Gelido il vento pè lunghi e candidi Intercolonnii fería; sù tumuli Di garzonetti e spose Rabbrividian le rose Sotto la pioggia, che, lenta, assidua, Sottil, da un grigio cielo di maggio Battea con faticoso Metro il piano fangoso; Quando, percossa d'un lieve tremito, Ella il bel velo d'intorno a gli omeri raccolto al seno avvinse E tutta a me si strinse: Voluttuosa ne l'atto languido Tra i gotici archi, quale trà larici Gentil palma volgente Al nativo oriente. Guardò serena per entro i lugubri Luoghi di morte; levò la tenue Fronte, pallida e bella, Tra le floride anella Che a l'agil collo scendendo incaute Tutta di molle fulgor la irradiano: E piovvemi nel cuore Sguardi e accenti d'amore Lunghi, soavi, profondi: eolia Cetra non rese piú dolci gemiti Mai né sì molli spirti Di Lesbo un dí tra i mirti. Su i muti in tanto marmi la serica Vesta strisciava con legger sibilo, Spargéanmi al viso i venti Le sue chiome fluenti. Non mai le tombe sí belle apparvero A me nei primi sogni di gloria Oh amor, solenne e forte Come il suggel di morte! Oh delibato fra i sospir trepidi Su i cari labri fiore de l'anima E intraviste nè baci Interminate paci! Oh favolosi prati d'Elisio, Pieni di cetre, di ludi eroici E del purpureo raggio Di non fallace maggio, Ove in disparte bisbigliando errano (Né patto umano né destin ferreo L'un da l'altra divelle) I poeti e le belle!
Un giorno perdoneranno se presto ci togliamo di mezzo. Perdoneranno. Un giorno. Ma la distorsione del tempo il corso della vita deviato su false piste l'emorragia dei giorni dal varco del corrotto intendimento: questo no, non lo perdoneranno. Non si perdona a una donna un amore bugiardo, l'ameno paesaggio d'acque e foglie che si squarcia svelando radici putrefatte, melma nera. "D'amore non esistono peccati, s'infuriava un poeta ai tardi anni, esistono soltanto peccati contro l'amore". E questi no, non li perdoneranno.
L'amore, tra me e me, è così impalpabile, così sereno, così in sé, come l'aria invisibile, come l'acqua invisibile, tra la luna del cielo e la luna del fiume.
Destino! Che albero invisibile e infinito dà il tuo frutto, che l'anima a volte raccoglie, matur0?
Quali di queste idee sono i tuoi rami, di questi sentimenti sono i tuoi fiori, di queste canzoni sono i tuoi uccelli, di questi sorrisi i tuoi profumi?
Cosa alimenta le tue radici? In che modo, da dove, come in questo limone dalla mia finestra, tu entri nella nostra stanza più interna e lì sfiori, dolcemente, il cuore?
Le dicevano: - Bambina! Che tu non lasci mai stesa, dalla sera alla mattina, ma porta dove l'hai presa, la tovaglia bianca, appena ch'è terminata la cena! Bada, che vengono i morti! I tristi, i pallidi morti! Entrano, ansimano muti. Ognuno è tanto mai stanco! E si fermano seduti la notte intorno a quel bianco. Stanno lì sino al domani, col capo tra le due mani, senza che nulla si senta, sotto la lampada spenta. - È già grande la bambina: la casa regge, e lavora: fa il bucato e la cucina, fa tutto al modo d'allora. Pensa a tutto, ma non pensa a sparecchiare la mensa. Lascia che vengano i morti, i buoni, i poveri morti. Oh! la notte nera nera, di vento, d'acqua, di neve, lascia ch'entrino da sera, col loro anelito lieve; che alla mensa torno torno riposino fino a giorno, cercando fatti lontani col capo tra le due mani. Dalla sera alla mattina, cercando cose lontane, stanno fissi, a fronte china, su qualche bricia di pane, e volendo ricordare, bevono lagrime amare. Oh! non ricordano i morti, i cari, i cari suoi morti! - Pane, sì... pane si chiama, che noi spezzammo concordi: ricordate?... È tela, a dama: ce n'era tanta: ricordi?... Queste?... Queste sono due, come le vostre e le tue, due nostre lagrime amare cadute nel ricordare! -.
Ricordi quand'eri saggina, coi penduli grani che il vento scoteva, come una manina di bimbo il sonaglio d'argento? Cadeva la brina; la pioggia cadeva: passavano uccelli gemendo: tu gracile e roggia tinnivi coi cento ramelli. Ed oggi non più come ieri tu senti la pioggia e la brina, ma sgrigioli come quand'eri saggina. Restavi negletta nei solchi quand'ogni pannocchia fu colta: te, colsero, quando i bifolchi v'ararono ancora una volta. Un vecchio ti prese, recise, legò; ti privò della bella semenza tua rossa; e ti mise nell'angolo, ad essere ancella. E in casa tu resti, in un canto, negletta qui come laggiù; ma niuno è di casa pur quanto sei tu. Se t'odia colui che la trama distende negli alti solai, l'arguta gallina pur t'ama, cui porti la preda che fai. E t'ama anche senza, ché ai costi ti sbalza, ed i grani t'invola, residui del tempo che fosti saggina, nei campi già sola. Ma più, gracilando t'aspetta con ciò che in tua vasta rapina le strascichi dalla già netta cucina. Tu lasci che t'odiino, lasci che t'amino: muta, il tuo giorno, nell'angolo, resti, coi fasci di stecchi che attendono il forno. Nell'angolo il giorno tu resti, pensosa del canto del gallo; se al bimbo tu già non ti presti, che viene, e ti vuole cavallo. Riporti, con lui che ti frena, le paglie ch'hai tolte, e ben più; e gioia or n'ha esso; ma pena poi tu. Sei l'umile ancella; ma reggi la casa: tu sgridi a buon'ora, mentre impaziente passeggi, gl'ignavi che dormono ancora. E quanto tu muovi dal canto, la rondine è ancora nel nido; e quando comincia il suo canto, già ode per casa il tuo strido. E l'alba il suo cielo rischiara, ma prima lo spruzza e imperlina, così come tu la tua cara casina. Sei l'umile ancella, ma regni su l'umile casa pulita. Minacci, rimproveri; insegni ch'è bella, se pura, la vita. Insegni, con l'acre tua cura rodendo la pietra e la creta, che sempre, per essere pura, si logora l'anima lieta. Insegni, tu sacra ad un rogo non tardo, non bello, che più di ciò che tu mondi, ti logori tu!
Laggiù, nella notte, tra scosse d'un lento sonaglio, uno scalpito è fermo. Non anco son rosse le cime dell'Alpi. Nel cielo d'un languido azzurro, le stelle si sbiancano appena: si sente un confuso sussurro nell'aria serena. Chi passa per tacite strade? Chi parla da tacite soglie? Nessuno. È la guazza che cade sopr'aride foglie. Si parte, ch'è ora, né giorno, sbarrando le vane pupille; si parte tra un murmure intorno di piccole stille. In mezzo alle tenebre sole, qualcuna riluce un minuto; riflette il tuo Sole, o mio Sole; poi cade: ha veduto.