Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Nevicata

Nevica: l'aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi: un balbettìo di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Il poeta solitario

    O dolce usignolo che ascolto
    (non sai dove), in questa gran pace
    cantare cantare tra il folto,
    là, dei sanguini e delle acace;
    t'ho presa - perdona, usignolo -
    una dolce nota, sol una,
    ch'io canto tra me, solo solo,
    nella sera, al lume di luna.
    E pare una tremula bolla
    tra l'odore acuto del fieno,
    un molle gorgoglio di polla,
    un lontano fischio di treno...
    Chi passa, al morire del giorno,
    ch'ode un fischio lungo laggiù
    riprende nel cuore il ritorno
    verso quello che non è più.
    Si trova al nativo villaggio,
    vi ritrova quello che c'era:
    l'odore di mesi-di-maggio
    buon odor di rose e di cera.
    Ne ronzano le litanie,
    come l'api intorno una culla:
    ci sono due voci sì pie!
    Di sua madre e d'una fanciulla.
    Poi fatto silenzio, pian piano,
    nella nota mia, che t'ho presa,
    risente squillare il lontano
    campanello della sua chiesa.
    Riprende l'antica preghiera,
    ch'ora ora non ha perché;
    si trova con quello che c'era,
    ch'ora ora ora non c'è...
    Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
    ma di notte, perch'ho vergogna.
    O alato, io qui vivo nel fango.
    Sono un gramo rospo che sogna.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Fanciullo Mendico (Canti di Castelvecchio)

      Ho nel cuore la mesta parola
      d'un bimbo ch'all'uscio mi viene.
      Una lagrima sparsi, una sola,
      per tante sue povere pene;
      e pur quella pensai che vanisse
      negl'ispidi riccioli ignota:
      egli alzò le pupille sue fisse,
      sentendosi molle la gota.
      E io, quasi chiedendo perdono,
      gli tersi la stilla smarrita,
      con un bacio, e ponevo il mio dono
      tra quelle sue povere dita.
      Ed allora ne intesi nel cuore
      la voce che ancora vi sta:
      Non li voglio: non voglio, signore,
      che scemi le vostra pietà.
      E quand'egli già fuor del cancello
      riprese il solingo sentiero,
      io sentii, che, il suo grave fardello,
      godeva a portarselo intiero:
      e chiamava sua madre, che sorta
      pareva da nebbie lontane,
      a vederlo; poi ch'erano, morta
      lei, morta! Ma lui senza pane.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Temporale

        È mezzodì. Rintomba.
        Tacciono le cicale
        nelle stridule seccie.
        E chiaro un tuon rimbomba
        dopo uno stanco, uguale,
        rotolare di breccie.
        Rondini ad ali aperte
        fanno echeggiar la loggia
        dè lor piccoli scoppi.
        Già, dopo l'afa inerte,
        fanno rumor di pioggia
        le fogline dei pioppi.
        Un tuon sgretola l'aria.
        Sembra venuto sera.
        Picchia ogni anta su l'anta.
        Serrano. Solitaria
        s'ode una capinera,
        là, che canta... che canta...
        E l'acqua cade, a grosse
        goccie, poi giù a torrenti,
        sopra i fumidi campi.
        S'è sfatto il cielo: a scosse
        v'entrano urlando i venti
        e vi sbisciano i lampi.
        Cresce in un gran sussulto
        l'acqua, dopo ogni rotto
        schianto ch'aspro diroccia;
        mentre, col suo singulto
        trepido, passa sotto
        l'acquazzone una chioccia.
        Appena tace il tuono,
        che quando al fin già pare,
        fa tremare ogni vetro,
        tra il vento e l'acqua, buono,
        s'ode quel croccolare
        cò suoi pigolìi dietro.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il cuore del cipresso

          O cipresso, che solo e nero stacchi
          dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
          irto di cardi e stridulo di biacchi:

          in te sovente, al tempo delle more,
          odono i bimbi un pispillìo secreto,
          come d'un nido che ti sogni in cuore.

          L'ultima cova. Tu canti sommesso
          mentre s'allunga l'ombra taciturna
          nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
          ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

          Più brevi i giorni,
          e l'ombra ogni dì meno
          s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
          e il sole è freddo e pallido il sereno.

          L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
          nell'ombra ove le stelle errano sole.
          E il rovo arrossa e con le spine ingombra

          tutti i sentieri, e cadono già roggie
          le foglie intorno (indifferente oscilla
          l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
          fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

          E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
          il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
          tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

          E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
          l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
          di nebbia nera tra la grigia nebbia.

          E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
          la neve, muta a guisa del pensiero,
          cade. Tra il bianco e tacito franare
          tu stai, gigante immobilmente nero.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il Pesco

            Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
            di vecchi morti; ove a dormir con essi
            niuno più scende; sempre chiuso; nero
            d'alti cipressi.
            Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
            di là dell'erto muro e delle porte
            ch'hanno obliato i cardini, si crede
            morta la Morte,
            anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
            sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
            vivo, dal muro sporgere un sottile
            ramo di pesco.
            Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
            sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
            Ed ora invidii i mandorli che indora
            l'alba negli orti?
            Od i cipressi, gracile e selvaggio,
            dimenticàti, col tuo riso allieti,
            tu trovatello in un eremitaggio
            d'anacoreti?
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              Lavandare

              Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
              resta un aratro senza buoi, che pare
              dimenticato, tra il vapor leggero.
              E cadenzato dalla gora viene
              lo sciabordare delle lavandare
              con tonfi spessi e lunghe cantilene:
              Il vento soffia e nevica la frasca,
              e tu non torni ancora al tuo paese!
              Quando partisti, come son rimasta!
              Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Viole d'inverno

                - Donde, o vecchina, queste violette
                serene come un lontanar di monti
                nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
                tutte le fonti;
                il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
                ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
                - Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
                geme una polla.
                Là noi sciacquiamo il candido bucato
                nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
                e il poggio è pieno di viole, e il prato
                di pratelline. -
                Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
                tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
                Non è la polla, calda nell'oblio
                freddo del cielo?
                Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
                se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
                spunta, al tepor dell'anima tua pura,
                qualche viola.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Il Bosco

                  O vecchio bosco pieno d'albatrelli,
                  che sai di funghi e spiri la malìa,
                  cui tutto io già scampanellare udìa
                  di cicale invisibili e d'uccelli:
                  in te vivono i fauni ridarelli
                  ch'hanno le sussurranti aure in balìa;
                  vive la ninfa, e i passi lenti spia,
                  bionda tra le interrotte ombre i capelli.
                  Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
                  or sì or no, che se il desìo le vinca,
                  l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.
                  Dileguano; e pur viva è la boscaglia,
                  viva sempre nè fior della pervinca
                  e nelle grandi ciocche dell'acacia.
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