Poesie personali


Scritta da: Susan
in Poesie (Poesie personali)

Vago persa nell'universo

E quando neanche l'amore ti aiuta
a superare quel intenso dolore
e quando neanche l'amore ti fà sentire viva
mi chiedo cosa ne resta di me.
cosa ne resta della anima mia
nulla!
Se non un vagare nell'immenso
Universo per ritrovare,
ritrovare quella parte che mi manca
quella che mi rende viva
e vago nel mio immenso dolore,
io vago persa nell'universo
ancora ed ancora ed,
ancora, ancora.
Grido ma non mi sento e
ma non mi trovo
ma perché non mi trovo?
non trovo me oddio cosa mi accade?
è forse l'amore che mi abbandona?.
oddio la mia anima mi sta lasciando
no ti prego non abbandonarmi in
questo universo ti prego aiutami.
aiutami che solo tu puoi con il tuo amore
solo tu puoi ridarmi la mia anima
allora corri ti prego corri da me!
corri e prendi la mia anima falla tua
ed insieme e con te muore il mio grido
ne muore con te anche il dolore!
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    Scritta da: Erika Baini
    in Poesie (Poesie personali)
    Perché tu hai sempre ragione
    mentre io ho sempre torto?
    Perché tu mi puoi amare quando vuoi
    e io devo attendere cicli di luna piena?
    Perché tu godi di esasperata freddezza
    e ti ecciti di debolezze altrui?

    Forse all'occhio di Dio
    non dovremo essere tutti uguali?
    Quello che è tuo è mio
    e quello che è mio è tuo.
    Composta domenica 11 marzo 2012
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      Scritta da: Enzo Orsillo
      in Poesie (Poesie personali)
      Alberi
      quasi morenti
      invocano
      con rami protesi
      lacrime al cielo.
      La terra
      ferita dal braciere ardente
      che sparge
      lapilli infocati
      chiede quartiere.
      Una preghiera
      pietà
      per la terra assetata
      bisognosa della linfa preziosa,
      guarda benigno
      il dolore del mondo
      instillando gocce di vita.
      Composta giovedì 9 agosto 2012
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        in Poesie (Poesie personali)

        Lì, da dove forse si vede ancora il mare

        Severi come antichi
        romani anfiteatri
        d'imperiale vastità
        svuotati spazi sconfinati
        di eliocentriche loro piazze
        come fori di antiche civiltà
        staccano da superbi viali
        le loro imponenti stazze
        e a quelli impongono distanze
        tra pareti vigorose
        magnifiche quinte di edifici in fila
        dove il silenzio
        mi onora la memoria
        dove il silenzio
        a noi mi riavvicina
        fino a quell'angolo incastonato
        di timida collina
        che si diparte dalla via Eufrate
        per poi in vetta risalire
        sopra il suo più alto edificio
        che forte dell'altezza
        verso il tramonto a sud s'eleva
        esule di sua fierezza
        come una torre
        in copertura si completa
        lì, nell'abbarbicato attico lunare
        lì, da dove forse
        si vede ancora il mare.

        Lì, da dove forse
        meglio si può immaginare
        di questa città il suo più vicino mare
        lì, dove barriere verdi
        e il quasi nullo circolar di mezzi
        detrona la città
        dei suoi più insiti rumori
        per restituirne
        solo dolci e lieti suoni
        o profumi di romana
        campagna rigogliosa
        come se da un'altr'epoca
        oggi è rivendicata
        e subito è riesplosa
        e qui nel suo quartiere, riscongelata
        e qui, su questa via
        nella sua freschezza riconsegnata.

        Lì, che il mio cammin si ferma
        e pensa tanto
        per quanto sembra
        sotto un azzurro plastico
        di cielo colorato
        sospeso il tempo in questo spazio
        oggi dal sole arroventato
        oggi di ricordi permeato.

        Argini di metafisici viali
        s'infrangono per miscelarsi
        a briosi zampilli di fontane
        che animano lapidee vasche
        dai loro gelidi fondali.

        E sempre quelle piste
        disegnate su quei viali
        hanno come cigli
        facciate monumentali
        di razionali architetture
        che ardono di luce
        per venire colorate
        di un marmo bianco che risplende
        nei porticati di romane arcate
        ad inquadrare le sue strutture
        dove in esse
        quel nero di lunghe ombre
        prende posto
        per la morsa di questa equtoriale
        domenica d'agosto.

        La grande Urbe
        è Accademia d'architettura
        ed ha qui, il suo laboratorio
        la sua aula magna
        dove tra svuotati spazi
        di fontane e verde
        regna il fragore di quell'acqua
        e nel cammino, la mente mia si perde
        in un silenzio che appare finto
        campagna mascherata
        di bianca pietra e cemento.

        Fino a che giungo davanti a quello
        mai come oggi così severo
        algido prisma
        con in base un quadrato
        che dai suoi occhi d'archi
        sprigiona la fierezza
        di un popolo e la sua grandezza
        in quella scritta in esso incisa
        sopra l'attico di un gelido prospetto
        come pure quella
        di un altro un po' più in là
        che innalza la sua città
        sopra il più esaltato auspicio
        di florida ed eterna imperialità.

        Ma tutto questo mi rimanda
        ad un tempo a me sempre caro
        quando guardo l'obelisco
        dell'imperiale incrocio
        e presto una staffilata
        m'arriva come un grave
        nel precipitare giù dal cielo
        che sembra voglia il mio finale
        e s'infila come una lama
        dentro la mia schiena
        ma non è altro che il pensiero
        di un primo incontro
        nel lontano autunno di una sera
        e l'obelisco che una volta
        lume dei nostri incontri
        come un gigante buono era
        ora è solo un inanimato masso
        che spietato mi crolla addosso
        e in un attimo mi stende
        sentire dopo, fissa una ferita
        che feroce, il mio cuore fende
        nei ricordi
        travolto da sue onde
        di mare che tradisce
        e immobilizza le mie gambe
        la solitudine m'immerge
        finché atterra il mio morale
        in sintonia con un clima
        d'algida bellezza
        e mai come oggi
        soffocante e surreale.

        E poi il tutto, di nuovo mi riporta
        solo in seno a quel mistero
        in fondo all'angolo incantato
        tra un'austera chiesa e un monastero
        lungo la via E... frate
        spazio dal silenzio raggelato
        più che mai, in questa domenica d'estate
        dove profumi di flora estiva
        stordisce olfatto e il mio pensiero
        che di ricordi è già inebriato.

        E punto su lo sguardo
        dove la memoria veloce scatta
        disegnando in quell'afosa
        serra emozionale
        fotochimica d'ozono cappa
        noi e il nostro litorale
        a Lei così vicino
        e da qui così lontano
        in un radioso deserto urbano
        che brilla di bianco travertino
        ma un leggero vento muove foglia
        che sembra compiaciuta
        per avermi fatto compagnia
        nell'essersi posata sopra il mio sellino.

        Quindi ancor vita è
        musica che rinasce
        nell'ascoltare e immaginare
        da lontane spiaggie
        concitate voci dietro quella siepe
        poco prima che un amor finisce
        quand'eravamo ancora insieme.

        Come si può
        dimenticare e poi continuare
        come si può
        dimenticare senza morire
        e non resta che soltanto
        da un caldo esasperato
        farsi annichilire
        dentro un imbalsamato
        fanatico quartiere
        io qui con lui solo
        per meglio risentire
        la lama dentro rigirare
        di solitudine spietata
        com'è d'agosto la domenica
        in quest'angolo di città
        mai come ora, così dimenticata
        in questo tempo e in questo luogo
        oggi ancor più desolato
        della sua normalità.

        Ma in questo giorno e fino in fondo
        io qui, voglio restare
        per farmi a tutto tondo
        da ogni lato anninentare
        sempre e solo
        dal solito dolore
        che oggi voglio a viso aperto
        di nuovo risfidare
        dove in quest'innaturale
        timido silenzio
        che sembra d'oltremare
        il cuore mio
        riesco meglio ad ascoltare
        dove il suo fuoco
        e del caldo alto di quest'ora
        i miei ricordi
        sembran tutti dover bruciare
        dove quella lama di solitudine
        che taglia vita e toglie aria
        qui, riesce meglio
        dentro me a sprofondare.

        Dove ancor vivo è il mio pensiero
        di noi su quel mare
        ed oggi, è quasi un anno
        che solo perse tracce, di noi rimane
        nostri ultimi momenti su quelle spiaggie
        e qui, meglio che in ogni altro spazio
        com'in un eremo di pace
        nel mio lento pedalare
        spontaneo dal cuor m'esce
        un dolce rimembrare.

        Qui, dove lassù in quell'osservatorio
        il mio sguardo ha il suo magnete
        rifugio in attico tamponato
        da schermi di laterizio traforato
        a sembrar come una torre
        di romantica prigione
        che detiene come in gabbia
        il mio cuor sgomento
        solo e imprigionato
        ma lì, forse con la sua mente
        nel più profondo raccoglimento
        risece meglio, il ricordo ad esplorare
        risece meglio, la sua memoria a navigare
        lì, da dove forse
        il mio cuore crede ancora
        che si vede noi
        che si vede il mare.
        Composta domenica 12 agosto 2012
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          Scritta da: gattosiamese
          in Poesie (Poesie personali)

          Partenza

          Una sigaretta dopo l'altra,
          seduta sul gradino di casa
          guardo il vuoto,
          volute di fumo azzurrino
          si alzano verso il cielo.
          Un cielo che a poco a poco si oscura.
          Il sole lascia il posto alla luna,
          una luna che mi guarda
          e sembra sorridermi dall'alto.
          Da quando sei partito,
          i giorni scorrono tutti uguali
          uno dopo l'altro scivolano via
          portando con se un po' di malinconia.
          I gatti che mi hai lasciato
          mi ricordano che prima o poi tornerai.
          Composta giovedì 9 agosto 2012
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            Scritta da: Rossella Porro
            in Poesie (Poesie personali)

            Ormai

            Ormai
            sei morto
            seppellisco oggi ogni pensiero
            ogni sogno
            ogni parola,
            ormai sei morto
            e con te va via ogni
            inutile bugia
            ogni stupida illusione
            ogni ipocrita finzione.
            Ormai sei morto,
            morto come i fiori recisi
            che nulla di bello hanno
            da regalare
            se non l'apparenza
            che dura il tempo
            di un petalo caduto
            e nulla più.
            Composta giovedì 9 agosto 2012
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