Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

A f.

O mia amata, fra i dolenti affanni
così folti sul mio terrestre sentiero -
triste, ahimè! - dove mai non cresce
un fiore, mai alcuna rosa solitaria -
trova sollievi almeno l'anima mia
in molti sogni di te: e conosce allora
un Eden di blando riposo.

Così, dal ricordo di te si distilla
in me un'isola d'incanto, lontana,
in mezzo a un tumultuante mare -
fremente oceano e immenso, esposto
ad ogni tempesta - nel mentre che, intanto,
i più sereni cieli, continuamente,
solo sorridono su quell'isola fulgente.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    A una in Paradiso

    Eri per me quel tutto, amore,
    per cui si struggeva la mia anima -
    una verde isola nel mare, amore,
    una fonte limpida, un'ara
    di magici frutti e fiori adornata:
    e tutti erano miei quei fiori.

    Ah, sogno splendido e breve!
    Stellata speranza, appena apparsa
    e subito sopraffatta!
    Una voce del Futuro mi grida
    "Avanti, avanti! " - ma è sul Passato
    (oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia
    tacita, immobile, sgomenta!
    Perché mai più, oh, mai più per me
    risplenderà quella luce di Vita!
    Mai più - mai più - mai più -
    (è quel che il mare ripete
    alle sabbie del lido) - mai più
    rifiorirà un albero percosso dal fulmine,
    nè potrà più elevarsi un'aquila ferita.

    Vivo, trasognato, giorni estatici,
    e tutte le mie notturne visioni
    mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
    a là dove tu stessa ti porti e risplendi,
    oh, in quali eteree danze,
    lungo rivi che scorrono perenni.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Hai chiuso gli occhi

      Nasce una notte
      piena di finte buche,
      di suoni morti
      come di sugheri
      di reti calate nell'acqua.

      Le tue mani si fanno come un soffio
      d'inviolabili lontananze,
      inafferrabili come le idee.

      E l'equivoco della luna
      e il dondolio, dolcissimi,
      se vuoi posarmele sugli occhi,
      toccano l'anima.

      Sei la donna che passa
      come una foglia.

      E lasci agli alberi un fuoco d'autunno.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Il comune rustico

        O che tra faggi e abeti erma su i campi
        Smeraldini la fredda ombra si stampi
        Al sole del mattin puro e leggero,
        O che foscheggi immobile nel giorno
        Morente su le sparse ville intorno
        A la chiesa che prega o al cimitero
        Che tace, o noci de la Carnia, addio!
        Erra tra i vostri rami il pensier mio
        Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
        Non paure di morti ed in congreghe
        Diavoli goffi con bizzarre streghe,
        Ma del comun la rustica virtú
        Accampata a l'opaca ampia frescura
        Veggo ne la stagion de la pastura
        Dopo la messa il giorno de la festa.
        Il consol dice, e poste ha pria le mani
        Sopra i santi segnacoli cristiani:
        - Ecco, io parto fra voi quella foresta
        D'abeti e pini ove al confin nereggia.
        E voi trarrete la mugghiante greggia
        E la belante a quelle cime là.
        E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
        Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
        Morrete per la nostra libertà. -
        Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
        Ergea le bionde teste; e de gli eletti
        In su le fronti il sol grande feriva.
        Ma le donne piangenti sotto i veli
        Invocavan la madre alma dè cieli.
        Con la man tesa il console seguiva:
        - Questo, al nome di Cristo e di Maria,
        Ordino e voglio che nel popol sia. -
        A man levata il popol dicea, Sí.
        E le rosse giovenche di su 'l prato
        Vedean passare il piccolo senato,
        Brillando su gli abeti il mezzodí.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La madre

          Lei certo l'alba che affretta rosea
          al campo ancora grigio gli agricoli
          mirava scalza co 'l piè ratto
          passar tra i roridi odor del fieno.

          Curva su i biondi solchi i larghi omeri
          udivan gli olmi bianchi di polvere
          lei stornellante su 'l meriggio
          sfidar le rauche cicale a i poggi.

          E quando alzava da l'opra il turgido
          petto e la bruna faccia ed i riccioli
          fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
          coloraro ignei le balde forme.

          Or forte madre palleggia il pargolo
          forte; da i nudi seni già sazio
          palleggialo alto, e ciancia dolce
          con lui che à lucidi occhi materni

          intende gli occhi fissi ed il piccolo
          corpo tremante d'inquïetudine
          e le cercanti dita: ride
          la madre e slanciasi tutta amore.

          A lei d'intorno ride il domestico
          lavor, le biade tremule accennano
          dal colle verde, il büe mugghia,
          su l'aia il florido gallo canta.

          Natura a i forti che per lei spregiano
          le care a i vulghi larve di gloria
          cosí di sante visïoni
          conforta l'anime, o Adrïano:

          onde tu al marmo, severo artefice,
          consegni un'alta speme de i secoli.
          Quando il lavoro sarà lieto?
          Quando securo sarà l'amore?

          Quando una forte plebe di liberi
          dirà guardando nel sole - Illumina
          non ozi e guerre a i tiranni,
          ma la giustizia pia del lavoro?
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            L'annuale della fondazione di Roma

            Te redimito di fior purpurei
            april te vide su 'l colle emergere
            da 'l solco di Romolo torva
            riguardante su i selvaggi piani:
            te dopo tanta forza di secoli
            aprile irraggia, sublime, massima,
            e il sole e l'Italia saluta
            te, Flora di nostra gente, o Roma.
            Se al Campidoglio non più la vergine
            tacita sale dietro il pontefice
            né più per Via Sacra il trionfo
            piega i quattro candidi cavalli,
            questa del Fòro tua solitudine
            ogni rumore vince, ogni gloria;
            e tutto che al mondo è civile,
            grande, augusto, egli è romano ancora.
            Salve, dea Roma! Chi disconósceti
            cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
            e a lui nel reo cuore germoglia
            torpida la selva di barbarie.
            Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
            del Fòro, io seguo con dolci lacrime
            e adoro i tuoi sparsi vestigi,
            patria, diva, santa genitrice.
            Son cittadino per te d'Italia,
            per te poeta, madre de i popoli,
            che desti il tuo spirito al mondo,
            che Italia improntasti di tua gloria.
            Ecco, a te questa, che tu di libere
            genti facesti nome uno, Italia,
            ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
            affisa nè tuoi d'aquila occhi.
            E tu dal colle fatal pe 'l tacito
            Fòro le braccia porgi marmoree,
            a la figlia liberatrice
            additando le colonne e gli archi:
            gli archi che nuovi trionfi aspettano
            non più di regi, non più di cesari,
            e non di catene attorcenti
            braccia umane su gli eburnei carri;
            ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
            su l'età nera, su l'età barbara,
            su i mostri onde tu con serena
            giustizia farai franche le genti.
            O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
            tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
            di gloria, di gloria, di gloria
            correran per l'infinito azzurro.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Pianto antico

              L'albero a cui tendevi
              la pargoletta mano,
              il verde melograno
              Da' bei vermigli fiori
              Nel muto orto solingo
              Rinverdì tutto or ora,
              E giugno lo ristora
              Di luce e di calor.
              Tu fior de la mia pianta
              Percossa e inaridita,
              Tu de l'inutil vita
              Estremo unico fior,
              Sei ne la terra fredda,
              Sei ne la terra negra;
              Né il sol piú ti rallegra
              Né ti risveglia amor.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Preludio

                Odio l'usata poesia: concede
                comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
                palpiti sotto i consueti amplessi
                stendesi e dorme.
                A me la strofe vigile, balzante
                co 'l plauso e 'l piede ritmico nè cori:
                per l'ala a volo io còlgola, si volge
                ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano
                torcesi un'evia su 'l nevoso Edone:
                più belli i vezzi del fiorente petto
                saltan compressi,
                e baci e strilli su l'accesa bocca
                mesconsi: ride la marmorea fronte
                al sole, effuse in lunga onda le chiome
                fremono à venti.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  San Martino

                  La nebbia agli irti colli
                  Piovigginando sale,
                  E sotto il maestrale
                  urla e biancheggia il mar;
                  Ma per le vie del borgo
                  Dal ribollir dè tini
                  Va l'aspro odor de i vini
                  L'anime a rallegrar.
                  Gira sù ceppi accesi
                  Lo spiedo scoppiettando:
                  Sta il cacciator fischiando
                  Su l'uscio a rimirar
                  Tra le rossastre nubi
                  Stormi d'uccelli neri,
                  Com'esuli pensieri,
                  Nel vespero migrar.
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