne la stagion de la pastura
          Dopo la messa il giorno de la festa.
          Il consol dice, e poste ha pria le mani
          Sopra i santi segnacoli cristiani:
          - Ecco, io parto fra voi quella foresta
          D'abeti e pini ove al confin nereggia.
          E voi trarrete la mugghiante greggia
          E la belante a quelle cime là.
          E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
          Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
          Morrete per la nostra libertà. -
          Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
          Ergea le bionde teste; e de gli eletti
          In su le fronti il sol grande feriva.
          Ma le donne piangenti sotto i veli
          Invocavan la madre alma dè cieli.
          Con la man tesa il console seguiva:
          - Questo, al nome di Cristo e di Maria,
          Ordino e voglio che nel popol sia. -
          A man levata il popol dicea, Sí.
          E le rosse giovenche di su 'l prato
          Vedean passare il piccolo senato,
          Brillando su gli abeti il mezzodí.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La madre

            Lei certo l'alba che affretta rosea
            al campo ancora grigio gli agricoli
            mirava scalza co 'l piè ratto
            passar tra i roridi odor del fieno.

            Curva su i biondi solchi i larghi omeri
            udivan gli olmi bianchi di polvere
            lei stornellante su 'l meriggio
            sfidar le rauche cicale a i poggi.

            E quando alzava da l'opra il turgido
            petto e la bruna faccia ed i riccioli
            fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
            coloraro ignei le balde forme.

            Or forte madre palleggia il pargolo
            forte; da i nudi seni già sazio
            palleggialo alto, e ciancia dolce
            con lui che à lucidi occhi materni

            intende gli occhi fissi ed il piccolo
            corpo tremante d'inquïetudine
            e le cercanti dita: ride
            la madre e slanciasi tutta amore.

            A lei d'intorno ride il domestico
            lavor, le biade tremule accennano
            dal colle verde, il büe mugghia,
            su l'aia il florido gallo canta.

            Natura a i forti che per lei spregiano
            le care a i vulghi larve di gloria
            cosí di sante visïoni
            conforta l'anime, o Adrïano:

            onde tu al marmo, severo artefice,
            consegni un'alta speme de i secoli.
            Quando il lavoro sarà lieto?
            Quando securo sarà l'amore?

            Quando una forte plebe di liberi
            dirà guardando nel sole - Illumina
            non ozi e guerre a i tiranni,
            ma la giustizia pia del lavoro?
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              L'annuale della fondazione di Roma

              Te redimito di fior purpurei
              april te vide su 'l colle emergere
              da 'l solco di Romolo torva
              riguardante su i selvaggi piani:
              te dopo tanta forza di secoli
              aprile irraggia, sublime, massima,
              e il sole e l'Italia saluta
              te, Flora di nostra gente, o Roma.
              Se al Campidoglio non più la vergine
              tacita sale dietro il pontefice
              né più per Via Sacra il trionfo
              piega i quattro candidi cavalli,
              questa del Fòro tua solitudine
              ogni rumore vince, ogni gloria;
              e tutto che al mondo è civile,
              grande, augusto, egli è romano ancora.
              Salve, dea Roma! Chi disconósceti
              cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
              e a lui nel reo cuore germoglia
              torpida la selva di barbarie.
              Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
              del Fòro, io seguo con dolci lacrime
              e adoro i tuoi sparsi vestigi,
              patria, diva, santa genitrice.
              Son cittadino per te d'Italia,
              per te poeta, madre de i popoli,
              che desti il tuo spirito al mondo,
              che Italia improntasti di tua gloria.
              Ecco, a te questa, che tu di libere
              genti facesti nome uno, Italia,
              ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
              affisa nè tuoi d'aquila occhi.
              E tu dal colle fatal pe 'l tacito
              Fòro le braccia porgi marmoree,
              a la figlia liberatrice
              additando le colonne e gli archi:
              gli archi che nuovi trionfi aspettano
              non più di regi, non più di cesari,
              e non di catene attorcenti
              braccia umane su gli eburnei carri;
              ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
              su l'età nera, su l'età barbara,
              su i mostri onde tu con serena
              giustizia farai franche le genti.
              O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
              tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
              di gloria, di gloria, di gloria
              correran per l'infinito azzurro.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Pianto antico

                L'albero a cui tendevi
                la pargoletta mano,
                il verde melograno
                Da' bei vermigli fiori
                Nel muto orto solingo
                Rinverdì tutto or ora,
                E giugno lo ristora
                Di luce e di calor.
                Tu fior de la mia pianta
                Percossa e inaridita,
                Tu de l'inutil vita
                Estremo unico fior,
                Sei ne la terra fredda,
                Sei ne la terra negra;
                Né il sol piú ti rallegra
                Né ti risveglia amor.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Preludio

                  Odio l'usata poesia: concede
                  comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
                  palpiti sotto i consueti amplessi
                  stendesi e dorme.
                  A me la strofe vigile, balzante
                  co 'l plauso e 'l piede ritmico nè cori:
                  per l'ala a volo io còlgola, si volge
                  ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano
                  torcesi un'evia su 'l nevoso Edone:
                  più belli i vezzi del fiorente petto
                  saltan compressi,
                  e baci e strilli su l'accesa bocca
                  mesconsi: ride la marmorea fronte
                  al sole, effuse in lunga onda le chiome
                  fremono à venti.
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