Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Tua moglie, una conchiglia di mistero,
donna che si difende alle parole,
come Petrarca ne farei una dea.
È donna che ricerca smarrimenti
che cerca un'acqua torbida di morte
per poi ridiventare sirenetta.

Hai mai capito tu quelle ali unite
di troppo maneggevole farfalla
che vorrebbe volare oltre i momenti
di questa terra gonfia di confini?
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    Scritta da: Andrea De Candia

    Imeneo

    Aprirà nuovi colli l'imeneo
    quando avremo una porta da rapire
    a queste antiche sommità di spazio.
    Con te fuso nel ritmo della forza
    che mi ha cresciuta, compirò prodigi.
    Tu sei lievito buono alla mia carne
    che più s'apre alle vie della saggezza,
    tu dalla morte mi facesti viva
    per un nuovo sgomento
    e mi donasti nuova religione.
    Ora nel ritmo eguale del possesso
    nascono nuove terre irresolute.
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      Scritta da: Andrea De Candia

      Maturo autunno

      Sono completo in natura, in
      pieno meriggio d'aurea maturezza,
      alto vento nel verde attraversato.
      Ricco frutto recondito, contengo
      il grande elementare in me (la terra,
      il fuoco, l'acqua, l'aria) l'infinito.

      Io grondo luce: indoro il luogo oscuro,
      mando odore: profumo di dio l'ombra,
      emano suono: è musica l'ampiezza,
      stillo sapore: il mondo beve l'anima,
      diletto il tatto della solitudine.

      Son tesoro supremo, liberato
      con densità e pienezza di pura iride,
      dal seno dell'azione. Sono tutto.
      Il tutto che è la sommità del niente,
      il tutto che si basta e che è servito
      da quanto ancora ha nome d'ambizione.
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        Scritta da: Andrea De Candia

        Mar Rosso

        L'animo del poeta: un espatriato!
        Un erede di ghetti dati al fuoco!
        Non ha foglio di profugo. Non chiede
        viveri sigarette posto-letto.
        L'atlante – cancellato alle sue spalle.
        Pura circonferenza l'orizzonte
        (egli – al centro – il suo passo beduino).
        Su dal mattino – come da un bivacco;
        giù al tramonto, vermiglia intermittenza
        d'una misura senza fine.
        Ma a notte... come dolce il suo Mar Rosso
        trabocca in lui, l'inonda fra le ciglia
        quand'egli giace – tutto il cielo addosso.
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          Scritta da: Andrea De Candia

          Flora alpina

          Ti vorrei dare questa stella alpina.
          Guardala: è grande e morbida. Sul foglio,
          pare un'esangue mano abbandonata.
          Sbucata dalle crepe di una roccia,
          o sui ghiaioni, o al ciglio di una gola,
          là si sbiancava alla più pura luce.
          Prendila: è monda e intatta. Questo dono
          non può farti del male, perché il cuore
          oggi ha il colore delle genzianelle.
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            Scritta da: Andrea De Candia

            Canto della mia nudità

            Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
            languore della mia capigliatura
            alla tensione snella del mio piede,
            io sono tutta una magrezza acerba
            inguainata in un color avorio.
            Guarda: pallida è la carne mia.
            Si direbbe che il sangue non vi scorra.
            Rosso non ne traspare. Solo un languido
            palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
            Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
            è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
            e le caviglie e tutte le giunture,
            ho scarne e salde come un puro sangue.
            Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
            del bagno bianco e m'inarcherò nuda
            domani sopra un letto, se qualcuno
            mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
            stesa supina sotto troppa terra,
            starò, quando la morte avrà chiamato.
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              Scritta da: Andrea De Candia

              La stanzioncina di Torre Annunziata

              C'era un disordinato andirivieni
              di valige sfrangiate, penzoloni
              su ghette e scarpe gialle da provincia,
              che schizzavano dentro l'atrio grigio
              dagli sbadigli bianchi delle porte
              aperte sulla piazza e sui binari.
              Gli sportelli sbarravano sul muro
              uno stupore lucido, verdone;
              un ombrello, testardo, s'impuntava
              contro terra in un suo capriccio nero.
              Né tu né io ci guardavamo in viso:
              ma i miei occhi sentivan d'incontrarti.
              Dove, non so. Forse in quel po' di cielo
              che si vedeva sopra la tettoia
              o in mezzo alle fumate carnicine
              che il Vesuvio sbuffava senza posa
              e il vento senza posa smozzicava.
              Io mi sentivo libera e leggera
              come quei fiocchi bianchi di pelurie
              che si sprigionano dai pioppi, in maggio
              e cercan l'alto come delle preci.
              La tua voce era un mare di purezza:
              ogni ombra di materia vi affogava.
              A tratti le parole si frangevano
              in sfumature lunghe di silenzio
              e all'anima sembrava di vibrare
              nuda nel vento e di sfiorare Dio.
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