Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Arsenio

I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Xenia I

    Avevamo studiato per l'aldilà
    un fischio, un segno di riconoscimento.
    Mi provo a modularlo nella speranza
    che tutti siamo già morti senza saperlo.
    Non ho mai capito se io fossi
    il tuo cane fedele e incimurrito
    o tu lo fossi per me.
    Per gli altri no, eri un insetto miope
    smarrito nel blabla
    dell'alta società. Erano ingenui
    quei furbi e non sapevano
    di essere loro il tuo zimbello:
    di esser visti anche al buio e smascherati
    da un tuo senso infallibile, dal tuo
    radar di pipistrello.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La Storia

      La storia non si snoda
      come una catena
      di anelli ininterrotta.
      In ogni caso
      molti anelli non tengono.
      La storia non contiene
      il prima e il dopo,
      nulla che in lei borbotti
      a lento fuoco.
      La storia non è prodotta
      da chi la pensa e neppure
      da chi l'ignora. La storia
      non si fa strada, si ostina,
      detesta il poco a poco, non procede
      né recede, si sposta di binario
      e la sua direzione
      non è nell'orario.
      La storia non giustifica
      e non deplora,
      la storia non è intrinseca
      perché è fuori.
      La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
      La storia non è magistra
      di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
      a farla più vera e più giusta.
      La storia non è poi
      la devastante ruspa che si dice.
      Lascia sottopassaggi, cripte, buche
      e nascondigli. C'è chi sopravvive.
      La storia è anche benevola: distrugge
      quanto più può: se esagerasse, certo
      sarebbe meglio, ma la storia è a corto
      di notizie, non compie tutte le sue vendette.
      La storia gratta il fondo
      come una rete a strascico
      con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
      Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
      d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
      Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
      Gli altri, nel sacco, si credono
      più liberi di lui.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La Bufera

        La bufera che sgronda sulle foglie
        dure della magnolia i lunghi tuoni
        marzolini e la grandine,
        (i suoni di cristallo nel tuo nido
        notturno ti sorprendono, dell'oro
        che s'è spento sui mogani, sul taglio
        dei libri rilegati, brucia ancora
        una grana di zucchero nel guscio
        delle tue palpebre)
        il lampo che candisce
        alberi e muro e li sorprende in quella
        eternità d'istante - marmo manna
        e distruzione - ch'entro te scolpita
        porti per tua condanna e che ti lega
        più che l'amore a me, strana sorella, -
        e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
        dei tamburelli sulla fossa fuia,
        lo scalpicciare del fandango, e sopra
        qualche gesto che annaspa...
        Come quando
        ti rivolgesti e con la mano, sgombra
        la fronte dalla nube dei capelli,
        mi salutasti - per entrar nel buio.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La belle dame sans merci

          Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
          le briciole di pane che io gettavo
          sul tuo balcone perché tu sentissi
          anche chiusa nel sonno le loro strida.

          Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
          e il nostro breakfast gela fra cataste
          per me di libri inutili e per te di reliquie
          che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

          Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
          sui fondali di calce del mattino;
          ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
          soffocato è il bagliore dell'accendino.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Di un Natale metropolitano

            Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
            di fede e di pruina sul tuo lavandino
            e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
            i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
            di ragazzi infilati un po' alla svelta
            nella cornice, una caraffa vuota,
            bicchierini di cenere e di bucce,
            le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
            le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
            non più guerra né pace, il tardo frullo
            di un piccione incapace di seguirti
            sui gradini automatici che ti slittano in giù….
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Meriggiare pallido e assorto

              Meriggiare pallido e assorto
              presso un rovente muro d'orto,
              ascoltare tra i pruni e gli sterpi
              schiocchi di merli, frusci di serpi.

              Nelle crepe del suolo o su la veccia
              spiar le file di rosse formiche
              ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
              a sommo di minuscole biche.

              Osservare tra frondi il palpitare
              lontano di scaglie di mare
              mentre si levano tremuli scricchi
              di cicale dai calvi picchi.

              E andando nel sole che abbaglia
              sentire con triste meraviglia
              com'è tutta la vita e il suo travaglio
              in questo seguitare una muraglia
              che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                I limoni

                Ascoltami, i poeti laureati
                si muovono soltanto fra le piante
                dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
                Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
                fossi dove in pozzanghere
                mezzo seccate agguantano i ragazzi
                qualche sparuta anguilla:
                le viuzze che seguono i ciglioni,
                discendono tra i ciuffi delle canne
                e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

                Meglio se le gazzarre degli uccelli
                si spengono inghiottite dall'azzurro:
                più chiaro si ascolta il susurro
                dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
                e i sensi di quest'odore
                che non sa staccarsi da terra
                e piove in petto una dolcezza inquieta.
                Qui delle divertite passioni
                per miracolo tace la guerra,
                qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
                ed è l'odore dei limoni.

                Vedi, in questi silenzi in cui le cose
                s'abbandonano e sembrano vicine
                a tradire il loro ultimo segreto,
                talora ci si aspetta
                di scoprire uno sbaglio di Natura,
                il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
                il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
                nel mezzo di una verità
                Lo sguardo fruga d'intorno,
                la mente indaga accorda disunisce
                nel profumo che dilaga
                quando il giorno più languisce.
                Sono i silenzi in cui si vede
                in ogni ombra umana che si allontana
                qualche disturbata Divinità

                Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
                nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
                soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
                La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
                il tedio dell'inverno sulle case,
                la luce si fa avara - amara l'anima.
                Quando un giorno da un malchiuso portone
                tra gli alberi di una corte
                ci si mostrano i gialli dei limoni;
                e il gelo del cuore si sfa,
                e in petto ci scrosciano
                le loro canzoni
                le trombe d'oro della solarità.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Al mare (o quasi)

                  L'ultima cicala stride
                  sulla scorza gialla dell'eucalipto
                  i bambini raccolgono pinòli
                  indispensabili per la galantina
                  un cane alano urla dall'inferriata
                  di una villa ormai disabitata
                  le ville furono costruite dai padri
                  ma i figli non le hanno volute
                  ci sarebbe spazio per centomila terremotati
                  di qui non si vede nemmeno la proda
                  se può chiamarsi cosí quell'ottanta per cento
                  ceduta in uso ai bagnini
                  e sarebbe eccessivo pretendervi
                  una pace alcionica
                  il mare è d'altronde infestato
                  mentre i rifiuti in totale
                  formano ondulate collinette plastiche
                  esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
                  i deliziosi figli della ruggine
                  gli scriccioli o reatini come spesso
                  li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
                  di magnolia l'etichetta di un pediatra
                  ma qui i bambini volano in bicicletta
                  e non hanno bisogno delle sue cure
                  Chi vuole respirare a grandi zaffate
                  la musa del nostro tempo la precarietà
                  può passare di qui senza affrettarsi
                  è il colpo secco quello che fa orrore
                  non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
                  Hic manebimus se vi piace non proprio
                  ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
                  alla morte ( e questa piace solo ai giovani)
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
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                    Non chiederci la parola

                    Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
                    l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
                    lo dichiari e risplenda come un croco
                    perduto in mezzo a un polveroso prato.

                    Ah l'uomo che se ne va sicuro,
                    agli altri ed a se stesso amico,
                    e l'ombra sua non cura che la canicola
                    stampa sopra uno scalcinato muro!

                    Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
                    sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
                    Codesto solo oggi possiamo dirti,
                    ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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