Scritta da: Rita Morabito
in Poesie (Poesie personali)
Il lento inverno
muta il cielo e i pensieri,
estati che non torneranno più,
solo il cuore rimane
a ricordarci chi siamo.
Composta lunedì 4 dicembre 2017
Il lento inverno
muta il cielo e i pensieri,
estati che non torneranno più,
solo il cuore rimane
a ricordarci chi siamo.
In questo lembo
Di terra
Dove la carne viene
Strappata dai ricordi bollenti
Dalle strade polverose
Gonfiano i polmoni
Di un esisteza che va
Le rimbobandi voce
Grida...
Di una madre che desta
Di una valle
Che si inbianca
Silvano.
Sembrava
che navigavo
su mondi innevati
tanto sentivo
il gelo tra le mie vene
forse è arrivato l'inverno,
anche se ero sommerso
da un sole cocente
che mi tagliava la gola
e mi bloccava il respiro
ma tra le dita cera il ghiaccio...
La mia solitudine
di riflessi...
onteggiava
e riempiva
il vuoto
che mi possedeva
da giorni...
ogni mia giornata era vana e persa...
Mi svegliai
presto quel mattino,
e la mia mente vagava
tra vecchi ricordi
ma qualcosa mi sfuggiva
sul presente...
cercai di sognare
vecchie passioni
per riscaldarmi
l'anima.
Non badai
al mio mio tragitto terreno,
ma volevo farmi onteggiare
e cullare dalle nuvole
mentre assorto dai miei battiti
tra cielo e terra...
ero ormai assente
lo sguardo assente vagava.
mi svegliai
e mi fermai,
mi guardai intorno
e tutti gli orizzonti
si ripiegavano
ma io non curante
e proseguii avanzando lentamente
per mete inapparente
dove nulla e definito
assorto dai miei pensieri
volli solo perdermi
dimendicare
e aggraapami
a quel millesimo
di sogno che mi restava
per farmi cullare
da quella scia
chiamata sopravvivenza.
Gli occhi?
Due porte.
Un ingresso,
ad un fugace passaggio
- per ciò che poi -
dimorerà altrove.
Lampi bianchi squarciano l'oscurità,
respinti dalle rocce salde di questa caverna, che racchiude dentro sé tutta la malinconia. Essa, fredda, graffiata, logorata, regge ancora, appoggiata su un terreno fertile di cui un'esplosione di colori respinge il suo arido nero. Essa ne è a contatto, ma non si fonde, finché quelle pietre si incastreranno nella struttura,
ma prima o poi,
O Pioggia,
scendi furente dall'alto, atterrale con piccole gocce, schiacciale e inseriscile nella terra, rendila di nuovo rigogliosa.
Esprimi la tua leggera purezza, come mai hai fatto prima, risorgi e sfogati, permetti a me di far lo stesso.
Segui i miei passi con i tuoi costanti rintocchi, mostrami la via e conducimi all'uscita.
Fà della nebbia la tua veste cieca, accoglila dentro di te e rinasci più sincero.
Sventurata terra mia
non basta la sera quando
sboccia l'oblio.
Non ha fine il crudele duello,
un midollo di spine
ci porterà a tradire
il tempo che rimane.
Voglio raccontare
un fremito
di furibonda luna,
dimenticato per sempre,
spazzato via dalla carne.
Disperati noi dimoriamo
il tormento
che ci ha risparmiati;
in questo ventre
di nuove liturgie
non esistiamo,
dai giorni
che lenti si consumano
affiora solo la pietra.
Siamo tutti e nessuno
a rincorrere gloria
come fosse pane,
a spalmare formaggino
e, poi, bere un brodino.
Siamo tutti e nessuno
a inventare pregiudizi,
a confezionare giudizi,
a carezzare letame.
Siamo tutti e nessuno
a ergerci come migliori,
a qualificarci Superiori,
ad attendere l'arancione
della lanterna semaforica
per sprintare come fosse verde.
Siamo tutti e nessuno
a mistificare il reale,
ad alterare identità,
ad amplificare con viltà.
Siamo tutti e nessuno
a descrivere un calvario
col distacco pungente
di chi mente.
Siamo tutti e nessuno
a descrivere le stelle
con la vicinanza saccente
di un essere subdolo e latente.
Siamo tutti e nessuno
adagiati sul cesso
a lottare contro stitichezza
o a sorridere alla fluidità.
Decandendo
dentro intervali sonori.
Son'ore che vacillo
tra l'umore titubante
di un circo nomade
squattrinato
e il perso
d'una nube di fumo.
E non passa.
Torna.
Quando il sole non c'è.
E nemmenu tu.
Sembra facile
stare docile,
ma quando il respiro
affonda e annega
al fondo, remoto,
del polmone
sembra strano potere
o anche sol pensare
di poter stare
placido.
Sfrego freneticamente
la punta del piede destro
contro quella del sinistro
e se la fermo
rinizio
sia a muoverla,
poco dura la mia parziale calma,
che a pensare.
Mi sfonderei il cranio
a pugni pur di non farlo.
Di non pensare.
Ed è terribile,
insultare una dote
innata dataci
dolcemente
da madre natura,
così per qualche
irrilevante inezia
meramente umana.
Se fosse stata più gentile
m'avrebbe concesso
anche la gentile
quanto utile capacità
di fottermene il cazzo.
Come peraltro tanta gente
me ne usa contro.
Ed invece sto qua,
a piangermi addosso,
pensandoti.
Quante cose avrei
da gettare
e da dire nel silenzio
che mi cinge di notte...
a volte parlo in silenzio,
il silenzio è astratto
e io lo amo.
Eppure un rumore greve
quando lavoro stordisce
le mie orecchie,
lavoro con dedizione
assieme al mio estro.
Non serve urlare a squarciagola,
mi basta cantare una semplice parola
al caro compagno silenzio,
per sentirmi meglio.
Silenzio, amico dei miei pensieri.
Rimbombo del cuore nel petto,
nebbia davanti ai miei occhi
confondono l'anima.
Inseguo pensieri
che cupi m'avvolgono.
La strada io cerco:
"chiara e sicura!"
Che porti da me.
Ma per ora
ancor non vedo.