Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi stanno i nostri libri. Sono un prigioniero, madre mia, che ritorna al paese da una fortezza nemica. È l'una di notte la lampada è ancora accesa. Al mio fianco è coricata mia moglie mia moglie incinta di cinque mesi. Quando la mia carne tocca la sua quando le poso la mano sul ventre il bimbo si muove un poco. Sul ramo la foglia nell'acqua il pesce nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo. La camiciola di lana rosa per il mio bambino l'ha sferruzata sua madre è grande come la mia mano con le maniche appena così. Mio piccolo. Se sarà femmina voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi, s'è maschio, che sia della mia statura. S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato s'è maschio, azzurri. Mio piccolo. Non voglio che a vent'anni t'ammazzino se sei maschio, al fronte se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte. Mio piccolo. Femmina o maschio a qualsiasi età non voglio che tu conosca il carcere per essere stato dalla parte del giusto del bello, della pace. Ma so bene figlia mia o figlio mio che se il sole tarderà molto a sorgere dalle acque dovrai combattere e anche... Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere essere padre.
È l'una di notte. La lampada non l'abbiamo ancora spenta. Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino la mia casa conoscerà ancora un'altra irruzione della polizia e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro. I questurini della politica mi prenderanno in mezzo e io mi volterò indietro a guardare: mia moglie sarà sulla soglia davanti alla porta il vento del mattino gonfierà la sua gonna e nel suo ventre pesante il bambino si muoverà un poco.
Me ne vado per le strade strette oscure e misteriose vedo dietro le vetrate affacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose c'è chi scende brancolando dietro i vetri rilucenti stan le ciane commentando. ... ... La stradina è solitaria non c'è un cane; qualche stella nella notte sopra i tetti: e la notte mi par bella. E cammino poveretto nella notte fantasiosa pur mi sento nella bocca la saliva disgustosa. Via dal tanfo via dal tanfo e per le strade e cammina e via cammina, già le case son più rade. Trovo l'erba: mi ci stendo a conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco canta amore alle persiane.
Le monete, il bastone, il portachiavi, la pronta serratura, i tardi appunti che non potranno leggere i miei scarsi giorni, le carte da giunco e gli scacchi, un libro e tra le pagine appassita la viola, monumento d'una sera di certo inobliabile e obliata, il rosso specchio a occidente in cui arde illusoria un'aurora. Quante cose, atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, ci servono come taciti schiavi, senza sguardo, stranamente segrete! Dureranno piú in là del nostro oblio; non sapran mai che ce ne siamo andati.
Né l'intima grazia della tua fronte luminosa come una festa né il favore del tuo corpo, tuttora arcano e tacito e fanciullesco, né l'alternarsi delle tue vicende in parole o in silenzi saranno offerta così misteriosa come rimirare il tuo sonno coinvolto nella veglia delle mie braccia. Di nuovo miracolosamente vergine per la virtù assolutoria del sonno, serena e splendente come fausto ricordo trascelto, mi offrirai quella sponda della tua vita che tu stessa non possiedi. Proiettato nella quiete, scorgerò quella riva estrema del tuo essere e ti vedrò forse per la prima volta quale Iddio deve ravvisarti, annullata la finzione del Tempo, senza l'amore, senza di me.
Certo per me, amico, è tempo di appendere la cetra in contemplazione e silenzio.
Il cielo è troppo alto e vasto perché risuoni di questi solitari sospiri.
Tempo è di unire le voci, di fonderle insieme e lasciare che la grazia canti e ci salvi la Bellezza.
Come un tempo cantavano le foreste tra salmo e salmo dai maestori cori e il brillio delle vetrate e le absidi in fiamme.
E i fiumi battevano le mani al Suo apparire dalle cupole lungo i raggi obliqui della sera; e angeli volavano sulle case e per le campagne e i deserti riprendevano a fiorire.
Oppure si udiva fra le pause scricchiolare la luce nell'orto, quando pareva che un usignolo cantasse "Filii et Filiae", a Pasqua.
Armata di falce verrà pronta a ingaggiar battaglia. Altri forse avranno un gesto di pietà: fonde pensavano fossero le radici. E certo non sapevano che celavo una continua attesa d'andarmene.
Argo, tu, vecchio cane d'Ulisse Tu, cieco e pieno di sordide zecche Udisti qualcosa nell'aria che disse È tornato, di certo, senza tema di pecche
È tornato, sentisti il lontano ricordo Uno schiaffo, dal naso perfora 'l cervello, sopito e nascosto immemore e sordo Ora è un urlo: di certo il suo odore era quello!
Qualcosa rimane di antichi ricordi Nelle menti dei bimbi ormai fatti lenti Di tiepide arie, di gialli tramonti
Di voli d'uccelli, di alberi verdi Presenze di madri, di antichi momenti Da bimbi contenti ai lor petti avvinti.
Lo so: anch'io ricordo un odore Che torna se cerco la pace e il conforto Che vorrei risentire in quel dolce tepore Ma l'intelletto mi fa questo gran torto
Ché quando ci pensa me lo fa disvanire. Conservo le foto, qualche vecchio filmino Un nastro che dice qual fu 'l tuo parlare Quel vecchio quaderno per il tuo bambino
I ricordi di cose mi ti fan ritrovare Di quando ridevi, di quando cantavi Di quando stavamo la sera a parlare
Ma solo un ricordo non so conservare Non so come nasconderlo in alberi cavi E quel caro odore pian piano scompare.
Volo notturno. Un leggiero sbatter d'ali convulso, tra penombra e luce. Così riecheggia sui miei pensieri il ricordo confuso di tanti gesti.
La luce e lì, chiara e accecante. La piccola farfalla si muove con audacia, tra mille insidie. Ma solo di rado capita di scorgerla, e nei modi in cui non si è soliti sperare. Il solo nominarla, induce speranza, nel suo cullare, la salvezza tanto sospirata. E adesso che è vicina, il suo calore soffia, contro le sue esili ali. La sua pienezza: attrae e impaurisce, il suo candore acceca.
Come satelliti. In attesa che il destino si compi, tra sogni e paure, tra ilarità e oblio, nel purgatorio della vita. Sono confinati tutti i pensieri, più sfuggenti. Nell'attimo ancora temuto, di divenire: felicità.
Se fossi una stella, e nei miei occhi brillasse la luce, che in sé racchiude i misteri dell'infinito. Potrei allora con un solo batter di ciglia, attraversare ere. E viaggiare oltre i confini dello spazio e del tempo, per poi stanco e solo scoprire, che tutto il senso di questa nostra esistenza. È proprio quello di non avere senso.
Se fossi una stella. E i miei occhi potessero vedere, ciò che a nessun altro, è concesso di vedere. Perché attraverso essi il tempo, mi sembrerà scorrere più lento. Potrei fermarmi ad ascoltare, lo scandire interminabile del silenzio. Per poi ritrovarmi a brillare, anche quando: sul mondo, non ci sarà più nessuno a potermi osservare.
Ancora sull'onda dei ricordi indugio, scaldandomene il pensiero. Mentre sento, scivolare come un fremito il distillare dell'oblio. Che vano e sperare trattenere. Ma quando del tempo, che trascorso vediamo, cancellarne memoria. Rimarrà solo l'alone, della nostalgia che ora sento. E, l'immagine chiara, dei vostri sorrisi.