Scritta da: Rosarita De Martino
in Poesie (Poesie personali)
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Rose colorate
si offrono a Te,
o Maria,
in brevità di vita,
ma in fulgore
di eterna bellezza.
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Rose colorate
si offrono a Te,
o Maria,
in brevità di vita,
ma in fulgore
di eterna bellezza.
Amarsi un po' è sfiorare il sogno di un'idea
amarsi un po' e guardare la stessa alba insieme
amarsi un po' è respirare lo stesso respiro
amarsi un po' è il profumo del nostro amore
amarsi un po' è la tua mano nella mia
amarsi un po' è litigare e poi ritrovarsi abbracciati
e poi ancora amarsi.
Cerco parole
in un deserto di anime.
Quanti ricordi inutili,
dentro la mia testa...
Costruivamo castelli,
di mattoni ed illusioni...
Ma si ha bisogno di fondamenta,
per non crollare mai,
e le nostre fondamenta,
non c'erano e lo sai...
Le ho cercare e ricercate,
come un bandito latitante
ma, ahimè, non le ho trovate,
forse non ci sono mai state...
E se bastasse qualche giorno,
giuro che li sprecherei,
per dimenticare ciò che è stato,
prometto che lo farei...
Nel frattempo stringo i pugni,
contro al muro li percuoto,
e urlo straziato dal ricordo
di illusioni che mi avevano circondato...
Sì, tu mi hai dimenticato,
come si fa con le chiavi,
avevi promesso di non farlo,
ma alla fine è accaduto...
Giallo come il sole che si affaccia la mattina,
dal blu del cielo sfiorato dalle mie mani,
che chiedono ancora un po' di forza per continuare.
Verde come l'erba e come le foglie, accompagnate
a danzare dal vento che però non ha colore,
ma si può lo stesso sentire, e amare.
Nero come il buio che da piccoli ci fa paura,
ma un piccolo colpo di luce ci può tranquillizzare,
e farci continuare a sognare senza alcun problema.
Bianco. Bianco come il foglio che è rimasto di me,
bianco come tutto quello che adesso mi circonda,
bianco come la tela, che non riesco a cominciare.
Forse è solo il timore di sbagliare, rovinare,
forse si ha paura di non poterlo più aggiustare,
o forse è solo il timore di vivere.
I mostri che abbiamo dentro, quelli più insaziabili,
ci divorano di notte, quando siamo più sensibili, vulnerabili.
I ricordi, i dubbi, i rimorsi, questi sono alcuni nomi,
dei mostri che ci assalgono quando siamo soli.
Non ci avrei mai pensato, guardandomi allo specchio,
che una mattina mi sarei visto, ridotto come uno straccio.
Tutta la parte oscura del mio cervello contro me si è rivolta,
e questa giornata, la vedo tutta storta.
Sapessi solo un quarto dell'odio che porto dentro,
forse tra me e te, metteresti un vetro.
Se qualcuno ascoltasse, forse capirebbe,
quanto amaro ingoio ogni giorno senza dire niente.
Lavora la scure,
stride il ferro nel fresco taglio,
spaventati uccellini con le ali tremule
guardano ammutoliti,
mentre cadono i nidi.
Mi viene da piangere,
di vedere la morte di quel magnifico albero,
mirabile apparenza nella consuetudine,
che ritenuto inutile, scomodo,
ad un uomo ridicolo
per mettere nel suo posto
un misero vaso inondato di sole.
II cane guaisce,
cadde l'ultimo ramo,
e gli uccellini sulla gronda
si alzano a volo,
e s'allontanano
pigolando.
Quella sera
quanto, avrei desiderato
tornare indietro
dopo aver, tutto dimenticato.
Quanto, avrei desiderato
cancellar tutto quel che di brutto
tra noi è stato.
Quanto, avrei desiderato
finisse tutto in un abbraccio
per un amore, ritrovato.
Quando giunti due cammini
al giallo palo di un semaforo
solo lui ad illuminar, la prima sera
nel buio fondo di metropolitane vie
nel dicembre, della festa più sincera.
E incurante sbatte il suo lampeggio
sui due nostri, spenti visi
così gelidamente, tristi e tesi
come per accompagnar
con sua luce alterna, di quei riflessi
l'emozionato batter, dei nostri cuor anch'essi.
Quanto, amaro fu
il nostro conversar, di quella sera
perché soltanto, avevi voluto tu
ricostruir quel che da tempo, ormai più non c'era
come sotto un cielo, che più non spera
il sole dell'indomani, se la notte cela
nelle sue nubi, la tempesta più nera.
E presto, come brilla e tuona
su quell'incrocio, violento temporale
da un ultimo grave, nostro duro scontro
quanto fuori gelo, e quanto dentro male
a ricordar, come magico risuona
da un altra lontana via
quel remoto primo, nostro dolce incontro.
Ascolto un eco, viaggiar nel vento
di parole dall'altra via, e che or più non posso
raccontare a te, sul finir di questa sera
vincer lo spazio, e superar il tempo
e sentirsi, ancora addosso
quella ora persa, gioia vera.
Rivissuti, in un sol momento
quel lontano primo
come ora ormai, ultimo nostro incontro
senza oggi neppur, un dignitoso addio
a quel dolce e per sempre perso, amore mio.
Per poi noi svanire, in opposte direzioni
e dall'esplodere di quell'incrocio, spiccar il volo
quando sotto quella nuvola, piovon solo
ormai morte le nostre dimenticate, emozioni.
Quindi, volger le spalle
per mai più voltarsi indietro
e riprender, sotto fioche stelle
il mio cammino
ma subito, anche quelle
son deboli luci o quasi, inanimati sassi
a sembrar, morenti lucciole
e io ora ancor più affranto, coi mie passi
a calpestar, le rimaste briciole
lungo il finire, della strada
di questa nostra, consumata storia
dove più, non ti ho incontrata.
Quanto infelice, questo nostro fato
per quel che presto, a noi ha riservato
se dal silenzio, resto invaso
fin dentro, le mie ossa
e quella luce, non più ho trovato
quand'avvien al buio, il mio rincaso
e quel vuoto, mai più passa.
Di Lei, a me non più vicino
che nel sonno, torna puntuale
triste sogno, per lui trappola fatale
quell'incrocio, rimasto dentro al mio cuscino.
Quando in sogno, torna così com'era
sempre, quella stessa sera
quanto, avrei desiderato
tornare indietro
dopo aver, tutto dimenticato.
Quanto, avrei desiderato
cancellar tutto quel che di brutto
tra noi è stato.
Quanto, avrei desiderato
finisse tutto in un abbraccio
per un amore, ritrovato.
Ma nuova luce, del mattino
libera quell'incrocio
dalla trappola, del mio cuscino
e tutto quello non era altro, che il mio bisogno
di Lei solo, ma or non può
che restare, soltanto un sogno.
La gente pensa che il tempo
guarisca il dolore.
Si sbaglia, il tempo anestetizza il dolore,
lo fa sembrare meno amaro e lacerante
di quel che è...
Niente passa, tutto si nasconde dietro
un graffio, un livido grande
quanto un sole nascosto nelle lacrime
di catrame che ho gettato, ho perso
ed ora mi rendo conto di non averle più,
le ultime le ho perse nel sale
mischiato al sudore e alla sabbia.
Ricorderò gli schiaffi,
le unghie cadute da due mani giunte,
le ciglia prendere fuoco nella pioggia,
i sassi gridare per poi sgretolarsi nel vento,
i petali di rosa sulle bare bianche,
i silenzi di due amanti abbracciati
come se la notte non finisse mai.
Ma quale amore,
io voglio soltanto fumare e bere vino
a mezzanotte immerso nei ricordi
e nella notte mia unica madre.
Soffrire per amore ma chi me lo fa fare
preferisco affogare nei sorrisi
che il diavolo seduto sopra il mio
cuore riesce a donarmi sussurrando speranza
alle orecchie sorde della mia anima guerriera.
Sono uscito di casa ed ho visto
cadere il mare dentro un vento spento.
Voglio essere libero in questa
prigione che la gente comune chiama libertà.
Donerei gli anni miei a coloro
che di fame muoiono in Africa
o in un cartone dimenticato da Dio.
Mi strapperei gli occhi e li donerei
a tutti coloro che non hanno mai
visto una farfalla squarciare un fiore.
Si muore due volte e si rinasce
solo una volta dentro un diamante sommerso
da una strana polvere malinconica.
Siamo destinati ad un unico grande amore,
il mio l'ho già perso assieme al cuore.
Tutta questa violenza
tutto questo odio nel mondo...
un mondo che anche se ne vivo...
non ne sento l'appartenenza...
quando finirà...
mi chiedo
e forse la risposta è già viva...
in noi!
Mai... perché noi non sappiamo come!