Scritta da: Alexandre Cuissardes
in Poesie (Poesie personali)
La cartolina dalla vacanza
A pensione non sto male,
vitto e alloggio mi contento.
Sol del bere mi lamento.
Non del come ma del quanto.
Composta sabato 18 luglio 2015
A pensione non sto male,
vitto e alloggio mi contento.
Sol del bere mi lamento.
Non del come ma del quanto.
La luce più bella è il buio che vedo sotto la sua gonna.
Gli occhi che non potrei mai neppure immaginare sono i suoi che mi stanno guardando.
La persona della quale non potrei mai fare a meno è quella che adesso volta la schiena e se ne va da me.
Graffi larghi e bianchi,
segni raspati sulla pelle di pietra.
Sento le date indagando con le dita.
Ma non mi serve sapere quando è stato.
Io non cercavo.
Soltanto accarezzavo il tempo.
Passerà
questo amore malato che mi obbliga a te,
che mi tiene imprigionato.
Passerà,
e finirà finalmente
il male che sento dentro.
No,
passerò oltre il mio sognare
che accada quello che in realtà non voglio.
Vorrei un documento con una data nuova,
non di nascita
ma di rinascita.
Vorrei
che quella data fosse un giorno qualunque,
ma che quel giorno fosse il primo giorno.
E da quegli otto numeri vorrei conoscermi di nuovo
per poi potermi riconoscere
ed accettare.
E sopratutto vorrei perdere memoria di chi ero stato.
Ti scrivo da un pensiero da te,
un pensiero che ci rende distanti.
La distanza fra noi l'hanno colmata gli altri
e si sono talmente impegnati
che non solo hanno riempito il vuoto
ma hanno costruito una montagna invalicabile.
Io di qua,
tu di là.
Condividiamo solo la poca luce che ci arriva da molto in alto.
Ed ogni volta che alzo gli occhi
spero che anche tu faccia lo stesso in quel momento.
Così almeno avremo qualcosa in comune.
Fa giorno,
chiudo gli occhi per non vedere,
tappo le orecchie per non sentire.
E cerco di dormire
e sognare che sarà un giorno migliore.
Stanotte ascolterò in radio il resoconto della giornata
ma non mi arrabbierò se saranno brutte notizie,
perché riguarderanno il passato.
Leggo sul libro che ho aperto nella testa
di cavalieri spersi
che qui misero su famiglia.
Dei loro figli
che vestiti da assassini
passano di notte ad avvelenare i morti,
e dei locali dove servono miscugli
che fanno traballare anche i più forti.
E a libro chiuso mi vedo seduto
ad osservarli tutti in fila al banco,
presi dal bere
fino alla mattina.
Come se dopo notte
arrivasse il capodanno.
E il battere di ciglia di qualcuno
mi porta a giorno fatto.
E sono tutti intorno a me.
Spenti e stravaccati,
sopra divani pazienti
ad osservare dai vetri del locale
l'esercito inquadrato di fedeli
intenti a marciare verso il tempio per pregare.
Anche per loro.
Ormai fa giorno,
anche se non richiesto.
E solo per te.
Gli occhi si aprono,
puoi continuare a stare sveglio,
anche ad occhi aperti.
Non sai quanto detesti quel "anch'io"
che dici così spesso
per abbassarti e portarti a pari mio.
E non capisci
come quando siamo in fondo
non si ha bisogno di tanta compagnia.
Io non lo so
se ciò che dici lo pensi veramente
o se è soltanto una frase da infermiera.
Che tu ti senta complice,
l'amante o la compagna,
che il tuo sia amore o cuore buono
cerca di farne a meno di assentire
e lasciami da solo al mio schiantare.
E non fare domande per favore.
Lo voglio in esclusiva il mio soffrire.