A sera rientro a casa e vinco il buio premendo il pulsante e le stanze s'illuminano di luce. Ma diversa luce ancora ricerco e trepida scendo dentro la casa del mio cuore. Premo pulsante di preghiera e guardo. Dentro vi brilla luce di speranza e volteggio in raggio di pace.
Tenere, colorate campanelline resistete impavide al vento che vi scuote, abbarbicandovi al vicino albero amico. Quando vento d'impauriti pensieri investe la mia vita, anch'io trepida afferro corda di preghiera e mi avvinghio all'albero del Tuo Amore, o mio Dio.
Parto. Arrivo in casa di preghiera. Affido ai fratelli valigia colma di speranza e sola mi avvio in cerca di spazi di silenzio. Incontro gli alberi secolari che svettano verso il siculo cielo di cobalto, adorno di spumose nuvolette. Respiro la gioia, respiro la pace, contemplo la bellezza ma non mi basta perché vince la voglia di assaporarla. Mi addentro nel vialetto. Un albero frondoso mi attrae in tutto il suo splendore, lo raggiungo, lo tocco, l'abbraccio e con gesto amico, ne accarezzo la corteccia rugosa e... meraviglia! capto un fremito di gioia e subito vi risponde il mio. Mi perdo dentro verde speranza e, in dono di fede, t'incontro Padre Creatore.
Questa tragica poesia mi rimane attaccata come cera che cola ustiona i mie tessuti segnandomi irrimediabilmente. La parola mi smarrisce perché è sempre lei a trovarmi in punta di pensiero un alito di memoria squarcia un cuore rotto e si rifugia in bocca e spiega il non detto e tace ciò che ho affermato ieri sputtana l'indicibile e mi mette alla gogna decapitandomi la reticenza e rotolando insieme alle chiome scomposte in ciocche d'emozioni. Recise.
Io ti sia nessuna partenza e tutte le destinazioni la smania del ritorno senza la fuga il restare nella lontananza imposta e letto per strada pelle nell'aria tocco senza mani e corpo nel tuo corpo ché a sfiorarti mi sia piacere perché io senta ciò che senti prima di farlo.
Ci sono catastrofi personali che s'indossano al mattino e coprono ogni pezzo d'anima; guanti alle mani del dolore corsetti costrittivi all'imbocco dei respiri e maschere mille maschere che coprono l'altra faccia della luna la notte dopo dell'essersi fatta piena ché morente nel parto viene al buio rendendomi madre d'abominio.
Mi si infligge una crepa profonda tra il provare ed il sentire così che anche se provata mai come in questa occasione sento ed è quando sento che mi metto alla prova e le mie prove sono sempre sorde e cieche brancolano e non avanzano si piegano sul filo delle mie spine poste a corolla quando m'incorono sovrana.
La mutevolezza si schianta sui miei giorni e mi dà un nuovo scheletro dalle ossa decalcificate struttura improbabile gabbia d'un Io precario un Me indicibile che arranca su contorni sfumati - tratti tremanti di profili anonimi - e si porta dietro il dolore dell'indefinizione | sospensione limbo | intangibile trascendentale E mi ripiego nelle mie notti che non mutano mai.
Ho un'ideazione scabrosa sintesi delirante di una concezione ossessiva quando mi manchi alla presenza della testa decretando l'era di uno spartiacque: prima te / dopo te. Mi accompagna una persecuzione che ti fa uomo e storia e ci vede al giudizio universale degli insani dalle insane passioni.
Toglimi le corde ai polsi fà ch'io mi senta fluire forza e vene fervere incastrare tra le ciglia il pulsare impercettibile della patina sottile di pelle emettere vibrazione e tasta con i polpastrelli il punto di pressione scoppiami come se tu fossi ago ed io tensione.