Si muove il cielo, tacito e lontano: la terra dorme, e non la vuol destare; dormono l'acque, i monti, le brughiere. Ma no, ché sente sospirare il mare, gemere sente le capanne nere: v'è dentro un bimbo che non può dormire: piange; e le stelle passano pian piano.
È la sera: piano piano passa il prete paziente, salutando della mano ciò che vede e ciò che sente. Tutti e tutto il buon piovano benedice santamente: anche il loglio, là, nel grano; qua, nè fiori, anche il serpente. Ogni ramo, ogni uccellino sì del bosco e sì del tetto, nel passare ha benedetto: anche il falco, anche il falchetto nero in mezzo al ciel turchino, anche il corvo, anche il becchino, poverino, che lassù nel cimitero raspa raspa il giorno intiero.
Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto: un sorriso mi sembra ora quel pianto. Rivedo i luoghi dove ho già sorriso... Oh! Come lacrimoso quel sorriso!
Si ferma, e già fischia, ed insieme, tra il ferreo strepito del treno, si sente una squilla che geme, là da un paesello sereno, paesello lungo la via: Ave Maria... Un poco, tra l'ansia crescente della nera vaporiera, l'addio della sera si sente seguire come una preghiera, seguire il treno che s'avvia: Ave Maria... E, come se voglia e non voglia, il treno nel partir vacilla: quel suono ci chiama alla soglia e alla lampada che brilla, nella casa, ch'è una badia: Ave Maria... Il padre a quel suono rincasa facendo un passo ad ogni tocco; e subito all'uscio di casa trova il visino del suo cocco, del più piccino che ci sia... Ave Maria... Si chiude, la casa; e s'appanna d'un tratto il vocerìo che c'è; si chiude, ristringe, accapanna, per parlare tra sé e sé; e saluta la compagnia... Ave Maria... O, tinta d'un lieve rossore, casina che sorridi al sole! Per noi c'è la notte con l'ore lunghe lunghe, con l'ore sole, con l'ore di malinconia... Ave Maria... Il treno già vola e ci porta sbuffando l'alito di fuoco; e ancora nell'aria più smorta ci giunge quell'addio più fioco, dal paese che fugge via: Ave Maria... E cessa. Ma uno che vuole velar gli occhi, pensar lontano, tra gemiti e strilli e parole, tra il frastuono or tremolo or piano, ode il suono che non s'oblia: Ave Maria... Con l'uomo che va nella notte, tra gli aspri urli, i lunghi racconti del treno che corre per grotte di monti, sopra lenti ponti, vien nell'ombrìa la voce pia: Ave Maria...
Noi mentre il mondo va per la sua strada, noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno, e perché vada, e perché lento vada. Tal, quando passa il grave carro avanti del casolare, che il rozzon normanno stampa il suolo con zoccoli sonanti, sbuca il can dalla fratta, come il vento; lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia. Il carro è dilungato lento lento. Il cane torna sternutando all'aia.
Vidi il mio sogno sopra il monte in cima; era una striscia pallida, cò suoi Boschi d'un verde quale mai né prima vidi né poi. Prima, il sonante nembo coi velari, tutto ascondeva, delle nubi nere: poi, tutto il sole disvelò del pari bello a vedere. Ma quel mio sogno al raggio d'un'aurora nuova m'apparve e sparve in un baleno, che il ciel non era torbo più né ancora tutto sereno.
Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne. Ci sono in cielo tutte le stelle, ci sono i lumi nelle capanne. Sono venute dai monti oscuri le ciaramelle senza dir niente; hanno destata nè suoi tuguri tutta la buona povera gente. Ognuno è sorto dal suo giaciglio; accende il lume sotto la trave; sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio, di cauti passi, di voce grave. Le pie lucerne brillano intorno, là nella casa, qua su la siepe: sembra la terra, prima di giorno, un piccoletto grande presepe. Nel cielo azzurro tutte le stelle paion restare come in attesa; ed ecco alzare le ciaramelle il loro dolce suono di chiesa; suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla. O ciaramelle degli anni primi, d'avanti il giorno, d'avanti il vero, or che le stelle son là sublimi, conscie del nostro breve mistero; che non ancora si pensa al pane, che non ancora s'accende il fuoco; prima del grido delle campane fateci dunque piangere un poco. Non più di nulla, sì di qualcosa, di tante cose! Ma il cuor lo vuole, quel pianto grande che poi riposa, quel gran dolore che poi non duole; sopra le nuove pene sue vere vuol quei singulti senza ragione: sul suo martòro, sul suo piacere, vuol quelle antiche lagrime buone!
Nelle case, dove ancora si ragiona coi vicini presso al fuoco, e già la nuora porta a nanna i suoi bambini, uno in collo e due per mano; pel camino nero il vento, tra lo scoppiettar dei ciocchi, porta un suono lungo e lento, tre, poi cinque, sette tocchi, da un paese assai lontano: tre, poi cinque e sette voci, lente e languide, di gente: voci dal borgo alle croci, gente che non ha più niente: - Fate piano! Piano! Piano! Non vogliamo saper nulla: notte? Giorno? Verno? State? Piano, voi, con quella culla! Che non pianga il bimbo... Fate piano! Piano! Piano! Piano! Non vogliamo ricordare vino e grano, monte e piano, la capanna, il focolare, mamma, bimbi... Fate piano! Piano! Piano! Piano! Piano!
Passò strosciando e sibilando il nero nembo: or la chiesa squilla; il tetto, rosso, luccica; un fresco odor dal cimitero viene, di bosso. Presso la chiesa; mentre la sua voce tintinna, canta, a onde lunghe romba; ruzza uno stuolo, ed alla grande croce tornano a bomba. Un vel di pioggia vela l'orizzonte; ma il cimitero, sotto il ciel sereno, placido olezza: va da monte a monte l'arcobaleno.
Siamo soli. Bianca l'aria vola come in un mulino. Nella terra solitaria siamo in due, sempre in cammino. Soli i miei, soli i tuoi stracci per le vie. Non altro suono che due gridi: - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! Stacci! Stacci! Io di qua, battendo i denti, tu di là, pestando i piedi: non ti vedo e tu mi senti; io ti sento, e non mi vedi. Noi gettiamo i nostri urlacci, come cani in abbandono fuor dell'uscio: - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! Stacci! Stacci! Questa terra ha certe porte, che ci s'entra e non se n'esce. È il castello della morte. S'ode qui l'erba che cresce: crescer l'erba e i rosolacci qui, di notte, al tempo buono: ma nient'altro... - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! Stacci! Stacci! C'incontriamo... Io ti derido?! No, compagno nello stento! No, fratello! È un vano grido che gettiamo al freddo vento. Né c'è un viso che s'affacci per dire, Eh! Spazzacamino!... per dire, Oh! Quel vecchiettino degli stacci... degli stacci!... - stacci! Stacci!