Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Notte che mostri solo la viltà
come una donna sempre un passo avanti verso il fuggire ignoto d'ogni sogno.
Ti guardo nel pensiero, estrema ombra
che l'universo lascia sulla Terra,
e volgi a me le spalle e non ti vedo.
Ho gli occhi che mi cadono sui tuoi
lunghissimi capelli tesi al nulla,
e sono sveglio e dormo ad occhi aperti
la consapevolezza di quel sonno
che senza sogno porta al fallimento.
(...)
Senti russar le scarpe? Il loro volto
si muove fermo a un letto che è di pietra. Anche le scarpe devono dormire
ma il loro pure è sonno senza sogno,
asfalto che non è visione d'acqua!
(...)
Il sole sta davanti ed io inseguo
stupidamente, coraggiosamente,
la schiena, le sue spalle sono oscure
e portano in trionfo la sua nuca
com'ostia offerta a tutti i sacerdoti
che compiono il peccato dell'insonnia.
(...)
E il movimento stesso del mio corpo
e la sua forma alzata era allungata
come fosse un punto interrogativo
che porta avanti frasi di passato
e le dissolve in un futuro incerto...
dicevo ad un nessuno col mio gesto:
"potrò vedere almeno questa volta
la verità lucente del tuo volto,
che tutti chiamano (tremando) Morte?
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Ho visto la mia ombra
    cader, rialzarsi, come dal suo nulla
    ed annegare nera in alto nuoto
    sopra le ferme acque di materia.
    Ho visto, fuori, l'eco del mio male
    insanguinare a morte quei colori,
    diverse distensioni d'un mattino
    a poco a poco spente dal mio fiato.
    Ho superato il basso del guardare
    e l'ho portato all'aria della notte,
    e poi l'ho sollevato sulla luna:
    cadevan le pareti all'avanzare
    del corpo morto vivo del mio passo,
    la notte, indietreggiando, si sfaldava,
    s'approfondiva il foro all'affondare.
    Ma pietra impenetrabile, la Luna,
    era l'ultimo petalo di scheletro
    che non precipitava, lontananza
    d'un fior di luce... appassito in mare.
    La notte mi sembrò consolatoria:
    "l'oscurità più scura è la più chiara!"
    mentre la luna mi sembrò più schietta:
    "l'oscurità più chiara è la più scura!"
    dissero entrambe da soliste in coro.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Vanno gli uomini in lunghe processioni
      sulla strada, silenzio e solitudine.
      E ogni passo è un cadere sbriciolato
      di deboli pareti d'una chiesa
      che nessuno ha voluto costruire.
      La messa delle ore è come sintesi
      del suo culmine, ossia la comunione,
      e un sacerdote fermo all'invisibile
      protende il bianco verso i suoi passanti:
      la Luna è un'ostia che nessuna bocca
      porta con sé a spezzarsi in altro buio,
      la notte: enigma dell'ateismo,
      di un ateismo eterno inconfessato.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        E questo pianto che non sento più
        al funerale della solitudine,
        posto nolente all'altare del letto,
        io sono il corpo puro delle ossa,
        la carne mi si è rivelata bara.

        È il pianto rumoroso del russare:
        cade pesantemente al suolo d'aria!

        È lo scoprirsi, le narici, gli occhi,
        occhi che non possiedono pupille,
        occhi accecati di profondità,
        in cui tutte le lacrime ritrovano
        il punto per uscire finalmente!
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Non chiedere
          non ordinare il pasto
          perché i morti non si
          fanno pregare
          prendono un assaggio dalla ciotola del mai
          e lo portano nel serraglio del cielo.

          Raramente si trova lì dentro qualcosa di utile
          ma di tanto in tanto una strada di luce,
          un labirinto che, cercare di evitarlo
          è quasi insensato.

          A gruppi di urla,
          si presentano un essere dopo l'altro
          noi veniamo a capo dei loro nomi
          non del loro futuro
          non aiutano i canti.

          Gli abiti da tempo strappati
          ci rimettiamo al lutto del silenzio
          e siamo quello che siamo:

          un sorriso passato.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            Luce teneramente registrata
            poco visibile ancora
            poco afferrabile.

            Solo il rumore
            ha fatto irruzione nei misteri della vita
            pavimenta i corridoi
            con il tempo contato.

            Canteremo attraverso la sera
            un canto con viticci di ossa
            grovigli di vene e sangue di fate
            tra le righe.

            Suoni semplici anche lì, non storpiati
            dove le esalazioni dell'aldilà premono
            per uscire dai pori della notte restante

            per alloggiare nell'alto
            rossore dei giorni

            Un requiem indistruttibile
            Per ogni giornata senza luce.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              A quest'ora
              non vola solo il papavero
              a quest'ora scorre polvere di stelle
              fuori da tutte le caverne.
              In questi giorni si apre una parola
              dopo l'altra e sboccia
              e muore
              ed è a se stessa tomba.
              Se venisse uno
              a depurarmi
              il cielo infangato.
              Noi condividiamo, gli griderei,
              pane di lupo e gemme d'anemoni, sbrìgati,
              prima che il sogno arido ci sradichi.
              Un vento nero si alza
              e spazza l'ultima luce dalla mia fronte,
              un rondone non ritrova la sua nidiata.
              Una risata sospinge il cielo ai margini del mondo,
              prende fuoco, ah, sfonda rumorosamente il respiro d'argento.
              Distrutto il tuo amuleto di onde.
              Il tuo canto di piume
              bandito in un luogo oscuro.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                Dormi sotto i lecci
                per toglierti il giorno ammorbidito
                dalle labbra, prenditi
                il firmamento dalla mia pelle.
                Coglimi schegge di parole
                dalla bocca, cerca sotto
                le ramificazioni delle palpebre le
                scorte del lupo.
                Non chiedere. Svelto, mangia
                il pane del deserto
                che ti ha infornato il mio lupo trovatello
                e bevi tutta la mandragola.
                Già si addensa una maledizione intorno al tempo,
                un incubo frusta il mio cuore
                con vento inconsolabile,
                nella costellazione del Cane se ne perde la traccia,
                eppure:
                ancora rimane una parola sorrisa
                erba di zigani per la stirpe martoriata.
                Ancora metto un piede avanti all'altro
                e cresco nella confusione.
                Ancora mi rimane il fiore-di-nessuno,
                passi di rugiada, un'ora oscura.
                Rotola, nutrita di veleno, delusa dalle mie
                lacrime, dentro di sé fino al principio.
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