Tua moglie, una conchiglia di mistero, donna che si difende alle parole, come Petrarca ne farei una dea. È donna che ricerca smarrimenti che cerca un'acqua torbida di morte per poi ridiventare sirenetta.
Hai mai capito tu quelle ali unite di troppo maneggevole farfalla che vorrebbe volare oltre i momenti di questa terra gonfia di confini?
Aprirà nuovi colli l'imeneo quando avremo una porta da rapire a queste antiche sommità di spazio. Con te fuso nel ritmo della forza che mi ha cresciuta, compirò prodigi. Tu sei lievito buono alla mia carne che più s'apre alle vie della saggezza, tu dalla morte mi facesti viva per un nuovo sgomento e mi donasti nuova religione. Ora nel ritmo eguale del possesso nascono nuove terre irresolute.
Oh, questo suono di oro che va, questo oro che va all'eternità; che triste il nostro udito che ode già questo oro che va all'eternità, questo silenzio che rimarrà qua mentre il suo oro va all'eternità!
Sono completo in natura, in pieno meriggio d'aurea maturezza, alto vento nel verde attraversato. Ricco frutto recondito, contengo il grande elementare in me (la terra, il fuoco, l'acqua, l'aria) l'infinito.
Io grondo luce: indoro il luogo oscuro, mando odore: profumo di dio l'ombra, emano suono: è musica l'ampiezza, stillo sapore: il mondo beve l'anima, diletto il tatto della solitudine.
Son tesoro supremo, liberato con densità e pienezza di pura iride, dal seno dell'azione. Sono tutto. Il tutto che è la sommità del niente, il tutto che si basta e che è servito da quanto ancora ha nome d'ambizione.
L'animo del poeta: un espatriato! Un erede di ghetti dati al fuoco! Non ha foglio di profugo. Non chiede viveri sigarette posto-letto. L'atlante – cancellato alle sue spalle. Pura circonferenza l'orizzonte (egli – al centro – il suo passo beduino). Su dal mattino – come da un bivacco; giù al tramonto, vermiglia intermittenza d'una misura senza fine. Ma a notte... come dolce il suo Mar Rosso trabocca in lui, l'inonda fra le ciglia quand'egli giace – tutto il cielo addosso.
Lei non ha colpa se è bella, se la luce accorre al suo volto, se il suo passo è disciolto come una riva estiva, se ride come si sgrana una collana. Lo so. Lei non ha colpa del suo miele pungente di fanciulla, della sua grazia assorta che in sé non chiude nulla. Se tu l'ami, lei non ha colpa. Ma io – la vorrei morta.
Ti vorrei dare questa stella alpina. Guardala: è grande e morbida. Sul foglio, pare un'esangue mano abbandonata. Sbucata dalle crepe di una roccia, o sui ghiaioni, o al ciglio di una gola, là si sbiancava alla più pura luce. Prendila: è monda e intatta. Questo dono non può farti del male, perché il cuore oggi ha il colore delle genzianelle.
Guardami: sono nuda. Dall'inquieto languore della mia capigliatura alla tensione snella del mio piede, io sono tutta una magrezza acerba inguainata in un color avorio. Guarda: pallida è la carne mia. Si direbbe che il sangue non vi scorra. Rosso non ne traspare. Solo un languido palpito azzurro sfuma in mezzo al petto. Vedi come incavato ho il ventre. Incerta è la curva dei fianchi, ma i ginocchi e le caviglie e tutte le giunture, ho scarne e salde come un puro sangue. Oggi, m'inarco nuda, nel nitore del bagno bianco e m'inarcherò nuda domani sopra un letto, se qualcuno mi prenderà. E un giorno nuda, sola, stesa supina sotto troppa terra, starò, quando la morte avrà chiamato.
C'era un disordinato andirivieni di valige sfrangiate, penzoloni su ghette e scarpe gialle da provincia, che schizzavano dentro l'atrio grigio dagli sbadigli bianchi delle porte aperte sulla piazza e sui binari. Gli sportelli sbarravano sul muro uno stupore lucido, verdone; un ombrello, testardo, s'impuntava contro terra in un suo capriccio nero. Né tu né io ci guardavamo in viso: ma i miei occhi sentivan d'incontrarti. Dove, non so. Forse in quel po' di cielo che si vedeva sopra la tettoia o in mezzo alle fumate carnicine che il Vesuvio sbuffava senza posa e il vento senza posa smozzicava. Io mi sentivo libera e leggera come quei fiocchi bianchi di pelurie che si sprigionano dai pioppi, in maggio e cercan l'alto come delle preci. La tua voce era un mare di purezza: ogni ombra di materia vi affogava. A tratti le parole si frangevano in sfumature lunghe di silenzio e all'anima sembrava di vibrare nuda nel vento e di sfiorare Dio.