La decomposizione è dunque pianto, la decomposizione è funerale, un auto funerale del misantropo: la pietra non aveva dato amore, la pietra non aveva conosciuto nessuno all'infuori della casa di carne di sé stessa.
Notte che mostri solo la viltà come una donna sempre un passo avanti verso il fuggire ignoto d'ogni sogno. Ti guardo nel pensiero, estrema ombra che l'universo lascia sulla Terra, e volgi a me le spalle e non ti vedo. Ho gli occhi che mi cadono sui tuoi lunghissimi capelli tesi al nulla, e sono sveglio e dormo ad occhi aperti la consapevolezza di quel sonno che senza sogno porta al fallimento. (...) Senti russar le scarpe? Il loro volto si muove fermo a un letto che è di pietra. Anche le scarpe devono dormire ma il loro pure è sonno senza sogno, asfalto che non è visione d'acqua! (...) Il sole sta davanti ed io inseguo stupidamente, coraggiosamente, la schiena, le sue spalle sono oscure e portano in trionfo la sua nuca com'ostia offerta a tutti i sacerdoti che compiono il peccato dell'insonnia. (...) E il movimento stesso del mio corpo e la sua forma alzata era allungata come fosse un punto interrogativo che porta avanti frasi di passato e le dissolve in un futuro incerto... dicevo ad un nessuno col mio gesto: "potrò vedere almeno questa volta la verità lucente del tuo volto, che tutti chiamano (tremando) Morte?
Ho visto la mia ombra cader, rialzarsi, come dal suo nulla ed annegare nera in alto nuoto sopra le ferme acque di materia. Ho visto, fuori, l'eco del mio male insanguinare a morte quei colori, diverse distensioni d'un mattino a poco a poco spente dal mio fiato. Ho superato il basso del guardare e l'ho portato all'aria della notte, e poi l'ho sollevato sulla luna: cadevan le pareti all'avanzare del corpo morto vivo del mio passo, la notte, indietreggiando, si sfaldava, s'approfondiva il foro all'affondare. Ma pietra impenetrabile, la Luna, era l'ultimo petalo di scheletro che non precipitava, lontananza d'un fior di luce... appassito in mare. La notte mi sembrò consolatoria: "l'oscurità più scura è la più chiara!" mentre la luna mi sembrò più schietta: "l'oscurità più chiara è la più scura!" dissero entrambe da soliste in coro.
Vanno gli uomini in lunghe processioni sulla strada, silenzio e solitudine. E ogni passo è un cadere sbriciolato di deboli pareti d'una chiesa che nessuno ha voluto costruire. La messa delle ore è come sintesi del suo culmine, ossia la comunione, e un sacerdote fermo all'invisibile protende il bianco verso i suoi passanti: la Luna è un'ostia che nessuna bocca porta con sé a spezzarsi in altro buio, la notte: enigma dell'ateismo, di un ateismo eterno inconfessato.
Quando il buio s'innalza distruggendo i confini del corpo e mi fingo una bara che contiene il mai nato cadavere di un sogno, le strade del mio sangue sono spente, la luna del mio cranio non l'illumina: è notte nella notte nella notte!
E questo pianto che non sento più al funerale della solitudine, posto nolente all'altare del letto, io sono il corpo puro delle ossa, la carne mi si è rivelata bara.
È il pianto rumoroso del russare: cade pesantemente al suolo d'aria!
È lo scoprirsi, le narici, gli occhi, occhi che non possiedono pupille, occhi accecati di profondità, in cui tutte le lacrime ritrovano il punto per uscire finalmente!
Non chiedere non ordinare il pasto perché i morti non si fanno pregare prendono un assaggio dalla ciotola del mai e lo portano nel serraglio del cielo.
Raramente si trova lì dentro qualcosa di utile ma di tanto in tanto una strada di luce, un labirinto che, cercare di evitarlo è quasi insensato.
A gruppi di urla, si presentano un essere dopo l'altro noi veniamo a capo dei loro nomi non del loro futuro non aiutano i canti.
Gli abiti da tempo strappati ci rimettiamo al lutto del silenzio e siamo quello che siamo:
A quest'ora non vola solo il papavero a quest'ora scorre polvere di stelle fuori da tutte le caverne. In questi giorni si apre una parola dopo l'altra e sboccia e muore ed è a se stessa tomba. Se venisse uno a depurarmi il cielo infangato. Noi condividiamo, gli griderei, pane di lupo e gemme d'anemoni, sbrìgati, prima che il sogno arido ci sradichi. Un vento nero si alza e spazza l'ultima luce dalla mia fronte, un rondone non ritrova la sua nidiata. Una risata sospinge il cielo ai margini del mondo, prende fuoco, ah, sfonda rumorosamente il respiro d'argento. Distrutto il tuo amuleto di onde. Il tuo canto di piume bandito in un luogo oscuro.
Dormi sotto i lecci per toglierti il giorno ammorbidito dalle labbra, prenditi il firmamento dalla mia pelle. Coglimi schegge di parole dalla bocca, cerca sotto le ramificazioni delle palpebre le scorte del lupo. Non chiedere. Svelto, mangia il pane del deserto che ti ha infornato il mio lupo trovatello e bevi tutta la mandragola. Già si addensa una maledizione intorno al tempo, un incubo frusta il mio cuore con vento inconsolabile, nella costellazione del Cane se ne perde la traccia, eppure: ancora rimane una parola sorrisa erba di zigani per la stirpe martoriata. Ancora metto un piede avanti all'altro e cresco nella confusione. Ancora mi rimane il fiore-di-nessuno, passi di rugiada, un'ora oscura. Rotola, nutrita di veleno, delusa dalle mie lacrime, dentro di sé fino al principio.