Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Fra soavissimi fioretti

Fra soavissimi fioretti un giorno
Giaceano Amore e Venere,
E mille Genii stavan d'intorno
E mille Grazie tenere.
     Io con l'eburnea mia cetra al collo,
Scarco di cure torbide,
Passai con l'alma piena di Apollo
Per quelle sedi morbide.
     A sè chiamatomi la gaja Diva,
Con fiamma al labbro e al ciglio,
Disse: Tua cetera canti giuliva
La possa del mio figlio.
     Io pria con giubilo cantai d'Amore
Su gli altri Dii le glorie;
Soggiunsi poscia quai sul mio core
Ei riportò vittorie.
     Si attente stavano le Grazie al canto,
E que' Amorini amabili,
Che s'obliarono d'essere accanto
A' loro giochi instabili.
     Giuro per l'aurea chioma febea,
Che più dell'onda livida
Di Stigo io venero, vidi la Dea
Farsi al cantar più vivida.
     E tu, o Licoride, non mai ti pieghi
De' carmi al suon sensibile,
Invan fra lagrime io canto e prieghi,
Chè sempre so, inflessibile.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La sera

    Gentile Nelae, tu al collo candido
    Lascia che scendano le chiome d'auro,
    E alle mie tempio adatta
    Sacro ad Apollo un lauro.
         Al suon armonico di nostre cetere
    Vengon su i Zefiri le Grazie tenere,
    Che per udir tua voce
    Abbandonano Venere.
         Esci dal semplice tetto pacifico,
    Dell'igneo Cintio s'ascose il raggio;
    E all'umid'ombra siedi
    Meco dell'ampio faggio.
         O bianca Nelae, non esser timida,
    In ore tacite fra bosco atrissimo
    Tu sai ch'io ti favello
    Sol d'un amor purissimo.
         Di noi la candida fia testimonio
    Luna che tacita irraggia l'aria;
    Nè la temer, ché anch'essa
    Amò il pastor di Caria.
         Ve' riscintillano nel viso garrulo
    Gli astri che fulgidi sembra che ridano,
    E perfin gli usignuoli
    Par che a noi soli arridano.
         Fanciulla amabile, canta i bei numeri.
    Ma qual per l'aere di velo a foggia
    Nube si stende? - ah certo
    Vicina è a noi la pioggia.
         Presto fuggiamoci dal negro turbine;
    Il tempo placido oh corno è instabile!
    Ah non vorrei che il fossi
    Tu pur, fanciulla amabile.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La guerra

      Vinsero gli anni: tu sperasti indarno
      Gloria fiammante pel guerriero brando:
      Vedila, langue di tuo nome in bando.
      E il volto ha scarno.
           Odio chi ammira di Filippo il germe
      Ch’ha morte al fianco devastando l'orbe,
      Fossa di polve col possente assorbe.
      Seco l'inerme.
           Tu cogli, amico, dal giardino umìle
      Frutta, ristoro d'indigente brama;
      Di gloria nostra degli eroi la fama
      Sarà più vile.
           E al mormorante serpeggiar di linfa,
      Al molle zirlo d'augellin su i rami
      Versi cantiamo che ripeter ami
      Tenera Ninfa.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        A Diana

        Bella ch'osservi degli amanti i scherzi,
        E sorridendo, quando tutto dorme,
        Gli albi corsieri del tuo carro sferzi,
        Diva triforme;
             Spandi nel seno dei cantor pudico
        Candido raggio svegliator di modi,
        Ch'ei te mirando sopra un colle aprico
        Dirà tue lodi.
             Splendi tu dolce nel mio sen qual splende
        Della mia Clori la beante faccia,
        Che delle Grazie le virginee bende
        Al petto allaccia.
             Più di Ciprigna venerabil sei
        A me, o possente nel ferir le belve,
        Ch'offri riposo del pensieri miei
        Nelle tuo selve.
             Possa io mirarti fra le selve care
        Quando passeggia con tue ninfe Aprile;
        Ch'io ti prometto sul tuo casto altare
        Cerva gentile.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La rosa tarda

          Le bionde Grazie schiusero
          Al ghirlandato aprile
          Le verdi porte, e mancavi
          De' fiori il più gentile?
               Con le sue mani ambrosie
          L'innamorata Aurora
          Dal Cielo umor freschissimo
          Per lui non sparse ancora?
               Tu, fior splendente e semplice
          Come la mia vezzosa,
          Tu fra le spine floride
          Ancor non spunti, o Rosa.
               Mentre vedeati sorgere
          Il gajo Anacreonte
          Inni t'ergea cingendosi
          Di te la calva fronte.
               E in mezzo a danze e giubilo
          L'altrui chiamava aita
          Onde cantar tua morbida
          Foglia agli Iddii gradita.
               Tu sei trofeo di tenere
          Grazie, sei giuoco, o Rosa,
          D'amor nei giorni floridi
          A Citerea scherzosa.
               E che fia mai d'amabile
          Senza il bel fiore? infine
          Le Ninfe han braccia rosee,
          L'Alba le dita e il crine.
               Così cantava il vecchio
          Tejo poeta; Amore
          Dettava i carmi, memore
          Di te suo caro fiore.
               E a noi sei caro: immagine
          Tu delle guance sei
          Di Lei che tien l'imperio
          Su tutti gli atti miei.
               Di Lei che bella e fulgida
          In sua bellezza or viene,
          Che con un sguardo sforzami
          Baciar le mie catene.
               Ma sorgi ormai, purpuree
          Bel fiorellino, sorgi;
          Tu alla mia dolce vergine
          Gaja ghirlanda porgi.
               Su le sue chiome d'auro
          Tanto sarà più vaga
          Quanto vicino al latteo
          Seno che gli occhi impiaga.
               Deh! sorgi, o fior! l'armonico
          Plettro ch'Amor risuona
          Da tuo fragranti foglie
          Gentile avrà corona.
               E a questo sen medesimo
          Io ti porrò, bel fiore,
          Come verace effigie
          D'un innocente core.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            L'addio

            Or tra i romiti boschi
            Men vo, ma porto scolto
            Il tuo vezzoso volto
            In mezzo a questo sen.
            Fida ti serba: addio,
            Tenera Cloe, ben mio,
            Ah! D'un fedele amante,
            Cara, rammenta almen.
            Gorgheggeran gli augelli
            Fra l'inquïete frondi;
            O cara, ove t'ascondi?
            Io griderotti allor.
            Ah! mi parrà ogni cosa
            L'amica mia vezzosa,
            Ma tu rammenta almeno
            Il più fedele amor.
            Verrassi un venticello,
            E con pietosi giri
            Dirammi: Son sospiri
            Questi del fido ben.
            Ma fuggirà l'inganno,
            Sospiri non saranno;
            Chè forse non rammenti
            Il nome mio nemmen.
            Pastori e forosette
            Verran con faccia lieta,
            E al primo lor poeta
            Diran: Deh! Canta amor!
            Io mescerò frattanto
            À mesti versi il pianto,
            Ma tu rammenta almeno
            Un infelice ardor.
            Se nol rammenti, ah! Cloe,
            Rammentati ch'Amore
            È meco a tutte l'ore,
            E squarciami ogni vel;
            Dirà se tu sè amante,
            Dirà se sè incostante,
            E dir saprà se ognora
            Tu mi sarai fedel.
            Ma di te, dolce amica,
            Stolto, diffido invano,
            Chè benché in suol lontano
            Mi serberai nel sen.
            Cos'io ti serbo. Addio,
            Tenera Cloe, ben mio:
            Ah! Del più fido amante,
            O Cloe, rammenta almen.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              La sorpresa

              Odi de' versi miei,
              O pastorella, il suono,
              E ti prometto in dono
              Un nastro porporin.
              Venne fra' boschi tuoi
              A soggiornar la bella?
              E lei, se a lei saltella
              Vicino un agnellin.
                   Conoscer tu la puoi
              Dalle sue biondo chiome...
              Ma dir vorresti: E come
              Vestita qui sen va?
              Odi: qual te s'ammanta
              D'un gonnellin leggiero,
              Chè lascia il fasto altero
              All'invida città.
                   Ha leggiadretto il labbro,
              Neri e focosi i lumi,
              Ha placidi i costumi
              E gli atti al par di te.
              Già la conosci: or vanno
              A lei correndo, e dille:
              Fille, vezzosa Fille,
              Elpin ti chiama a sè.
                   Elpin? dirà... Sì Elpino,
              Tu le rispondi, e ascoso
              Là fra quel bosco ombroso
              Te sola attende Elpin.
              Vanne: già udisti quanto,
              O pastorella, aspetto,
              E in dono ti prometto
              Un nastro porporin.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                L'inchiesta

                Il Fratellin vezzoso,
                Sempre tu piangi, ei dice;
                Tenera età felice
                Che non conosco amor!
                     Ma ben verran quegli anni,
                Che il Fratellin vezzoso
                Non troverà riposo
                Nel passionato cor.
                     Quel roseo volto, i guardi
                Sì vivi e sì innocenti
                Li mirerò dolenti
                In atto di pietà.
                     Allor dirò: i miei pianti,
                Quand'eri pargoletto,
                Eran d'amore effetto,
                Effetto di beltà.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  La coltura

                  Non de' cantati secoli
                  Invidio i giorni aurati:
                  Purché tu il voglia, vivere
                  Potremo i dì beati.
                       Tu m'ami, io t'amo; un docile
                  Legame ambo ci annoda;
                  Tu me non credi instabile,
                  Da te non temo io froda.
                       Così gioia con Melide
                  Il Pastorello un giorno
                  Clio per sentiero incognito
                  La trasse a rio soggiorno.
                       Ma deh! ch'il puoi, l'immagini
                  Lascia di moda, e ognora
                  Sol di piacer desidera
                  A chi solo t'adora.
                       Bella tu sei, più candida
                  Non fin che tu sia mai,
                  S'anco ti desse Cinzio
                  I fulgidi suoi rai.
                       D'Amor, di Fe, di Venere
                  Antica è pur la face,
                  Ma nuova è ancor che amabile,
                  E nuovo è ciò che piace.
                       Mentre, il cantor di Cintia
                  Seco ad amar l'invita,
                  Le dice.- Amor è semplice,
                  Odia beltà mentita.
                       Negletta è ver, ma lucida
                  La chioma è di Nerea;
                  Tu incolta sembri Pallade,
                  Colta non sembri Dea.
                       Cresce la rosa, e innostrasi
                  Fresca da sè soltanto;
                  Più dolce è senza artefice
                  Degli augellini il canto.
                       Pari alla Dive olimpie
                  Elena ergea la chiome,
                  Ma ognor fra gli uomin d'Elena
                  Vive esecrato il nome.
                       Non perch'io tema o tenera
                  Amica, di tua fede:
                  In sì bel volto ingenuo
                  La purità risiede.
                       Risiede sì; ma candida
                  Di fregio altro non cura;
                  Ed ha ragion, ché vendica
                  I dritti suoi natura.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    All'amica incerta

                    Ferma, che fai? l'incauto
                    Piede ritira, e ascolto
                    Porgi ad un labbro ingenuo
                    Fino ch'il giogo hai sciolto.
                         Non fremi ancor? Ahi misera!
                    Il precipizio è aperto;
                    Mira lo scritto ferreo:
                    Alto infortunio e certo
                         Già semi-spenta lampada
                    Luce all'orror funèbre,
                    E mostra assai più orribili
                    L'orribili tenèbre.
                         Romito è il duol; le lagrime
                    Grondano ognor dirotte,
                    E sol fra veglie scorrono
                    L'ombre d'odiata notte.
                         Di', che farai? Già echeggiano
                    Le tombe, e i santi altari
                    Sol di singulti flebili,
                    Solo di voti amari.
                         Regna il digiuno; ei stringere
                    Aspro flagel tu vedi;
                    Pur disperato e languido
                    Geme dell'are ai piedi.
                         Gemi tu pure; e il gemito
                    Ch'a me su l'alma piomba,
                    Ah! t'aprirà cinerea
                    Troppo immatura tomba.
                         Se or non ti penti, ahi misera!
                    Fia il pentimento tardo;
                    Odi, tel dice squallida
                    L'amica d'Abelardo.
                         Vedi Eloisa: assidesi
                    Su scanno nero e scabro,
                    E bevo le sue lagrime
                    Collo sfiorito labro.
                         Abbi rispetto, o infausto
                    Amor, abbi rispetto
                    A quel tetro silenzio
                    Che mi dilania il petto:
                         Ella sì grida; e tacita
                    Prende la penna in mano,
                    E alfine ardisce scrivere
                    Ad amator profano.
                         Ah scrivi! ah scrivi! un barbaro
                    Non è dell'alme Dio,
                    Te involontaria vittima
                    L'altrui barbarie offrio.
                         Sull'ara augusta e candida
                    Arse l'incenso impuro;
                    Tremàr i cerei e il tempio
                    A quel tremendo giuro.
                         Ma tu, Eloisa tenera,
                    No, non temer; conosco
                    D'un cor sforzato a piangere
                    Dio le proterve angosce.
                          Tema flagello vindice
                    Chi sè spontaneo gli offre,
                    E gli ermi dì funerei
                    Con pago cor non soffre.
                         Ecco il tuo fato; in braccio
                    Per sempre a lui ti getta,
                    Ma di'? vedrai tu intrepida
                    L'affanno che t'aspetta?
                         Riedi e ne godi: o il debile
                    Tuo collo al giogo appresta;
                    Ma trema; Iddio si vendica
                    Del cor che lo calpesta
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