Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Alessandrina

Gelido il vento pè lunghi e candidi
Intercolonnii fería; sù tumuli
Di garzonetti e spose
Rabbrividian le rose
Sotto la pioggia, che, lenta, assidua,
Sottil, da un grigio cielo di maggio
Battea con faticoso
Metro il piano fangoso;
Quando, percossa d'un lieve tremito,
Ella il bel velo d'intorno a gli omeri
raccolto al seno avvinse
E tutta a me si strinse:
Voluttuosa ne l'atto languido
Tra i gotici archi, quale trà larici
Gentil palma volgente
Al nativo oriente.
Guardò serena per entro i lugubri
Luoghi di morte; levò la tenue
Fronte, pallida e bella,
Tra le floride anella
Che a l'agil collo scendendo incaute
Tutta di molle fulgor la irradiano:
E piovvemi nel cuore
Sguardi e accenti d'amore
Lunghi, soavi, profondi: eolia
Cetra non rese piú dolci gemiti
Mai né sì molli spirti
Di Lesbo un dí tra i mirti.
Su i muti in tanto marmi la serica
Vesta strisciava con legger sibilo,
Spargéanmi al viso i venti
Le sue chiome fluenti.
Non mai le tombe sí belle apparvero
A me nei primi sogni di gloria
Oh amor, solenne e forte
Come il suggel di morte!
Oh delibato fra i sospir trepidi
Su i cari labri fiore de l'anima
E intraviste nè baci
Interminate paci!
Oh favolosi prati d'Elisio,
Pieni di cetre, di ludi eroici
E del purpureo raggio
Di non fallace maggio,
Ove in disparte bisbigliando errano
(Né patto umano né destin ferreo
L'un da l'altra divelle)
I poeti e le belle!
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Quei bambini che giocano

    Un giorno perdoneranno
    se presto ci togliamo di mezzo.
    Perdoneranno. Un giorno.
    Ma la distorsione del tempo
    il corso della vita deviato su false piste
    l'emorragia dei giorni
    dal varco del corrotto intendimento:
    questo no, non lo perdoneranno.
    Non si perdona a una donna un amore bugiardo,
    l'ameno paesaggio d'acque e foglie
    che si squarcia svelando
    radici putrefatte, melma nera.
    "D'amore non esistono peccati,
    s'infuriava un poeta ai tardi anni,
    esistono soltanto peccati contro l'amore".
    E questi no, non li perdoneranno.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Destino! Che albero invisibile e infinito

      Destino! Che albero invisibile e infinito
      dà il tuo frutto, che l'anima
      a volte raccoglie, matur0?

      Quali di queste idee sono i tuoi rami,
      di questi sentimenti sono i tuoi fiori,
      di queste canzoni sono i tuoi uccelli,
      di questi sorrisi i tuoi profumi?

      Cosa alimenta le tue radici?
      In che modo, da dove, come in questo limone
      dalla mia finestra, tu entri
      nella nostra stanza più interna
      e lì sfiori, dolcemente, il cuore?
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Canzone

        Quando le tue mani erano luna,
        colsero dal giardino del cielo
        i tuoi occhi, violette divine.

        Che nostalgia, quando i tuoi occhi
        ricordano, di notte, il loro cespo
        alla luce morta delle tue mani!

        Tutta la mia anima, col suo mondo,
        metto nei miei occhi della terra,
        per ammirarti, moglie splendida!

        Non incontreranno le tue due violette
        il leggiadro luogo a cui elevo
        cogliendo nella mia anima l'increato?
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Incontro di due mani

          Incontro di due mani
          in cerca di stelle,
          nella notte!

          Con che pressione immensa
          si sentono le purezze immortali!

          Dolci, quelle due dimenticano
          la loro ricerca senza sosta,
          e incontrano, un istante,
          nel loro circolo chiuso,
          quel che cercavano da sole.

          Rassegnazione d'amore,
          tanto infinita come l'impossibile!
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La Tovaglia

            Le dicevano: - Bambina!
            Che tu non lasci mai stesa,
            dalla sera alla mattina,
            ma porta dove l'hai presa,
            la tovaglia bianca, appena
            ch'è terminata la cena!
            Bada, che vengono i morti!
            I tristi, i pallidi morti!
            Entrano, ansimano muti.
            Ognuno è tanto mai stanco!
            E si fermano seduti
            la notte intorno a quel bianco.
            Stanno lì sino al domani,
            col capo tra le due mani,
            senza che nulla si senta,
            sotto la lampada spenta. -
            È già grande la bambina:
            la casa regge, e lavora:
            fa il bucato e la cucina,
            fa tutto al modo d'allora.
            Pensa a tutto, ma non pensa
            a sparecchiare la mensa.
            Lascia che vengano i morti,
            i buoni, i poveri morti.
            Oh! la notte nera nera,
            di vento, d'acqua, di neve,
            lascia ch'entrino da sera,
            col loro anelito lieve;
            che alla mensa torno torno
            riposino fino a giorno,
            cercando fatti lontani
            col capo tra le due mani.
            Dalla sera alla mattina,
            cercando cose lontane,
            stanno fissi, a fronte china,
            su qualche bricia di pane,
            e volendo ricordare,
            bevono lagrime amare.
            Oh! non ricordano i morti,
            i cari, i cari suoi morti!
            - Pane, sì... pane si chiama,
            che noi spezzammo concordi:
            ricordate?... È tela, a dama:
            ce n'era tanta: ricordi?...
            Queste?... Queste sono due,
            come le vostre e le tue,
            due nostre lagrime amare
            cadute nel ricordare! -.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              La canzone della granata

              Ricordi quand'eri saggina,
              coi penduli grani che il vento
              scoteva, come una manina
              di bimbo il sonaglio d'argento?
              Cadeva la brina; la pioggia
              cadeva: passavano uccelli
              gemendo: tu gracile e roggia
              tinnivi coi cento ramelli.
              Ed oggi non più come ieri
              tu senti la pioggia e la brina,
              ma sgrigioli come quand'eri
              saggina.
              Restavi negletta nei solchi
              quand'ogni pannocchia fu colta:
              te, colsero, quando i bifolchi
              v'ararono ancora una volta.
              Un vecchio ti prese, recise,
              legò; ti privò della bella
              semenza tua rossa; e ti mise
              nell'angolo, ad essere ancella.
              E in casa tu resti, in un canto,
              negletta qui come laggiù;
              ma niuno è di casa pur quanto
              sei tu.
              Se t'odia colui che la trama
              distende negli alti solai,
              l'arguta gallina pur t'ama,
              cui porti la preda che fai.
              E t'ama anche senza, ché ai costi
              ti sbalza, ed i grani t'invola,
              residui del tempo che fosti
              saggina, nei campi già sola.
              Ma più, gracilando t'aspetta
              con ciò che in tua vasta rapina
              le strascichi dalla già netta
              cucina.
              Tu lasci che t'odiino, lasci
              che t'amino: muta, il tuo giorno,
              nell'angolo, resti, coi fasci
              di stecchi che attendono il forno.
              Nell'angolo il giorno tu resti,
              pensosa del canto del gallo;
              se al bimbo tu già non ti presti,
              che viene, e ti vuole cavallo.
              Riporti, con lui che ti frena,
              le paglie ch'hai tolte, e ben più;
              e gioia or n'ha esso; ma pena
              poi tu.
              Sei l'umile ancella; ma reggi
              la casa: tu sgridi a buon'ora,
              mentre impaziente passeggi,
              gl'ignavi che dormono ancora.
              E quanto tu muovi dal canto,
              la rondine è ancora nel nido;
              e quando comincia il suo canto,
              già ode per casa il tuo strido.
              E l'alba il suo cielo rischiara,
              ma prima lo spruzza e imperlina,
              così come tu la tua cara
              casina.
              Sei l'umile ancella, ma regni
              su l'umile casa pulita.
              Minacci, rimproveri; insegni
              ch'è bella, se pura, la vita.
              Insegni, con l'acre tua cura
              rodendo la pietra e la creta,
              che sempre, per essere pura,
              si logora l'anima lieta.
              Insegni, tu sacra ad un rogo
              non tardo, non bello, che più
              di ciò che tu mondi, ti logori
              tu!
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La Guazza

                Laggiù, nella notte, tra scosse
                d'un lento sonaglio, uno scalpito
                è fermo. Non anco son rosse
                le cime dell'Alpi.
                Nel cielo d'un languido azzurro,
                le stelle si sbiancano appena:
                si sente un confuso sussurro
                nell'aria serena.
                Chi passa per tacite strade?
                Chi parla da tacite soglie?
                Nessuno. È la guazza che cade
                sopr'aride foglie.
                Si parte, ch'è ora, né giorno,
                sbarrando le vane pupille;
                si parte tra un murmure intorno
                di piccole stille.
                In mezzo alle tenebre sole,
                qualcuna riluce un minuto;
                riflette il tuo Sole, o mio Sole;
                poi cade: ha veduto.
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