Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il mio secolo non mi fa paura

Il mio secolo non mi fa paura,
il mio secolo pieno di miserie e di crudeltà
il mio secolo coraggioso e eroico.
Non dirò mai che sono vissuto troppo presto
o troppo tardi.
Sono fiero di essere qui, con voi.
Amo il mio secolo che muore e rinasce
un secolo i cui ultimi giorni saranno belli:
il mio secolo splenderà un giorno
come i tuoi occhi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Senza nessuna ragione qualcosa si rompe in me

    Senza nessuna ragione qualcosa si rompe in me
    e mi chiude la gola
    Senza nessuna ragione sobbalzo ad un tratto
    lasciando a mezzo lo scritto
    senza nessuna ragione nella hall di un albergo
    sogno in piedi
    senza nessuna ragione l'albero sul marciapiede
    mi batte in fronte

    senza nessuna ragione un lupo urla alla luna
    iroso infelice affamato
    senza nessuna ragione le stelle scendono a dondolarsi
    sull'altalena del giardino
    senza nessuna ragione vedo come sarò nella tomba
    senza nessuna ragione nebbia e sole nella mia testa
    senza nessuna ragione mi attacco al giorno che inizia
    come se non dovesse finire mai più
    e ogni volta sei tu
    che sali dalle acque.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La sera

      Sei appena uscito di prigione
      e appena uscito
      ecco tua moglie incinta.
      La sera la prendi sottobraccio.
      Ve ne andate a passeggio per le strade del quartiere.
      Ha il ventre quasi fino al naso tua moglie.
      E il suo peso sacro lo porta con civetteria.
      Tu sei fiero e pieno di rispetto.
      Fa fresco,
      una freschezza come le mani di un bimbo infreddolito.
      I gatti del quartiere aspettano attorno alla macelleria.
      Al primo piano, la macellaia ricciuta,
      i grossi seni appoggiati sul davanzale,
      contempla il tramonto.
      In mezzo al cielo compare una stella,
      limpida e bella come un bicchier d'acqua.
      L'estate è durata a lungo quest'anno
      e se i gelsi sono ingialliti, i fichi sono ancora verdi.
      Refik, il tipografo,
      e la figlia più giovane di Jorghi, il lattaio,
      passeggiano su e giù, con le dita intrecciate.
      Karabè, il pizzicagnolo, ha già acceso le luci.
      Quest'armeno non ha dimenticato il massacro di suo padre
      tra le montagne curde.
      Ma a te, ti vuol bene.
      Anche tu non li puoi perdonare
      quelli che hanno messo questo marchio sulla fronte del popolo turco.
      I malati, i tisici del quartiere guardano da dietro i vetri.
      Il figlio di Nuriye, la lavandaia,
      disoccupato, ingobbito dalla tristezza,
      s'avvia verso la bettola.
      In casa di Rahmi si sente il radio-giornale.
      Hanno mandato 4500 ragazzi in un paese dell'Estremo Oriente
      per massacrare i loro fratelli, dal viso giallo lunare.
      Il tuo viso arrossisce di collera e di vergogna.
      Non sei obiettivo, no, al diavolo,
      ma triste
      di una tristezza tua propria,
      una tristezza con le mani e i piedi legati,
      come se fossi ancora in prigione,
      e giù in guardina sentissi i gendarmi battere i contadini .
      La notte è caduta.
      Il passeggio serale è terminato.
      Una jeep della polizia entra nella strada.
      Tua moglie sussurra: "andrà a casa? ".
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Benvenuta, donna mia, benvenuta!

        Benvenuta, donna mia, benvenuta!

        Certo sei stanca
        come potrò lavarti i piedi
        non ho acqua di rose né catino d'argento

        certo avrai sete
        non ho una bevanda fresca da offrirti

        certo avrai fame
        e io non posso apparecchiare
        una tavola con lino candido

        la mia stanza è povera e prigioniera
        come il nostro paese.

        Benvenuta, donna mia, benvenuta!

        Hai posato il piede nella mia cella
        e il cemento è divenuto prato

        hai riso
        e rose hanno fiorito le sbarre

        hai pianto
        e perle son rotolate sulle mie palme

        ricca come il mio cuore
        cara come la libertà
        è adesso questa prigione.

        Benvenuta, donna mia, benvenuta!
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          I giorni son sempre più brevi

          I giorni son sempre più brevi
          le piogge cominceranno.
          La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
          Perché hai tardato tanto?

          Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
          Il vino che avevo conservato nella brocca
          l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
          Perché hai tardato tanto?

          Ma ecco sui rami, maturi, profondi
          dei frutti carichi di miele.
          Stavano per cadere senz'essere colti
          se tu avessi tardato ancora un poco.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il mattino

            Ti svegli.
            Dove sei?
            A casa.
            Non hai potuto ancora abituarti:
            al tuo risveglio
            trovarti a casa.
            Ecco quel che ti lasciano
            tredici anni di carcere.

            Chi c'è nel letto, accanto a te?
            Non è la solitudine, è tua moglie.
            Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.
            Le dona, essere incinta.
            Che ore sono?
            Le otto.
            Possiamo dunque star tranquilli
            fino a sera.
            È l'uso,
            la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Prima che bruci Parigi

              Finché ancora tempo, mio amore
              e prima che bruci Parigi
              finché ancora tempo, mio amore
              finché il mio cuore è sul suo ramo
              vorrei una notte di maggio
              una di queste notti
              sul lungosenna Voltaire
              baciarti sulla bocca
              e andando poi a Notre-Dame
              contempleremmo il suo rosone
              e a un tratto serrandoti a me
              di gioia paura stupore
              piangeresti silenziosamente
              e le stelle piangerebbero
              mischiate alla pioggia fine.

              Finché ancora tempo, mio amore
              e prima che bruci Parigi
              finché ancora tempo, mio amore
              finché il mio cuore è sul suo ramo
              in questa notte di maggio sul lungosenna
              sotto i salici, mia rosa, con te
              sotto i salici piangenti molli di pioggia
              ti direi due parole le più ripetute a Parigi
              le più ripetute, le più sincere
              scoppierei di felicità
              fischietterei una canzone
              e crederemmo negli uomini.

              In alto, le case di pietra
              senza incavi né gobbe
              appiccicate
              coi loro muri al chiar di luna
              e le loro finestre diritte che dormono in piedi
              e sulla riva di fronte il Louvre
              illuminato dai proiettori
              illuminato da noi due
              il nostro splendido palazzo
              di cristallo.

              Finché ancora tempo, mio amore
              e prima che bruci Parigi
              finché ancora tempo, mio amore
              finché il mio cuore è sul suo ramo
              in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
              ci siederemmo sui barili rossi
              di fronte al fiume scuro nella notte
              per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
              - verso il Belgio o verso l'Olanda? -
              davanti alla cabina una donna
              con un grembiule bianco
              sorride dolcemente.

              Finché ancora tempo, mio amore
              e prima che bruci Parigi
              finché ancora tempo, mio amore.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Della morte

                Entrate, amici miei, accomodatevi
                siate i benvenuti
                mi date molta gioia.
                Lo so, siete entrati per la finestra della mia cella
                mentre dormivo.
                Non avete rovesciato la brocca
                nè la scatola rossa delle medicine.
                I visi nella luce delle stelle
                state mano in mano al mio capezzale.

                Com'è strano
                vi credevo morti
                e siccome non credo nè in Dio nè all'aldilà
                mi rammaricavo di non aver potuto
                offrirvi ancora un pizzico di tabacco.

                Com'è strano
                vi credevo morti
                e voi siete venuti per la finestra della mia cella
                entrate, amici miei, sedetevi
                siate i benvenuti
                mi date molta gioia.

                Hascìm, figlio di Osmàn,
                perché mi guardi a quel modo?
                Hascìm figlio di Osmàn
                è strano
                non eri morto, fratello,
                a Istanbul, nel porto
                caricando il carbone su una nave straniera?
                Eri caduto col secchio in fondo alla stiva
                la gru ti ha tirato su
                e prima di andare a riposare
                definitivamente
                il tuo sangue rosso aveva lavato
                la tua testa nera.
                Chi sa quanto avevi sofferto.

                Non restate in piedi, sedetevi.
                Vi credevo morti.
                Siete entrati per la finestra della mia cella
                i visi nella luce delle stelle
                siate i benvenuti
                mi date molta gioia.

                Yakùp, del villaggio di Kayalar
                salve, caro compagno,
                non eri morto anche tu?
                Non eri andato nel cimitero senz'alberi
                lasciando ai tuoi bambini la malaria e la fame?
                Faceva terribilmente caldo, quel giorno
                e allora, non eri morto?

                E tu, Ahmet Gemìl, lo scrittore?
                Ho visto coi miei occhi
                la tua bara scendere nella fossa.
                Credo anche di ricordarmi
                che la tua bara fosse un po' corta per la tua statura.

                Lascia stare, Gemìl
                vedo che ce l'hai sempre, la vecchia abitudine
                ma è una bottiglia di medicina, non di rakì.
                Ne bevevi tanto
                per poter guadagnare cinquanta piastre al giorno
                e dimenticare il mondo nella tua solitudine.

                Vi credevo morti, amici miei
                state al mio capezzale la mano in mano
                sedete, amici miei, accomodatevi.
                Benvenuti, mi date molta gioia.

                La morte è giusta, dice un poeta persiano,
                ha la stessa maestà colpendo il povero e lo scià.
                Hascìm, perché ti stupisci?
                Non hai mai sentito parlare di uno scià
                morto in una stiva con un secchio di carbone?
                La morte è giusta, dice un poeta persiano.

                Yakùp
                mi piaci quando ridi, caro compagno
                non ti ho mai visto ridere così
                quando eri vivo ...
                Ma lasciatemi finire
                la morte è giusta dice un poeta persiano ...

                Lascia quella bottiglia, Ahmer Gemìl,
                non t'arrabbiare, so quel che vuol dire
                affinché la morte sia giusta
                bisogna che la vita sia giusta.

                Il poeta persiano ...
                Amici miei, perché mi lasciate solo?

                Dove andate?
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Nelle mie braccia tutta nuda

                  Nelle mie braccia tutta nuda
                  la città la sera e tu
                  il tuo chiarore l'odore dei tuoi capelli
                  si riflettono sul mio viso.

                  Di chi è questo cuore che batte
                  più forte delle voci e dell'ansito?
                  È tuo è della città è della notte
                  o forse è il mio cuore che batte forte?

                  Dove finisce la notte
                  dove comincia la città?
                  Dove finisce la città dove cominci tu?
                  Dove comincio e finisco io stesso?
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